don Antonio Savone – Commento al Vangelo del 13 Aprile 2022

601

Nel cuore della cena l’annuncio del tradimento. Ci sorprende da una parte e ci consola dall’altra il fatto di sapere che Gesù quella sera si consegnava ad un gruppo di discepoli con le loro riconosciute debolezze e con i loro confessati tradimenti. Si consegnava pur sapendo che quelle mani non erano certo affidabili. Chi di noi lo avrebbe fatto? Noi non ci consegneremmo. Se non abbiamo la garanzia della affidabilità piuttosto non ci esponiamo. Sta qui la vera esposizione dell’Eucaristia. Noi ne abbiamo inventato un’altra tra ceri e fiori sull’altare, ma la vera esposizione è l’esporsi, il suo porsi fuori consegnandosi. Lui, il Signore, ridotto a una cosa. C’è da domandarsi se anche noi non perpetuiamo questa manipolazione del sacramento là dove viviamo dei riti ma non degli incontri.

Come si risponde a un Dio che si espone? Non certo con la diffidenza, non con la paura di rischiare o con la cautela.
“Colui che ha  intinto con me la mano nel piatto”: intingere il boccone è, nella Bibbia, un segno di alleanza, di ospitalità. È un gesto che dice la volontà di comunione che anima il maestro persino di fronte a chi lo tradirà.
Il tradimento di Giuda è un tradimento annunciato. È partito da molto lontano: un gesto così non s’improvvisa. Per Giuda Gesù non è il Messia che egli si aspettava. Già in Gv 6,70 l’evangelista mette sulle labbra di Gesù queste parole: Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo! Cos’è che aveva fatto sì che Giuda divenisse un divisore? Il fatto che Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo (Gv 6,15).

Giuda non concorda con Gesù nel modo di vedere le cose e soprattutto nell’intervento da intraprendere. Il suo modo di intendere il Cristo era tanto distante da quel povero Cristo incamminato verso una croce.
Giuda, in questa vigilia del Triduo Santo, è per noi sprone a verificare le nostre aspettative nel permanere alla sequela del Signore Gesù. Quante volte non concordiamo con il suo Vangelo! Quante volte vediamo scombussolati i nostri piani! Talvolta percepiamo il Signore quasi come un fastidio, un intralcio dal momento che non è catalogabile nei nostri schemi e progetti. Giuda voleva che il Cristo fosse “suo”. In fondo si perpetua continuamente lasciare il vero Dio a discorrere sul monte con Mosè e così costruircene uno a valle a nostra misura. E non poche volte troviamo anche qualche Aronne disposto ad aiutarci in una simile impresa.

Quest’oggi ci chiediamo: io chi seguo?
Non è che Giuda abbia preferito un’altra strada: aveva scelto un altro modo di stare su quella medesima strada. La sua è una sorta di sequela parallela: non segue più il Signore, gli cammina accanto ma perseguendo suoi pensieri e miraggi. È un cammino fatto insieme quanto a passi ma tanto distante nella mente e nel cuore. Giuda continua ad appartenere al gruppo ma dentro di lui non è più dei Dodici. Si professa come uno di loro senza appartenere più a loro.

Accanto a Gesù con i passi ma non condivide i suoi gesti. Giuda non ha il coraggio di guardarsi allo specchio e riconoscere chi è in realtà. Non è forse questa la nostra, la mia condizione? Continuiamo a dirci credenti, discepoli ma poco abbiamo del credente e del discepolo. Forse anche noi siamo discepoli (impariamo tante cose dal Maestro) ma non più seguaci (non pensiamo e non viviamo alla maniera del Maestro).
È vero: ci vuole coraggio per scegliere il Signore ma ce ne vuole almeno altrettanto per discostarci da lui. E così ci barcameniamo. E come Giuda finiamo per servirci persino dei gesti di amicizia senza caricarli più del loro significato. Giuda pone gesti di amicizia (mangia il boccone offerto dal Signore) ma si pone fuori da quell’amicizia.

Quale significato io do ai gesti di comunione che pongo in atto?


AUTORE: don Antonio SavoneFONTE CANALE YOUTUBETELEGRAM