don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 21 Giugno 2020

Io ho paura di me

In quel tempo Gesù disse ai suoi apostoli “Non abbiate paura degli uomini…” e invece io ho tanta paura degli uomini, da sempre. Sento la durezza dell’animo umano, mi fa paura la violenza, la rabbia, la vendetta mi fa paura, la sofferenza che porta chi può approfittarsi di me. Ho paura perché mi conosco, so bene che noi uomini possiamo diventare terribili, ho visto amori trasformarsi in torture e legami chiudersi a cappio, conosco, e non per solo per sentito dire, la frustrazione che diventa rabbia, l’ingiustizia che si trasforma in aggressività, la gelosia che deforma i lineamenti del cuore. Conosco l’uomo, e mi fa paura, perché so bene che per amore, per paura della solitudine, ma anche per niente, può diventare cattivo, so che basta un “no” per scatenare reazioni d’inferno, o mezza incomprensione per perdersi per sempre.

Io ho paura dell’uomo perché sono un uomo.

Io ho paura degli uomini e quando Geremia accusa perfino gli amici affermando che stanno aspettando la sua caduta io credo che ci sia qualcosa di terribile dentro di noi. E che il male esiste, e che non tutto è spiegabile, e che siamo poveretti in cerca di aiuto ma se non abbiamo il coraggio di dirlo, alla fine, ci trasformiamo in carnefici.

Io ho paura degli uomini, e di quel mondo che Geremia disegna, fatto di vendetta e di violenza, e mi dà fastidio che il profeta tiri dentro il Signore sentendosi sicuro di averlo dalla propria parte. Ma quale è la parte di Dio? Io non riesco a schiodarmi dai piedi della croce, se mai c’è una presa di posizione divina quella è il Calvario, dove tutta la violenza dell’uomo è grumo di sangue e terra e l’odio grida la rabbia degli uomini. Eppure, con buona pace di Geremia, io, di vendette, sul Calvario, non ne ho viste, non secondo la nostra logica. Solo un grande silenzio, solo il dilatarsi di una libertà concessa contro ogni logica, solo un amore che in quel momento aveva troppa sete per raccontarsi. Io penso al Calvario e l’uomo mi fa paura. Perché sono abbastanza vecchio da sapere che anche il mio cuore non è immune dal male. E che anche io so crocifiggere.

Io, Signore, è di Te che non ho paura, io quello che posso fare, al massimo, è continuare a consumarmi per dire che non possiamo avere paura del Vangelo, che tutte le costruzioni castranti e colpevolizzanti che portano il tuo nome sono solo blasfeme caricature scaturite dalle paure umane che ci portiamo dentro.

Io ti prometto che non avrò mai paura di te. Questo, posso, questo ti giuro. Io non ho paura di svelarti cosa si muove nel mio cuore, di spogliarmi dalle mie difese di fronte al volto di Cristo, uomo incapace di condannare e di umiliare. Io ho paura di mostrare agli uomini il mio cuore, non di svelarmi a te. Ho paura anche di tenere tra le mani le fragilità del fratello, ho paura di ferire, ho paura di movimenti troppo bruschi, ho paura di fare ancora male. Ho paura che l’altro non capisca. Di te invece no, tu che conosci i segreti, tu che sveli le intenzioni, tu che rendi visibili i movimenti misteriosi della coscienza… io non ho paura di Te, perché tu vedi ad una profondità impensabile, perché tu sai che anche il dolore procurato non è mai stato per pura cattiveria, perché tu sai le nostre fragilità, perché tu non hai paura di noi.

Io avrò ancora paura degli uomini Signore, perché ho paura anche di me stesso, perché mi sono trovato a camminare in tenebre che non credevo potessero entrare negli angusti spazi della mia mediocrità, perché ci sono cose che non vorrei mettere in luce, perché ci sono angoli che non mi piace guardare.

Eppure non basta. Mi vergogno. Non basta non avere paura di te, è troppo, facile e serve anche a poco.

Io desidero Signore imparare a non aver paura dell’uomo, e mentre scrivo, tremo.

Non avere paura dell’uomo.

Ma non come quando mi sforzavo di credere che il mondo fosse un luogo accogliente e morbido, non come quando cercavo di dilatare la caricatura seminaristica disinnescando le contraddizioni buone delle pulsioni, non come quando mi sforzavo di costruire comunità parrocchiali perfette e sorridenti e asettiche, non come in certi sogni giovanili copiati da patetiche Giornate Mondiali della Gioventù, non come quando ero convinto di amare gli uomini mentre invece accoglievo solo quelli che mi assomigliavano, non come quando declinavo fino allo sfinimento la parola tanto di moda: “antropologico”…ma in quel termine non c’era traccia di uomo, di quello vero, solo cercavo accoglienza in una parte di chiesa apparentemente progressista e fastidiosamente snob.

Non avere paura dell’uomo, non come quando dicevo di amare l’uomo e invece avevo paura di mostrare il mio vero volto, le mie vere passioni, i miei adorabili difetti, le mie insopportabili contraddizioni. Non come quando credevo, ma non me lo dicevo, che amare Dio fosse un modo per nascondere la maledetta paura che gli uomini e le donne fanno, la paura di essere svelati da un qualsiasi tipo di innamoramento.

Perché la paura di amare gli uomini, Signore, non è altro che la fottuta paura di amare me stesso.

Io non avrò mai paura di te Signore, ma questo conta poco, io non voglio aver più paura dell’uomo, di quello vero, di quello che puzza, di quello che mi da fastidio, che mi contraddice, che mi importuna, che mi snobba. Io non voglio più avere paura dell’uomo che sono io, quello che deve imparare a dire di no senza sentirsi in colpa, quello che non ama tutti, che non è sempre accogliente, che ha bisogno di silenzio, che non risponde alle paternalistiche caricature della figura del prete che tanto male continuano a fare alla chiesa vera.  Io non avrò mai paura di te Signore, io questo te lo giuro, ma forse non serve a niente. Fede, fede vera è non avere, come te, paura dell’uomo. Anche quando ti inchioda a colpe non tue. Fede vera è non avere paura di quello che ci portiamo dentro, fede vera è non avere paura di me, è iniziare a guardarmi davvero con i tuoi occhi.


AUTORE: don Alessandro Dehò
FONTE: Sito personale
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