Don Armando Matteo – Nuove sfide della pastorale parrocchiale giovanile

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«l nostri figli senza la fede non saranno mai ricchi;con la fede non saranno mai poveri» (Beato Giuseppe Tovini).

  1. La fatica di credere

Interrogarsi sulle nuove sfide della pastorale parrocchiale giovanile significa interrogarsi sulla fede dei nostri figli, sull’esperienza ecclesiale delle nuove generazioni.

Per fare questo, occorre avere il coraggio di ascoltare Ia realtà e immaginare strade perché la gioia del Vangelo venga trasmessa.

II punto di partenza, infatti, come ci ha insegnato il Sinodo dello scorso anno, è un po’ amaro: «…un numero consistente di giovani non chiedono nulla alla Chiesa perché non la ritengono significativa per la loro esistenza. Alcuni, anzi, chiedono di essere lasciati in pace» (Christus vivit, 39).

Questa espressione sintetizza efficacemente quello che i dati delle indagini sul rapporto giovani e fede dicono:

  • salto generazionale. Più nonni e meno nipoti in Chiesa
  • piccole atee crescono
  • fede come “rumore di fondo”
  • una ricerca di spiritualità poco “spirituale”
  • la centralità della testimonianza adulta
  • analfabetismo biblico

«[Quanto è importante la religione per i giovani italiani?] Si direbbe. irrilevante! II 26,6% dichiara che non è per nulla importante e il 32,8% poco importante_ Dunque quasi il 60% degli intervistati potrebbe vivere senza alcune riferimento religioso, e questo non cambierebbe nulla nella propria vita. É abbastanza importante per il 31 ,3% e molto importante per il 9,3%. Poco rilevanti le differenze per genere, tranne che per il valore relativo all’irrilevanza totale del fenomeno religioso» (Istituto Giuseppe Toniolo, La condizione giovanile in Italia, il mulino, Bologna 2018).

  1. Fine del cristianesimo domestico?

«Nemmeno possiamo ignorare che, negli ultimi decenni, si prodotta una rottura nella trasmissione generazionale della fede cristiana nel popolo cattolico» (EG, n. 70).

Oggi dobbiamo riconoscere una grande crisi di fede del mondo adulto. Pertanto, i giovani di cui i sociologi evidenziano “l’estraneità” alla fede sono in verità figli di genitori, di adulti, che non hanno dato più spazio alla cura della propria fede cristiana.

  • Gli occhi dei genitori e degli adulti significativi sono la prima cattedra di teologia: il “primo annuncio”.
  • Divergenza netta tra le istruzioni per vivere e quelle per credere. Per la loro felicità, agli adulti basta la giovinezza.
  • La teoria del catechismo non trova riscontro nella pratica della famiglia e degli adulti significativi con cui si viene a contato, crescendo. La fede diventa cosi una cosa da bambini e finché si é bambini.

Terminata la vita in parrocchia, in oratorio, i giovani non sanno più rispondere a una semplice domanda: che cosa ha a che fare la fede con la vita adulta? E questo perché i loro adulti di riferimento non riescono più a mostrare questo legame tra adultità e fede. E la scomparsa dall’orizzonte della coscienza adulta della bontà delta relazione credente a creare un vuoto di testimonianza ovvero la testimonianza di un vuoto che interrompe la trasmissione della fede: in che modo una coscienza adulta si relaziona con il mondo alla luce della notizia della fede?

  1. grande cambiamento: l’ingresso di un nuovo immaginario adulto

Mutazione profonda della generazione nata tra il 1946 e il 1964 «La specificità di questa generazione è che i suoi membri, pur divenuti adulti o già anziani, padri o madri, conservano in se stessi, incorporato, il significante giovane. Giovani come sono stati loro, nessuno potrà più esserlo – questo pensano. E ciò li induce a non cedere nulla al tempo, al corpo che invecchia, a chi è arrivato dopo ed è lui, ora: il giovane» (F. Stoppa)

Viene meno la vocazione all’adultità, che è quella di “dimenticarsi di sé per prendersi cura degli altri”.

Questo è il senso dell’essere adulto.

