don Cristiano Mauri – Commento al Vangelo del 15 Settembre 2020

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Il commento al Vangelo del giorno di don Cristiano Mauri.

Note per la comprensione del brano.

L’entrata in scena delle quattro donne definisce l’ultimo dei quadri della Passione secondo Giovanni. 

Il narratore stringe l’inquadratura su due personaggi tra i cinque presenti, definendoli a partire dalla natura dei legami che hanno con Gesù: sono «la Madre» e «il discepolo amato». A caratterizzarli è dunque una profondissima intimità con lui.

Dall’alto della Croce, come da un trono, Cristo dirige la scena come ha fatto per il resto della Passione. La sua azione è libera e sovrana, la sua parola autorevole ed efficace.

Solo Gesù parla, mentre gli altri tacciono ascoltando le sue volontà circa il tempo che seguirà il suo innalzamento al cielo. Il tema della sua partenza che ha dominato il discorso d’addio nell’ultima cena viene qui ripreso e compiuto.

La Madre viene posta sotto la protezione del discepolo amato che avrà il dovere di provvedere ai suoi bisogni, come prescritto dal diritto familiare ebraico. Il discepolo assume così rispetto alla Madre il ruolo che Gesù aveva occupato, diventando rappresentante del Figlio in sua assenza.

Benché si tenda a evidenziare anzitutto l’idea della “maternità di Maria” a favore dei credenti, va sottolineato che se c’è una asimmetria nel testo, è piuttosto relativa al compito del discepolo. È anzitutto quest’ultimo ad avere una missione specifica verso la donna e non viceversa, per quanto sia da tenere presente una certa idea di reciprocità.

Ciò che conta, in ogni caso, è l’evidenza del fatto che Cristo, morendo, costituisce una nuova famiglia, sotto la guida del discepolo amato chiamato a prendere la Madre nella sua casa.

Spunti per la riflessione sul testo.

Si potrebbero lasciare perdere per una volta i ricami teologici su questa scena drammatica e bellissima, per ascoltarne prima il contenuto più umano.

Non faremmo fatica a vedere nelle parole e nelle intenzioni di Gesù, quelle di tanti uomini e donne che alla fine della vita si congedano dai loro cari.

Le parole di un padre che saluta il figlio maggiore dicendogli: «Ti raccomando i tuoi fratelli e soprattutto la mamma, state tanto vicini alla mamma».

O quelle di una moglie che si congeda dai fratelli pregandoli di trattare suo marito come se fosse anche lui uno di loro.

Il saluto di un figlio o una figlia morenti che affidano i nipoti ai propri genitori.

E penso che in ognuno di costoro, infine, accada il più vero dei Vangeli. In quella volontà che l’amore costruito continui a vivere e sopravvivere al di là di sé e perfino oltre la morte c’è il ritratto più autentico di Dio.

La scena della Croce, così, illumina le storie di tanti uomini e donne rivelandoli come luoghi di presenza anonima ma chiarissima del Padre che sostiene l’amore tra i suoi figli.

E proprio per tutto questo, come si fa a non pensare a chi si è visto strappare una persona amata senza nemmeno la possibilità di un saluto? Come si fa a non pensarci, condividerne il dolore lacerante, avvertire l’enorme senso di ingiustizia e piangere insieme a loro?

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