don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 27 Giugno 2021

793

Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vedono. Commenti ai Vangeli della Domenica dell’Anno B” disponibile presso:
AMAZON | IBS | LA FELTRINELLI | LIBRERIA DEL SANTO

13a Domenica del Tempo Ordinario

La fede è un contatto che salva

Mc 5,21-43

All’inizio un passaggio di Gesù «all’altra riva», come il passaggio dalla minaccia della morte al trionfo della vita che l’uomo vorrebbe sperimentare. Ce la farò? Mi aiuterà il cielo? Sono questi gli interrogativi che stanno dietro ad ogni richiesta sincera rivolta a Gesù, anche quella di Giairo. Egli è uno «uno dei capi della sinagoga», abituato a incontrare molte persone e a pronunciare parole giuste e misurate, ma adesso a parlare è il cuore angosciato di un padre che vuole scongiurare la morte della figlia. Le parole supplichevoli sono pronunciate nella prostrazione e con insistenza; non si cura che il guaritore a cui si rivolge sia quel Nazareno che stava creando così tanti problemi ai capi religiosi ed è convinto che il solo gesto dell’imposizione delle mani possa ridonare vita ad un’esistenza non ancora sbocciata. La fede di Giairo è acerba come l’età della figlia, vede per adesso soltanto il guaritore, ma ciò che importa è che l’uomo faccia un tratto di strada con Gesù.

La fede, infatti, parte da un bisogno di vita e implica un cammino col Maestro. Si tratta il più delle volte di un cammino nel dubbio angosciante di chi non sa se il suo desiderio di salvezza verrà esaudito, ma facendo un passo dopo l’altro tale fede è chiamata a crescere attraverso altre esperienze condivise con Gesù. Lungo il tragitto c’è anche tanta folla, si affollano cioè idee, fatti e rumori diversi e contrastanti tra loro e con Cristo, che sta invece in silenzio. Il silenzio di Dio è per noi lo spazio della decisione e dell’attesa, in cui ci domandiamo se vale la pena credere e perseverare anche contro ogni evidenza.

Ed ecco che durante il cammino avviene un incontro, di cui sarà spettatore e fruitore pure Giairo, e con lui ognuno di noi. Una donna è affetta da emorragia, perde vita da 12 anni (numero che simboleggia Israele, che lontano da Dio muore), e insieme ad essa la speranza di guarire, perché i molti interventi medici non hanno giovato. Pur «spendendo tutti i suoi averi», ha sperimentato che i rimedi sono peggiori della malattia, perché le soluzioni umane non bastano se non hai incrociato sui tuoi passi Colui che salva. Inoltre il suo male la rende impura secondo la legge ebraica; tuttavia ella non si rassegna ad una sorte di maledizione e, guidata da un indomabile desiderio di vita, tocca il Maestro.

A differenza di Giairo non parla, non può farlo secondo i dettami della legge; dialogando con se stessa, affiora alla sua coscienza una intuizione, che però non è l’ennesimo rimedio foriero di una ulteriore delusione, poiché la donna, «udito parlare di Gesù», ha creduto. Mette in atto ciò che la sua sensibilità le permette di fare, un contatto almeno minimo col Maestro, perché capisce che solo su di Lui può poggiare le sue mani sporche. Non solo guarisce, ma il dono di Dio supera ogni attesa, in quanto Cristo la cerca con occhi innamorati di Sposo. Il tocco quasi rubato del mantello le aveva dato la guarigione; adesso lo sguardo e le parole di Gesù, che rendono la relazione pienamente personale, le donano la salvezza. La donna ha fatto la propria parte mediante la fede e il coraggio di raccontarsi, poiché «gli disse tutta la verità». Lei, che prima era ‘nessuno’ per la legge, adesso viene chiamata «figlia». Come sottolineano i discepoli, nella loro visione grossolana, sarebbe stato impossibile ad una creatura umana accorgersi di quel tocco, ma a Dio non sfuggono i particolari, poiché Egli si sofferma sul piccolo, anzi che lascia che una ‘piccola’ abbia il potere di fermarlo. Il Maestro rende pubblica, quasi plateale la guarigione per far comprendere a tutti che il puro e l’impuro non possono essere una barriera tra l’uomo e Dio e vanno superati.

Ecco la fede necessaria a Giairo, che è chiamata a sfidare l’evidenza del fallimento, dal momento che Gesù e l’uomo sono raggiunti dalla notizia del decesso della bambina. Soltanto Dio può pronunciare una parola che vada oltre la morte, rivolgendo al padre l’invito umanamente assurdo di perseverare nella fede. Gesù interrompe i riti di lutto e rivela che la morte è in realtà un sonno che anticipa il risveglio. Prende per mano la fanciulla, trasmettendole la sua potenza di vita, la fa risorgere, la restituisce alla sua normalità, perché ella si muove e prende cibo.

I presenti sono letteralmente in ‘estasi’, fuori di sé per lo sconvolgimento. C’è da chiedersi se a questo stato emotivo corrisponderà una uscita effettiva da una mentalità legata agli schemi della legge che esclude gli impuri, affinché si costituisca un’autentica fraternità umana.