don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 21 Maggio 2023

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Ascensione è fecondazione

(Matteo 28,16-20)

Ascensione 2023

Cammino verso il monte che tu mi hai indicato, ci cammino tutti i giorni, è insieme monte delle Beatitudini e monte Calvario, è il monte che mi avvicina a Te ma, insieme, è esercizio di morte e di solitudine, di distacco. Cammino respirando il silenzio, c’è sempre silenzio qui, su questi monti, come se fosse il respiro intimo delle foglie, come se fosse il belato delle nuvole. Mastico il vento, piango, sorrido, vivo, penso, cammino. Salgo verso il monte, tu mi indichi sempre una montagna, mi sembra di portarmela dentro come un pugno di roccia, da sempre, incastrata negli occhi e nel cuore, mi sembra che tutta la mia vita non sia stata altro che un procedere su sentieri sassosi e scoscesi, appuntiti. Te ne sono profondamente grato. Stare fermo non mi riesce. Mi svilisce, scolora la mia identità.

Cammino verso il monte che tu mi hai indicato e finalmente mi riconosco Undici, mancante, e stavolta, te lo giuro, non rimpiazzerò il traditore, me lo porterò dentro, me lo trascinerò dietro, inciso nel nome, Giuda sarĂ  l’amico da ringraziare, il santo a cui affidarmi, Giuda sono io, strappo alla perfezione, scarto, Giuda è il motivo del mio cammino, la provvidenza che non permette di trasformare la processione nostalgica verso di te in corteo celebrativo, Giuda sono io che mi nascondo, che rinnego, che mi appendo ad un albero in attesa di essere colto, tragica preghiera di chi può solo sperare d’esser trasformato in frutto dalle tue dita. Giuda è ciò che mi permette di rimanere Undici, mancante, ad elemosinare una felicitĂ  che da solo non riesco piĂą nemmeno a immaginare. Undici è il lato vuoto del cuore, quello che mi hanno strappato a morsi i morti che mi hanno lasciato qui, ad aspettare, a sperare. Undici sono io e cammino ancora solo per quell’Uno mancante, per quel disequilibrio profondo, come acqua che si tuffa nel Vuoto.

Cammino perché ti vedo, finalmente ti vedo, e non sei più la proiezione perfetta delle mie fantasie, non sei il tratto sicuro delle mie riflessioni pulite, non sei ciò di cui ho bisogno, non sei la consolazione delle mie paure, non sei la rivincita dei miei fallimenti. Ti vedo perché non sei come io ti vorrei. E così mi prostro, smarrito e sconfitto, impiccato alla terra, novello Giuda, se vorrai sarai tu a cogliermi e a trasformarmi in fiore, se non vorrai starò così, per sempre, in attesa di morire davvero, adorare da prostrato è l’atto più vicino al seppellimento che io conosca.

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E che io dubiti, che io sia dubbio sfinito sulle pendici di un monte che profuma di casa, questo mi fa sorridere, e ben sperare, perché se io dubito almeno tu ti preoccuperai ancora di me, perché se io dubito almeno tu non puoi stare in pace, nemmeno da risorto, perché l’amore non si pacifica, perché il mio dubbio ti aiuta a restare amore al mio fianco, innamorato in cerca del mancante. Se tu non rimanessi amante del Cantico, se tu non fossi malato di me, io non ti riconoscerei più.

Così ti avvicini, certo che ti avvicini tu, io sono schiantato a terra, io sono immobile, io sono il vertice del tuo corteggiamento, io sono niente se tu non vieni.

Così ti avvicini, dalle tue labbra scorre il cielo e si concretizza la terra, dal suono della tua bocca tutto il potere del Cosmo, terribile e definitivo tu crei, non sai che plasmare forme viventi, ogni tua parola condannata a dilatare la perfezione di Genesi, tu profani il settimo giorno, tu sei il Dio che non riposa, nemmeno dopo essere stato crocifisso, nemmeno prima di ascendere, tu sei la vita che non smette di concepire, forse per paura di sparire.

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Certo che andrò a fare discepoli, ma lo farò da discepolo, sarò il traditore e il mendicante, il folle e l’aguzzino, sarò il peccatore e l’impiccato, sarò la carta da giocare per stupire l’umanità con la tua misericordia gratuita e immeritata. Credi che io non sappia che mi stai usando? Che mi costringi a raccontare in eterno la mia vita per tenerti inchiodato al mondo, per sconfiggere l’oblio di te? Credi davvero che io non senta le tue mani su di me? Eppure ti scelgo ancora, scelgo di essere obbediente a questa condanna d’amore, a questa costrizione, lo faccio perché sei l’unica cosa che mi tiene in vita.

Battezzerò il mondo intero immergendo ogni cosa in te. Prenderò le mie tentazioni per la gola, le trascinerò dai capelli costringendole a non dimenticare la carne, perché vera tentazione, vero peccato non è altro che quello di convincersi dell’esistenza di una pace astratta e lontana, vero peccato è rinnegare la tua incarnazione è dimenticare la carne, vero peccato è credere che ascensione sia dimenticare il corpo in favore del cielo, vero peccato è non darti le mie carni per farti scendere nel profondo della mia miseria. Ascensione è fecondazione.

E poi osserverò quello che tu hai comandato. Comandato, ordinato, imposto, perché l’amore non è gentile, perché tu mi hai costretto a te, perché sono lontani i tempi in cui credevo d’essere io a poterti scegliere. Sei tu che mi costringi a te, io obbedirò, anche perché non riesco a fare altro ormai, che tu sia con me tutti i giorni è una dolce condanna che sconterò giorno per giorno. Sappi che me ne ricorderò, il giorno ultimo me ne ricorderò, e ti rinfaccerò che sei stato tu a scegliermi. E così non potrai più abbandonarmi. Perché io dubito, ma di me, non della tua cocciuta amorosa ossessione per l’uomo.

Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehòpagina Facebook

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