II mito del giovanilismo, che ha rapito il cuore degli adulti, ridefinisce il loro rapporto

  • con l’esperienza della vecchiaia
  • con l’esperienza della malattia
  • con l’esperienza della morte
  • con l’esperienza religiosa
  • con l’esperienza del figlio

Il mito di giovanilismo, in una parola, come unico e ultimo comandamento religioso dell’attuale generazione adulta, che comporta una divergenza netta tra le istruzioni per vivere e quelle per credere. La teoria del catechismo non trova riscontro nella pratica della famiglia e degli adulti significativi con cui si viene a contato, crescendo.

I quali appunto non sentono più il bisogno della preghiera e lettura del santo Vangelo.

La fede diventa cosi una cosa da bambini e finché si è bambini. II passaggio da una fede bambina’ ad una ‘fede adulta” è sempre mediato da una testimonianza adulta: che non si dà più. Come si abbandona la “fede” in Babbo Natale così si abbandona quella in Gesù.

Inoltre, agli occhi degli adulti attuali, il bambino appare sempre più “come un essere potenzialmente perfetto e precocemente competente” (Marina D’Amato) e dunque quasi del tutto privo della necessità di essere introdotto ‘n una esperienza fede

  1. Guardando al futuro
    1. Avere coscienza che la questione della trasmissione della fede è un tema assai delicato.
      L’esperienza della fede serve alla vita buona dei giovani, la presenza attiva dei giovani serve alla vita buona della Chiesa.
    1. Come si tramette Gesù oggi? Due indicazioni di papa Francesco
      1. Pastorale del riflesso
        «Per questo bisogna che la Chiesa non sia troppo concentrata su sé stessa, ma che rifletta soprattutto Gesù Cristo. Questo comporta che riconosca con umiltà che alcune cose concrete devono cambiare, e a tale scopo ha anche bisogno di raccogliere la visione e persino le critiche dei giovani» (Christus vivit, 39).
        Quello che facciamo per i giovani “riflette” o meno Gesù?
      2. L’amore di Gesù
        La prima motivazione per evangelizzare è l’amore di Gesù che abbiamo ricevuto, l’esperienza di essere salvati da Lui che ci spinge ad amarlo sempre di più. Pere che amore è quello che non sente la necessità di parlare della persona amata, di presentarla, di farla conoscere? Se non proviamo l’intenso desiderio di comunicarlo, abbiamo bisogno di soffermarci in preghiera per chiedere a Lui che torni ad affascinarci.
        Abbiamo bisogno d’implorare ogni giorno, di chiedere la sua grazia perché apra il nostro cuore freddo e scuota la nostra vita tiepida e superficiale. Posti dinanzi a Lui con il cuore aperto, lasciando che Lui ci contempli […] Che dolce è stare davanti a un crocifisso, o in ginocchio davanti al Santissimo, e essere davanti ai suoi occhi! Quanto bene ci fa lasciare che Egli torni a toccare la nostra esistenza e ci lanci a comunicare la sua nuova vita!» (EvangeIii gaudium: 264)
        Noi preti, noi catechisti, noi animatori abbiamo questa motivazione dell’amore di Gesù?
  1. La testimonianza dei genitori è fondamentale: avviene per contagio

Restituire agli adulti il gusto, la bellezza e la verità della preghiera personale.

  1. Annuncio del kerigma

É importante aiutare i bambini, sin dall’inizio della catechesi, a capire la differenza tra Gesù e Babbo Natale. Leggiamo con loro i vangeli, dall’inizio alla fine, ed introduciamoli alla preghiera personale

  1. Una comunità che festeggia

«La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono che accompagnano, che fruttificano e festeggiano» (Evangelii gaudium, 24).

Ogni volta che ci incontriamo come cristiani, dovremmo coltivare molto l’attenzione alla dimensione della festa, che è la dimensione del ritornare al cuore delle cose e alle cose del cuore, del ritornare a ciò che alimenta la fiamma della nostra esistenza.

Questo è perciò la grande sfida della pastorale del nostro tempo: quello di costruire sempre di più comunità dei discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano.

A cura di Don Armando Matteo