don Andrea Vena – Commento al Vangelo di domenica 11 Giugno 2022

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Domenica scorsa abbiamo celebrato la solennità della Santissima Trinità, di Dio-Amore. Un Dio che appare lontano,  inafferrabile e che invece è alla nostra portata più di quanto si pensi: è nell’Eucaristia! È nella Parola! E, illuminati dalla  Parola e nutriti dall’Eucaristia, sapremo vederlo nel fratello e nella sorella che incontriamo, nel sole, nella luna, nell’acqua… Dentro noi stessi, là dove insieme ad altri preghiamo e lavoriamo uniti nel Suo nome… Ecco dov’è Dio-Amore.  Qui. Ora. Celebrare la solennità del Corpus Domini è occasione per rimettere in ordine ogni cosa affinché ci lasciamo avvolgere dall’amore di Dio per amare come Lui.  

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Sì, perché l’Eucaristia ci ricorda che Dio-Amore è molto più concreto di quanto si possa solo immaginare e chiede di  essere amato-adorato nello stesso modo, con concretezza: «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi i  fatti» (1Gv 3,18). Come Dio-Amore ha preso «corpo», così anche noi siamo chiamati a dare «corpo» alle nostre parole,  perché Dio-Amore non ha amato a parole, ma si è fatto carne pur di salvare l’umanità.  

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Il testo del Deuteronomio, scelto come prima lettura, invita a ricordare come il Signore ha sempre accompagnato il  cammino dell’uomo, come lo ha liberato dalla schiavitù e condotto lungo il deserto dove lo ha «nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri». Un’esperienza che si è radicata nella memoria del popolo di Israele e si è fatta lode nella pre ghiera, come saremo invitati a fare anche noi nel canto del salmo: «Egli… ti sazia con fiore di frumento». Dio-Amore,  quindi, si rivela come il Dio provvidente, Colui, ci ricorda il vangelo che pur di saziare la fame del popolo, non solo dona  pane, ma si fa Lui stesso cibo. 

vv. 51b-52: «Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò  è la mia carne per la vita del mondo».  

Il Dio-Amore è Colui che si fa Pane vivo per noi. La notte di Natale così diceva il Vangelo: «Diede alla luce il suo figlio  primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia…» (Lc 2,7). La mangiatoia, commentavo, era lo spazio dove  gli animali potevano trovare cibo. Ebbene, in quel posare Gesù nella mangiatoia Dio ci ha fin da subito suggerito che  Gesù si faceva cibo per noi.  

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vv. 52: «”Come può costui darci la sua carne da mangiare?”. Gesù disse loro: “In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve  il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno…».  

Gesù è il pane «vivo» per cui chi ne mangia avrà la «vita». Se osserviamo attentamente, in queste poche righe troviamo  riportati termini come «mangiare» (8 volte), «bere-bevanda» (4 volte); «carne» (6 volte), «sangue» (4 volte), «vita/vi vere» (9 volte). Sono parole che dobbiamo contemplare, non spiegare, perché non riusciamo a capirne la portata e ad  accoglierle in pienezza. Se noi vogliamo vivere della vita vera, non solo quella biologica che va verso la morte, dobbiamo  mangiare il pane che Gesù ci offre, se stesso. Tutta la sua vita, tutta la sua azione, tutte le sue parole, dalla nascita a  

Betlemme fino alla morte di croce, tutto è innestato nel Padre: una vita vera spesa fino alla morte di croce per noi.  v. 52: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».  

I giudei cominciano a criticare Gesù e forse anche noi esprimiamo a Dio le stesse obiezioni, talmente prigionieri della  sola logica umana. Gesù non si scandalizza di queste obiezioni, ma rilancia ancor di più, dichiarandosi Lui stesso «Pane  di vita».  

vv. 57: «Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per  me».  

Da questo versetto si comprende bene che Gesù si nutre della relazione con il Padre e vive in Lui. Così se noi vogliamo  vivere, dobbiamo relazionarci con Gesù che è vita. Gesù si è offerto a noi facendosi Uomo e anche Pane di vita, invitan doci a nutrirci di Lui per divenire una cosa sola in Lui. Non si tratta di imparare una formula a memoria, ma di entrare in  relazione con Lui, di far sì che Dio diventi veramente il «mio Dio», Vita in me.  

