don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 4 Ottobre 2020

Lontano

E in quel momento, ma non è detto che arrivi, quello che fai è chiederti di che materia era fatta quella cosa che chiamavi fede.

Non è questione che prima credevi e poi, di colpo, no, è qualcosa di molto peggio, è che prima potevi credere o non credere, ma avevi tra le mani Qualcosa e poi, di colpo, non più. Stiamo parlando di mani vuote, niente da pregare e niente da maledire. L’esatto opposto di Giobbe, lui ha lottato, dall’inizio alla fine, beato lui, il dramma vero è quando senti distintamente che può esserci l’ipotesi di un grande terribile infinito vuoto. E la senti quella dannata solitudine che ti strappa da tutto ciò che fino a quel momento credevi eterno.

E se inizi a credere davvero alla possibile esistenza del vuoto succede che non riesci a  riempirlo più con niente, non con le preghiere, nemmeno con le bestemmie. Niente. Da un girono all’altro le preghiere si accartocciano e non volano e non ti disperi nemmeno più, solo ne prendi atto. In quel momento ti sembra che il padrone della Storia non solo “se ne andò lontano”, come dice la parabola, lasciando un vuoto terribile, ma ti riempie una specie di sicurezza, un piccolo risveglio: il padrone non c’è mai stato. C’è solo la vigna. E con quella, e solo con quella, devi misurarti. Fuor di parabola, c’è solo questa vita che viviamo e tocchiamo e nessun padrone che se ne è andato e nessuno che tornerà. Nessun padrone da aspettare, nessun padrone da maledire, niente di niente. Solo la vigna.

Perché prima il vuoto non era così vuoto? Perché qualcuno si è sempre premunito di riempirlo. Perché un uomo con il vuoto dentro è un affare, se si lascia riempire fino al vuoto successivo. Un vuoto da riempire crea dipendenza: così nascono e si mantengono le religioni (ecco perché il padrone della vigna se ne andò, per mandare al macero ogni religione, ogni dipendenza). Tutte le religioni, anche quelle laiche, usano il vuoto: lo riempiono di angeli custodi e poi di preghiere e poi di carità e poi di strutture e poi di raffinate teorie e poi di libri e poi dell’illusione del benessere e poi del paradiso… per ogni vuoto si sceglie un contenuto adatto. Qualsiasi religione ha senso proprio per la sicurezza che riesce a garantire con i suoi riti e le sue teorie. Riempimenti. E si può vivere una vita intera credendo di credere, pieni di qualcosa che chiamiamo Dio.

Invece Gesù chiede di scartare, non di riempire. Di ripartire proprio da quello che la religione scarta e sempre scarterà: il Vuoto è restare con le mani vuote dai riempimenti religiosi.

Gesù chiede di prendere sul serio questo padrone della vigna che “se ne andò lontano” e di vivere con questa Assenza nel cuore, chiede di non riempirlo con niente. Ma di guardare quella vigna vuota perché è lì che si gioca tutto, in quello spazio. Il gioco della fede prevede il Vuoto. Prevede di fare seriamente i conti con un’Assenza che è seriamente drammatica. Con un Dio che non interviene, con Parole che non ci sono, con preghiere gelide e vuote, con deserti e dubbi. La fede prevede il Vuoto, ecco perché il padrone della vigna se ne va. Ecco perché la religione non ha fede. Perché ogni religione riempie i vuoti di sicurezze.

Invece: rimanere davanti alla vita con un vuoto dentro e interrogarla la vita. Provare a imparare dalla vigna.

Perché quello che il padrone della vigna vuole davvero è trasformare in padrone ogni vignaiolo. Anche me e te che stai leggendo. Ma non sullo stile di quegli operai che si trasformano nel Dio violento e spietato in cui credono, prodotti perfetti di religioni senza dubbi ma vignaioli che imparano dall’Assente il suo stile.

La vita va svuotata per non farci ricadere nella tentazione di trasformare Dio in un idolo, in un riempimento, in una rassicurante sicurezza, la vigna è vuota perché quel vuoto è l’occasione di trasformare noi in divini vignaioli.

Se impariamo a raccogliere quelle pietre che le religioni scartano: prima tra tutte l’amore per la terra, per questa terra così come è, senza affrettate fughe in cielo: c’era un uomo che possedeva un terreno. Fede è innamorarsi, possedere con amore un pezzo di terra che ci è stato affidato, come il Signore ama la sua creazione e le sue creature. Trasformare in pietra angolare il mondo, la terra, il corpo, noi stessi. Non scartare ciò che siamo, la terra su cui viviamo, possederla invece con amore e devozione.

E vi piantò una vigna. Perché divino è l’atto del seminare, del chinarsi piano su quello che gli altri chiamano deserto. Perché divino è imparare l’azione del seme e non pretendere interventi dall’alto. Divino è chi preferisce la cura e l’attesa, è chi riesce a vedere i frutti racchiusi in un seme.

La circondò con una siepe. Quello che le religioni scartano e da cui bisogna ripartire è la capacità di difendere la vita rinunciando alla falsa sicurezza della violenza, dell’arroganza, del sentirsi sempre sicuri e senza dubbio. Serve molta fede per chinarsi sulla fragilità, propria e altrui, e proteggerla. Serve molta fede ad accogliere l’altro e proteggerlo, ad accettare di aver bisogno dello sguardo del fratello perché il nostro non basta. Non siamo gli unici eredi della verità come vorrebbero i vignaioli omicidi.

Bisogna ripartire da quelle pietre che le religioni, troppo sicure di sé, scartano: vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre: è la capacità di assaporare il gusto del frutto prima del raccolto. Quel torchio e quella torre in mezzo a un campo senza frutti sono il segno di un Sogno, la fiducia di un Dio che crede nella possibilità umana di dare frutto. La fede di cui abbiamo bisogno è questo sguardo carico di fiducia sull’uomo, sguardo libero dalla paura.

E se ne andò lontano. Perché ad avere fede non è l’uomo ma Dio che con il suo andarsene sancisce la sua fiducia nei nostri confronti, è questa, ed è sua, la fede che ci salva, la fede nella nostra capacità di comprendere che il Senso profondo della vita non è riempire quel Vuoto di sicurezze facili ma di mantenerlo aperto, spazio vitale per imparare ad agire con lo stesso stile di Dio. Siamo nella vigna per aspettare il ritorno di un Dio che chiede spazio nella nostra carne. Noi siamo il segno della presenza del Signore nella vigna del mondo.


AUTORE: don Alessandro Dehò
FONTE: Sito personale
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