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don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 28 Aprile 2024

Domenica 28 Aprile 2024
Commento al brano del Vangelo di: Gv 15, 1-8

“Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore” 

Così noi stiamo, come tralci sempre bisognosi di cura. Stiamo, in attesa dell’Agricoltore, è lui che crede in noi, lui che passeggia tra i filari delle nostre faccende quotidiane, lui che scruta il cielo per indovinare l’arrivo di eventuali tempeste, lui che ripara dal sole e spera che il vento rimanga gentile, è lui che crede, lui che ha fede che il legno possa lacrimare ancora, perché lui sa che c’è un pianto di linfa a precedere il rigonfiamento delle gemme, piange il legno, a dire che la vita è ancora viva.

Siamo degni di fede, è lui che non smette di credere in noi, anche perché, se noi smettessimo di dare frutto, l’agricoltore non sarebbe più tale, ha scelto di implicarsi, di giocarsi con l’uomo la propria identità. Se noi siamo vite senza di noi l’agricoltore semplicemente non sarebbe più. Tutto è connesso: i tralci, la vite, le radici e il cielo, l’uomo e Dio, alleanza di reciproche identità. Non esiste amore senza vitale connessione.

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“Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo purifica perché porti più frutto”

Noi siamo tralcio, e siamo in Lui, siamo indissolubilmente legati, non possiamo scegliere, siamo condannati al suo amore, siamo la sua vita, il nostro possibile frutto determina la sua divina identità. Ogni taglio inferto alle nostre sterilità è una ferita dolorosa che Dio infligge a se stesso, è un Dio compromesso, questa è l’incarnazione. D’altronde ama solo chi è legato, chi non si risparmia, chi sceglie di non proteggersi.

Non è più tempo di ascoltare i buoni consigli, è tempo di aprire gli occhi e di accorgersi di chi è veramente “in noi”, chi vive nella nostra vita, chi muore nelle nostre morti. Non è più tempo di spiegazioni, e non lo è mai stato, conta solo chi è innestato alla nostra vita, chi è vivo della stessa linfa. Dio non è un concetto a cui credere o su cui disquisire o da usare per scriverci libri, o è vita della nostra vita oppure rimane solo blasfema saccenza di chi si illude che basti sapere senza patire. Professionisti della religione, consulenti del sacro, compilatori di perfetti progetti pastorali, eppure solo rami secchi.  

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Così non resta che imparare a tacere, non dire piĂą nulla a nessuno, non correggere, non consigliare, nemmeno distribuire inutili complimenti se noi non siamo disposti a dare la vita per la persona che abbiamo davanti. PiĂą ancora, tacere completamente se non ci sentiamo vita della vita dei nostri fratelli. Solo un legame vitale legittima relazioni sensate. Il tempo si è fatto breve, occorre mettere al rogo ciò che in noi non è disposto a morire, ne va della nostra felicitĂ .   

“Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato”

Il taglio purifica perchĂ© il frutto possa esplodere nella sua dolcezza. A purificare è il taglio della Parola, il frutto è l’amore. A nulla serve credere se in noi non germoglia il frutto della compassione profonda verso tutti gli esseri viventi. A nulla le catechesi e le liturgie, a nulla i sinodi e le strutture parrocchiali, a nulla gli eremi e i ritiri spirituali, a nulla le meditazioni o le grandi intuizioni di pensiero, a nulla Crocetta e queste parole, a nulla la perfezione di una vita religiosa se il nostro cuore non si lascia ferire dalla lama dell’amore. Meglio tagliare tutto, perdere ogni cosa, purificarci dalla pesantezza di ogni struttura se il nostro cuore non ama. A cosa serve tenere in piedi strutture se il cuore è morto? Se viviamo mantenendo le distanze con tutto e con tutti, se non sentiamo che Lui è in noi e in ogni cosa, che ogni cosa è legata e che se muore un fratello muoio anche io.  A cosa serve credere se non si ama? A cosa serve la fede se non lasciamo che Dio sia in noi e in ogni cosa?

“io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano”

Rimanere in lui e lui in noi. Per Cristo, con Cristo, in Cristo. C’è bisogno d’altro? Senza di lui non possiamo fare nulla, senza di lui tanto vale tagliare e bruciare parti di noi che disseccano aride e ingombranti. Paziente verifica quotidiana delle nostre azioni, tenere solo ciò che rende visibile l’Invisibile, ha senso solo ciò che, accadendo, mostra nello stesso istante il nostro volto e quello di Dio, le nostre identitĂ  sono legate, questa è l’Alleanza.

Camminare tra le faccende del mondo sperando di incrociare fratelli che mi mostrino il volto di Dio, saperlo riconoscere, ringraziare, accoglierlo. Un Dio che sceglie di rimanere in me nonostante me.

Che dolce, a sera, mentre lascio che la luce della luna attraversi le nuvole e il vetro della finestra, mentre le stelle tengono appesa la volta celeste, sentire, sentire senza ombra di dubbio!, che Lui sceglie ancora di rimanere in me, di addormentarsi con me. E sentire che io, senza di lui, sarei solo legna da ardere per la durata di un niente.

Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehòpagina Facebook

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