L’Eucaristia porta a pienezza ciò che il Battesimo ha realizzato nella nostra esistenza: la vita di Gesù, «concretamente»,  diventa nostra vita e noi, cibandoci tutti di Lui, siamo suo corpo, membra viventi di Lui nello Spirito Santo.

Potremmo sintetizzare così per cogliere il disegno complessivo: «La Parola si è fatta carne» in Gesù (Gv 1,4); «La carne  di Gesù si è fatta pane» (cfr Gv 6,51), il pane ci dà la forza, il sostegno per giungere alla vita eterna (cfr Gv 6,51).  Ma solennizzare il Corpus Domini – riconoscere la preziosità dell’Eucaristia – non porta a niente se sono solo parole,  dicevamo: questa logica d’amore deve farsi Presenza attraverso di noi. Che senso ha, infatti, incensare l’Eucaristia se  poi non incenso con gesti di attenzione e di misericordia il fratello che mi sta accanto? Che senso ha ricoprire di addobbi  di ogni tipo l’altare e la chiesa se non ricopro chi manca del necessario per coprirsi? Che senso ha accendere mille candele all’altare se poi non illumino con il mio sguardo e la mia parola coloro che sono smarriti di cuore? Se non imparo a  passare dall’altare alla strada, vuol dire che forse sto sbagliando strada, rischiando anch’io di essere un «sepolcro imbiancato: all’esterno belli e giusti, ma dentro pieni di ipocrisia e di iniquità» (cfr Mt 23,27).

In fondo si tratta di dare  «corpo» all’espressione «Vado a fare la comunione»: si, comunione con Cristo realmente presente nell’Eucaristia – «Questo è il mio Corpo…» (Mc 14,22) – e comunione con i fratelli dove realmente Cristo è presente: «Avevo fame e mi  avete dato da mangiare… tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt  25,40). Ecco perché durante le celebrazione della messa la Chiesa, fedele al mandato di Gesù, invoca esplicitamente lo  Spirito Santo due volte: una, nel momento della consacrazione del pane e del vino: «Ti preghiamo: santifica questi doni  con la rugiada del tuo Spirito perché diventino per noi il Corpo e il Sangue del Signore nostro Gesù Cristo»; e subito dopo la  consacrazione, perché il popolo diventi un solo Corpo: «Ti preghiamo umilmente: per la comunione al Corpo e al Sangue  di Cristo, lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo» (cfr Preghiera eucaristica II).

Quindi s’invoca lo Spirito sia perché il  pane e il vino diventino Corpo e Sangue di Cristo, Corpus Domini, ma anche perché noi tutti che partecipiamo all’unico  Pane diventiamo un solo Corpo, come ricorda anche san Paolo ai Corinti (II lettura). Che senso ha, infatti, fare la «comunione» con il Signore se poi non siamo capaci a entrare in «comunione» tra noi per divenire una cosa sola, come  Gesù ha desiderato e pregato: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo  creda che tu mi hai mandato… siano perfetti nell’unità» (Gv 17,21-23). Su questa unità, su questo «far comunione» si  gioca la credibilità della Chiesa, del nostro essere cristiani.  

A questo punto, visto le divisioni e le discordie, verrebbe la tentazione di rinunciare, di evitare di «fare la comunione»  finché non impareremo a «far comunione tra noi». Ma questa è una tentazione diabolica, perché solo facendo comunione con il Signore, solo vivendo in Lui impareremo pian piano a fare comunione tra noi. Quindi, continuiamo a «far  comunione» col Signore Gesù finché non impareremo a divenire noi tutti strumenti di comunione. Solo così il Corpus Domini di cui ci nutriamo ci farà Corpus Domini, e il mondo crederà.  

Il commento al Vangelo di domenica 11 giugno 2023 curato da don Andrea Vena. Canale YouTube.