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don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 26 Maggio 2024

Domenica 26 Maggio 2024
Commento al brano del Vangelo di: Mt 28, 16-20

Domenica scorsa, con la solennità della Pentecoste, si è concluso il tempo di Pasqua, e con lunedì si è ripreso il Tempo Ordinario, ossia il tempo della Chiesa (nelle celebrazioni i sacerdoti sono vestiti di colore verde), tempo che ci ricorda che siamo chiamati a vivere il vangelo, nella normalità della vita quotidiana, testimoniando la gioia di essere discepoli di Gesù crocifisso e risorto. Se ci soffermiamo un attimo e volgiamo indietro lo sguardo, possiamo cogliere un unico disegno.

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Dal balcone del Cielo Dio Padre ha colto quanto gli uomini, dopo il peccato di Adamo ed Eva (Gn 3), si sono smarriti, incapaci di ritrovare la strada per tornare al Cielo: ha mandato i profeti per aiutarli a ritrovare la via; ma non solo non hanno dato loro retta, ma li hanno uccisi (cfr Mt 23,29ss). Alla fine, mosso da compassione, ha mandato il suo unico Figlio, «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna…» (Gal 4,4) “…E Dio si è fatto carne, e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14, Natale). Gesù, il Figlio di Dio, ha condiviso in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana, aiutandoci a far memoria che siamo creati da Dio, siamo suoi figli e che Dio è Padre.

Con le sue parole e la sua vita, ci ha insegnato con Verità la Via per tornare al Padre, Vita eterna. Così Gesù ci ha manifestato il volto del padre: “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (gv 14,9). Ci ha ricordato che la via al cielo è possibile per tutti, che non dobbiamo temere, non dobbiamo vergognarci… perché Dio Padre è amore, è fedeltà, è misericordia Gesù, obbediente al Padre, morì in croce per la nostra salvezza. Il terzo giorno risorse, vincendo sul peccato e sulla morte, aprendoci in questo modo la via per tornare al Padre suo e Padre nostro (Pasqua).

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Un cammino che possiamo fare con fiducia perché, Gesù asceso al Cielo ci ha donato lo Spirito Santo (Pentecoste), primo dono ai credenti, Amore fatto persona riversato nelle nostre persone – una sorta di attrezzatura divina – per vivere da figli di Dio. In questo modo si comprende perché oggi la liturgia ci fa vivere la solennità della Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo. Una sorta di sintesi e soprattutto meta del cammino fin qui compiuto.

Questo Dio, che si presenta Uno e Trino, non è così lontano come sembra, ma è invece talmente vicino che è si fatto per noi Pane spezzato, Corpus Domini (domenica prossima). Pane del Cammino verso il Cielo, Pane degli angeli. Un dono che custodisce e svela il Sacratissimo Cuore di Gesù, solennità che celebreremo il venerdì successivo al Corpus Domini.

Tre ricorrenze liturgiche che riassumono il mistero della nostra fede, dischiusa in questi mesi: dal natale alla morte e risurrezione di Gesù, alla sua Ascensione fino alla Pentecoste.

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Entriamo così nei testi biblici di questa domenica. Le letture sono state scelte con lo scopo di “aiutarci a fare esperienza” della Santissima Trinità.

Nella I lettura, tratta dal libro del Deuteronomio, ci viene presentato il Padre, autore e custode di ogni cosa. Mosè vuole aiutare il popolo ebreo a comprendere che l’esperienza della liberazione dall’Egitto e del cammino nel deserto verso la Terra Promessa è stata un’esperienza di elezione, di amore, dove Dio ha guidato il popolo, lo ha protetto e lo ha salvato non per meriti del popolo stesso, ma per l’amore incondizionato e compassionevole del Signore: “Tu sei un popolo consacrato al Signore… Dio ti ha scelto per essere il suo popolo… vi ha scelti non perché siete più numerosi di tutti gli altri popoli, ma perché il Signore vi ama” (Dt 7,6-8).

Per far cogliere questo, Mosè esprime una serie di domande retoriche: ”Vi fu mai un popolo che abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco?”; “Vi fu mai un popolo liberato dalla schiavitù grazie all’intervento di Dio? Domande che mirano a cogliere le grandi opere di Dio, dalla creazione (v 32) alla manifestazione sul Sinai (v 33) fino all’Esodo (v. 34). Dio è Dio! (cfr Gb 38).

