don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 3 Gennaio 2021

In principio

(chiedo perdono, parole scivolate con eccessiva libertĂ )

II dopo Natale anno B 2020

Per principio ho ucciso il me stesso libero e gioioso, per principio mi sono vergognato del dolore e della poca speranza, perfino di amare mi sono vergognato perché per principio il corpo andava preservato. O così dicevano. Per principio ho alzato la voce ma con quel sorriso cattolico di chi ferisce fingendo di curare, per principio ho usato parole per spiegare, convincere, sedurre. E così le ho sciupate. Per principio ho abusato del cadavere di idee maturate in anime altrui, credendo di crederci. Ne ho lisciato la pelle, lucidato la punta, le ho usate per presidiare una verità ereditata solo per principio. Per principio mi sono arruolato e mi hanno presentato liste di nemici. Per principio ho abitato case come caserme.

Per principio mi sono negato a me stesso, e ho difeso religioni scambiandole con il divino e ho agghindato parrocchie con ridicoli vestiti cuciti al caldo delle mie frustrazioni. Mi perdoneranno mai quelli che mi hanno creduto? Per principio mi sono opposto alla tenera mascherata dei tradizionalisti e per lo stesso principio non ho intuito la logora paura apparecchiata dentro postconciliari intellettualistiche vetrine. Per principio non si poteva dire che eravamo e siamo poveri cristi con la stessa paura di smarrirci.

Per principio sprechiamo la vita in guerre di immobili posizioni. Per principio ho difeso l’indifendibile. Per principio, ma principio di altri, mi hanno fatto credere di essere libero, hanno estorto assenso, mi hanno confuso di consenso.

E se ora decidessimo di decidere di noi? Come Lui vuole.

 E abbandonare, finalmente abbandonare, come ci si libera da una corda che tiene al molo un legno fatto per navigare.

Abbandonare le scelte per principio e decidere, finalmente, di entrarci dentro, di inseminarci, di battezzarci, di seppellirci dentro, (dentro!) il principio. Dentro, capite? Non più agire “per” ma agire “in”, in principio. Evangelico prologo, finalmente. Con tremore lo dico. Senza assicurare la mia fedeltà, solo alla fine potrò verificare di non aver tradito. Non assicuro di non peccare di anticipata diserzione.

Occorre mettere in conto di rischiare di perdersi, dopo aver accettato di perdere. Vivremo cercando di infilzare con ferocia compassionevole la crosta che protegge l’appartenenza che rassicura e scaveremo con le nostre povere mani dietro gli occhi dell’assassino, alla radice del violento, oltre la barricata del demone, scendere implacabilmente scendere, fino alle sorgenti del sangue, accettare di non coprire l’abuso, di svelare l’oltraggio. Proveremo a raggiungere, se mai si farà trovare, il bambino. Sì, il bambino che in principio ognuno conserva sepolto in qualche sepolcro, al riparo da noi stessi. Erode siamo delle nostre vulnerabilità.

Seppelliamo bambini per principio di sopravvivenza alla paura di non essere all’altezza.

Seppelliamo bambini perché ci impaurisce il pianto indifeso e l’innocenza e azzanniamo per paura di morire.

In principio, perché nessun Giuseppe ci ha mai salvato accompagnandoci al nostro principio? Qualcuno avrebbe dovuto guidarci, tenendoci per mano, aiutandoci a spostare i massi che per principio di trincea avevamo già accumulato a difesa della nostra vergogna. Cumuli di sensi di colpa, macerie ereditate da ferite antiche non nostre eppure passati come tumori a cui finiamo per affezionarci. E diventiamo metastasi noi pure.

In principio avrebbero dovuto portarci, possibile che nessuno c’era di così coraggioso? A riconoscerci in quel bambino che piangeva e che timido credeva di essere inadatto alla vita. Perché ci avete armato? Perché corazzare il cuore? Perché continuare a seppellire selvatiche fragilità? Perché alla paura opporre sempre e solo un principio di aggressione? E la compassione? Non ne eravamo forse degni? Perché non rischiare di infrangere l’abitudine?

Perché non iniziare a chiedere scusa? No, non per ripartire da principio come a voler rimangiare ciò che è stato, non si può, lo sappiamo, ma per camminare, per procedere fino al principio di ogni cosa, negli occhi e poi giù fino al cuore, a chiedersi il perché di tanto dolore, e spogliarsi, e camminare, andare al principio che è meta e non radice, finale di sinfonia, speranza e non nostalgia.

Che sia questa l’unica vera educazione? Spostare fino a rompersi le unghie le altrui convinzioni, con gentilezza scansare tutte le nozioni, smettere di mandare a memoria ma baciarsi di spietata compassione e poi accarezzare la nostra intima debolezza, riuscire a dire, senza pretesa, che si può aver paura, educarsi al pianto, ripulirlo dall’odio, dalla violenza, dalla pretesa, dalla rivendicazione, sfilare il grido violento e sciogliere il dubbio che l’altro voglia sempre e solo abusare della nostra presenza. Che sia questa l’unica vera educazione? Andare al principio di ogni nostra triste perversione, andare a disarmare la via del sangue e con compassione chinarsi sul bambino che nascondiamo e guardarlo negli occhi e poi provare a dire:

puoi piangere adesso, bambino mio
puoi smettere di trattenere,
di fingere e di aggredire
anche di uccidere puoi smettere perché
qui
adesso
si può piangere e farsi abbracciare
si può piangere e aspettare che ogni lacrima si perda
tra le dita di chi
al principio
creò
in giorno di eterno Natale
la fragile umanità.    


AUTORE: don Alessandro DehòSITO WEB Leggi altri commenti al Vangelo della domenica

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