don Antonino Sgrò – Commento al Vangelo di domenica 17 Settembre 2023

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Il perdono trasforma il nostro niente in un frammento del Tutto

Mt 18, 21-35

In quel tempo, 21 Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». 22 E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. 23 Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. 24 Aveva cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. 25 Poiché costui non era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così saldasse il debito. 26 Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa”. 27 Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. 28 Appena uscito, quel servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo: “Restituisci quello che devi!”. 29 Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me e ti restituirò”. 30 Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. 31 Visto quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. 32 Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. 33 Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. 34 Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. 35 Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello».

Fra il Tutto e il niente dell’amore c’è una distanza incolmabile, nessuna possibilità di incontro, a meno che il Tutto non decida di riversarsi sul niente per farlo esistere e infondergli lo stesso amore, un frammento del Tutto. È quanto accade nell’autocomunicarsi di Dio all’uomo: Egli si dona come amore che perdona, secondo lo specifico attributo della misericordia continuamente attestato dalla Scrittura, rendendo simile al suo il cuore della creatura, chiamata pertanto a usare col prossimo la medesima compassione ricevuta dal Creatore.

Succede tuttavia che tale passaggio d’amore s’interrompa in quanto, nella sua libertà, il soggetto sceglie di non trattare gli altri per come è trattato da Dio, anzi di riservare loro un comportamento opposto, chiudendo il cuore al fratello e così colpendolo mortalmente. Sì, perché rifiutarsi d’amare è un modo di togliere vita ma anche di togliersi vita, facendo marcire dentro di sé il dono ricevuto.

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Perché ciò avviene? La parabola del servo spietato ci aiuta a rispondere a tale interrogativo. Essa scaturisce dalla domanda di Pietro sulla estensione del perdono, che per Gesù deve essere concesso «fino a settanta volte sette», ossia sempre. Subito il Maestro traccia lo sfondo del «regno dei cieli» nel quale collocare il discorso sulla misericordia; senza l’orizzonte del regno il perdono apparirebbe come una negazione della giustizia: è vero che, come la giustizia, il perdono vuole riequilibrare rapporti sbilanciati, ma a differenza della prima esso è unilaterale, non implica un certo scambio tra le parti in causa, poiché perdonante e perdonato stanno l’uno di fronte all’altro come il tutto dinanzi al niente.

Dunque unicamente nella prospettiva del regno è possibile esercitare la misericordia come atto gratuito e creativo, sapendo che essa è caparra del regno; in altre parole, se io sono compassionevole non solo sarò accolto nel regno di Dio, ma da seguace di Cristo non potrei fare a meno di vivere acquisendo la sua stessa sensibilità verso i peccatori.

Il debito del primo servo verso il padrone è una cifra simbolica, poiché per restituire 10.000 talenti si sarebbe dovuto lavorare 200.000 anni. Gli esegeti hanno visto in questa cifra il nostro debito verso Dio, la sproporzione che ritorna tra il Tutto e il niente. Mai potremmo corrispondere adeguatamente all’amore del Padre, che d’altra parte conosce il nostro limite, e guarda l’intenzione del cuore: è su quella che dobbiamo vigilare, perché quando facciamo tutto ciò che è nelle nostre possibilità per amare e servire Dio, nulla è da aggiungere al frammento del Tutto che così noi siamo, anche se poi non raggiungiamo tutti gli obiettivi desiderati. «Lo lasciò andare» è l’immagine di una libertà ritrovata per pura grazia, la conseguenza di un flusso ininterrotto di misericordia che ci tiene in vita, impedendoci di essere schiacciati dal senso di colpa per la nostra inadeguatezza dinanzi al dono di Dio.

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Dove andare con questa libertà donata? Il seguito della parabola indica la risposta: a liberare i fratelli ancora schiavi del peccato, che necessitano di gesti di accoglienza per ripartire nella vita. Il servo tuttavia si mostra spietato con un subalterno che gli doveva appena 100 denari, lo stipendio di 100 giornate lavorative. Ci sorprende e irrita tale durezza, ma ciò che più scandalizza è non aver fatto circolare il perdono ricevuto, aver preso senza dare. Ecco il problema: il perdono non si può prendere senza assimilarsi alla sua natura gratuita, senza diventare a propria volta ‘perdono’. Io non sono misericordioso quando non valorizzo il dono che Dio mi fa, lo consumo senza guardare in faccia il Donatore, e a quel punto penso di poter far finta di niente e vivere felicemente.

Il padrone parla al «servo malvagio» come Dio parla alla nostra coscienza e ci illumina su un comportamento che avrebbe dovuto essere naturale. Sappiamo però che il peccato tende ad autogiustificarsi, a legittimare scelte egoistiche che stridono col senso comune. Colpisce non tanto la severità della punizione, colorata di un linguaggio volutamente violento per scuotere l’ascoltatore, quanto la spiegazione, la ‘motivazione della sentenza’: il servo doveva fare come il padrone. Il Signore ci stima al punto da aspettarsi da noi un comportamento uguale al suo: davvero grande è la nostra dignità! Dunque la parabola mette in guardia dal pericolo che corriamo se blocchiamo il perdono, ma soprattutto apre mente e cuore, invitandoci ad andare oltre noi stessi. E il niente, ricevuto il Tutto, diventa suo preziosissimo frammento…

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Testo tratto (per gentile concessione dell’autore) dal libro “Parole che si vivono. Commenti ai Vangeli della Domeniche dell’Anno A” disponibile presso:

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