Al popolo, e oggi a noi, viene chiesto di riconoscere Dio e di ascoltarLo: “Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno” (Dt 6,4). E in questi tratti cogliamo il profilo di Dio Padre che si prende cura dei suoi figli e che assicura loro quanto hanno bisogno. Esperienza che suggerisce che non siamo sotto la dittatura dell’emozione o della coincidenza, ma della Provvidenza. Questo è il motivo di gioia che si trasforma in lode nel salmo!

Nella II lettura, tratta dalla lettera di san Paolo Apostolo ai Romani, troviamo tratteggiato il “profilo” dello Spirito Santo, di cui abbiamo parlato domenica scorsa, nella solennità della Pentecoste. E’ lo Spirito che dà vita nuova e rende figli adottivi di Dio, dice Paolo. Il brano prosegue elencando i frutti che lo Spirito fa emergere nella vita di coloro che vivono secondo Dio. Appare qui per la prima volta il tema dell’adozione. Un concetto che ricalca l’elezione d’Israele chiamato più volte “mio primogenito” (cf Es 4,22; Is 1,2; Ger 3.19-22; Os 11). Il dono dello Spirito rende tutti noi figli adottivi, ricorda Paolo ai Romani, e quindi nessuno può più considerarsi schiavo. E prova ne è che in Gesù tutti possiamo rivolgerci a Dio chiamandolo “Abbà”, Padre. E proprio perché siamo figli, siamo anche eredi della sua gloria.

Il Vangelo ci presenta i versetti conclusivi del vangelo di Matteo, e in particolare il mandato missionario dato da Gesù agli apostoli. Con Gesù e grazie a Gesù, veniamo introdotti nella vita divina. In Gesù tutto si svela, anche se ci vorrà del tempo per capire. Gli Undici si recano in Galilea, lì dove Gesù ha dato loro appuntamento: “Vi precede in Galilea” (v. 16), il “luogo della prima ora”, il luogo ordinario della vita (per i discepoli e per noi), lì dove abitano anche i pagani (cfr Is 8,23, Galilea delle nazioni).

E, come promesso, lo trovano e vi si prostrano davanti, anche se dubitavano. I discepoli sul Monte incontrano il Signore – come un tempo Mosè incontrò Dio sul monte – e qui ricevono il mandato di andare nel mondo, realizzando in questo modo la profezia di Daniele: “Tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano” (Dan 7,13- 14). Oggetto della missione loro affidata è “battezzare nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”: formula che troviamo solo in questo versetto.

Gesù non “manda” per insegnare, ma per rendere partecipi di un’esperienza, quella del battesimo; questo significa fare esperienza di perdono, di professione di fede in Gesù come Messia e Signore, significa entrare in comunione con Dio che è Padre, Figlio e Spirito Santo (cfr 1Cor 12,4-6; 2 Cor 13,13; 1Pt 1,2). Significa rendere partecipi le genti di un’esperienza di vita, di libertà, di amore, certi che il Signore è, e sempre resterà, “con noi”, perché è l’Emmanuele, il Dio-con-noi (cfr Natale). Questa è la certezza più grande che abbiamo, è la ragione della nostra gioia e della nostra speranza: Dio è con noi, e “Anche se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male perché tu sei con me” (Sal 23,4).

Diciamo subito che la solennità della Santissima Trinità non ci presenta una formula magica da imparare a memoria, seppur ben sintetizzata ed espressa nel segno di croce. Come ci ricorda Gesù nel vangelo, siamo battezzati “nel” nome del Padre, Figlio e Spirito Santo e camminiamo nella certezza che Gesù rimane “con noi”. Siamo immersi in quel Dio che è Padre amore, Figlio amore, Spirito amore.

Dio è relazione e se vogliamo essere «come Lui», dobbiamo crescere nella capacità di essere uomini e donne di relazione, con Dio e con gli altri. Non si tratta tanto di “insegnare” chissà quali formule teologiche, ma di contagiare gli altri della gioia sperimentata, la gioia d’aver fatto esperienza dell’amore misericordioso di Dio. La fede non possiamo ridurla a concetti astratti! È esperienza di amore: all’inizio del nostro essere credenti non c’è un’idea, ma c’è una Persona, un Tu.

Per gentile concessione di don Andrea Vena. Canale YouTube.

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