don Claudio Bolognesi – Commento al Vangelo del 10 Gennaio 2021

Buongiorno. Buona domenica. Buona solennità del Battesimo di Gesù.

L’abbiamo ascoltato nel racconto dell’evangelista Marco. Tra i sinottici è l’unico che non parla di Betlemme, in questo senso è molto vicino al vangelo di Giovanni. L’inizio del vangelo di Marco l’abbiamo ascoltato e commentato insieme qualche domenica fa. Oggi aggiungiamo tre versetti brevissimi: il racconto del battesimo vero e proprio viene risolto in una sola frase. Probabilmente la prima comunità non amava tantissimo fermarsi su di esso. Che umiltà imbarazzante è quella di questo Dio, Figlio di Dio che si mescola con i peccatori e si lascia battezzare. Tra l’altro mettendosi in posizione di inferiorità verso Giovanni Battista. In un piccolo fiume fangoso. Mentre invece si sottolinea di più quello che succede dopo. Gesù esce “subito” dall’acqua. Vede qualche cosa che riguarda lui – riguarda anche noi perché viene raccontata a noi, ma a noi riguarda soltanto se crediamo in lui e se diamo credibilità al racconto di Marco -. Gesù vede i cieli che si squarciano.

È una risposta alla preghiera di Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura: “se tu squarciassi i celi e scendessi”! Una risposta al dubbio, alla preghiera che tutti nella vita qualche volta facciamo. Quando ci scontriamo con ciò che ci fa soffrire e ci fa soffrire tanto, come il dolore di una persona amata. Chiediamo a Dio di toglierlo, questo nella maggior parte dei casi non succede o perlomeno non succede come vorremmo noi. Allora il dubbio è che, sì, Dio c’è ma sta nei suoi cieli e si è dimenticato di noi. Isaia lo implora “se tu squarciarsi i cieli e scendessi” e a lui il vangelo di oggi risponde che davanti a Gesù i cieli si squarciano. Non sono più rammendabili. È qualche cosa di definitivo. Ma il fatto che lo veda solo Gesù è estremamente importante. Perché vuol dire che questa cosa a questo punto del vangelo riguarda soltanto lui. È lui che ha bisogno di veder i cieli squarciarsi perché nel momento in cui è venuto fra noi, si è schierato fra noi ed ha deciso di nascere, crescere come noi, ha fatto la stessa fatica che facciamo noi a trovare la sua vocazione. A trovare la strada per arrivare a Dio.

I celi non potevano fare altro che squarciarsi nel momento in cui Gesù si fa uomo. È fondamentale che il vangelo ci racconti che Gesù lo vede il giorno del suo battesimo. Vuol dire che in quel giorno lui incontra la sua vocazione. La sceglie, la riceve. Sono tutti verbi veri in parte, che sottolineano gli aspetti diversi dell’esperienza vocazionale. Ecco, Gesù vede la sua vocazione – nel momento in cui i cieli si squarciano – che è la strada che porta verso il Padre. È unire l’esperienza dell’umanità e portarla a fare sintesi con l’esperienza di Dio. Farci diventare figli, figli di Dio. Questo viene concretizzato nell’immagine dello Spirito che scende verso di lui come una colomba. Lo spirito è colui che aleggiava sulle acque dalla prima pagina del racconto della Genesi. Ecco, qui rincontriamo allora il riferimento anche all’evangelista Giovanni, alla parentela fra questi due vangeli. Entrambi iniziano il racconto del vangelo di Gesù, della sua vita, guardando alla creazione antica. Raccontandoci una creazione nuova. Quello stesso Spirito – ricordo che in ebraico Spirito è Ruah, un termine al femminile – scende come una colomba che è un simbolo di pace. Perché è l’animale che fu liberato da Noè al termine del diluvio, più volte. L’ultima volta non tornò e quindi è diventata il simbolo della pace fra l’umanità e Dio. Ma nel racconto del primo testamento “colomba” ha anche altri due riferimenti. Direttamente nel valore del termine. “Colomba” si dice “Giona”. Il racconto sapienziale ci parla di un profeta con questo nome. Un profeta, ribelle, simpatico che viene divorato e rimane per tre giorni e tre notti nel ventre della balena e da peccatore diventa uomo di Dio. Il vangelo ci parla del “segno di Giona” che è la morte e la resurrezione. Ma “colomba” pur essendo un nome maschile è anche l’animale “colomba”. Come tale diventa l’immagine dell’amata del Cantico dei Cantici. Era la lettura che si faceva nei giorni di Pasqua nel tempio di Gerusalemme. Quindi se mettiamo insieme tutti questi pezzi come un puzzle – ce ne sono anche tanti altri – salta fuori che quella vocazione che Gesù incontra nel momento in cui vede i cieli squarciarsi, è una vocazione che ha il punto di convergenza della prospettiva nella croce, nella Pasqua. Il vangelo è tutto sotteso in un arco che parte il giorno della morte di Gesù, il giorno della sua resurrezione, e va a ritroso. Fino al battesimo, per dirci chi era veramente colui che è morto ed è risorto per noi.

Siamo ancora dentro questa immagine nel momento in cui incontriamo la frase finale. Viene una voce dal cielo “sei il figlio mio l’amato, in te ho posto il mio compiacimento”. Ma “quest’uomo è veramente il Figlio di Dio” è ciò che dice il centurione ai piedi della croce. Gesù è morto, si è squarciato il velo del tempio così come si sono squarciati i cieli. Vuole dire che ogni divisione non esiste più. Quella fra cielo e terra, quello tra spazio di Dio e spazio degli uomini. Un non credente, il centurione romano, è il primo che raccoglie questa parola che viene dal cielo. Che fino ad allora nessuno ha raccolto. Perché anche se è lì, è a disposizione “sei tu, Gesù, sei il Figlio l’amato” ci vuole la Pasqua perché possa essere raccolta. Ci vuole la nostra libertà. Dobbiamo lasciarla entrare dentro di noi, che ce ne innamoriamo.
Ed è proprio quello che vogliamo fare.al Vangelo di oggi:
“E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba”. (Mc 1,10)

La colomba, simbolo di pace, è anche un richiamo alla passione. In ebraico si dice “giona”, come il profeta che rimase per tre giorni nel pesce. Ma fa pensare anche all’amata del Cantico dei Cantici… In un cammino di morte e resurrezione Tu, l’amato ci guidi alla pace.

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