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don Alessandro Dehò – Commento al Vangelo del 21 Aprile 2024

Domenica 21 Aprile 2024
Commento al brano del Vangelo di: Gv 10, 11-18

Quarta domenica di Pasqua anno B

“Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarĂ  salvato; entrerĂ  e uscirĂ  e troverĂ  pascolo” 

Rimarranno le fragilitĂ , i vetri infranti, gli spazi dove i muri si sono convertiti in rudere. RimarrĂ  lo spazio infetto, la ferita luccicante che ha reso indifesa l’illusione delle nostre fortificazioni. Rimarranno i colpi ricevuti per esserci troppo esposti, le ingenuitĂ  di quando non ci aspettavamo di essere attaccati, e i sogni, quelli ingenuamente dispiegati al sole e all’altrui dileggio. Rimarranno i progetti folli che hanno fatto sorridere gli adulti. Rimarranno i colori fuori dai bordi e le volte che abbiamo detto “ti amo” esponendoci al rifiuto. Rimarranno le porte. Questi spazi dove il muro depone la sua sicurezza e l’invito al passaggio espone al saccheggio.     

“Io sono il buon pastore. Il buon pastore dĂ  la propria vita per le pecore. 

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Rimarranno i semi lasciati cadere da dita finalmente aperte come raggi di sole. Rimarranno le parole non nascoste sotto coltri di inopportuna vergogna, rimarranno i gesti stupefatti di bellezza e di gratuitĂ , rimarranno le lacrime, ruscelli che fanno fiorire i sentimenti. Rimarranno i baci slegati, gli abbracci liberati, le preghiere appoggiate a folate di vento. Rimarranno i desideri affidati alle stelle ma soprattutto le lapidi, incandescenti frammenti di cometa, sotto cui saremmo riusciti a seppellire i nostri infantili egoismi. RimarrĂ  la vita che abbiamo saputo donare, senza pretesa di ritorno, senza interessi, senza che ce ne siamo nemmeno accorti.

“Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde”

Rimarrà la povertà, quella vera, quella che fa paura. La povertà provata quando abbiamo sentito, chiaramente, di non essere all’altezza, quando siamo riusciti a sbagliare tutto, quando abbiamo scoperto di non essere altro che poveri cristi impauriti. La povertà di quando siamo stati usati, di quando non siamo stati riconosciuti, di quado siamo arrivati in ritardo o proprio non siamo giunti a destinazione. Rimarranno le lacrime di quando siamo stati calpestati, di quando non siamo stati capiti, di quando non avevamo potere da usare. Tutto il resto, il mercenario che in noi non muore, sarà azzannato dal lupo, che sulla nostra carcassa banchetti la vendetta degli ultimi.

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“Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me” 

Rimarranno i pochi nomi mandati a memoria dal cuore, i profumi indelebili dell’infanzia, gli attimi di perfetta Epifania dove l’Eterno accarezzava le forme del mondo. Rimarranno le ferite che non ci fanno chiudere occhio (perché ci hanno fatto conoscere l’abisso che portiamo dentro). Rimarrà il dolore per quegli sbagli che hanno fatto del male ai fratelli, perché il rimorso aiuta a macerare nell’umiltà. Rimarranno i perdoni ricevuti, quelle volte che ci siamo sentiti chiamare per nome, le lacrime di chi ha pianto per noi. Rimarrà chi è rimasto anche dopo i nostri tradimenti, rimarrà la silenziosa perseveranza di chi è sopravvissuto alle nostre incostanze. Rimarranno i torti ricevuti, ma solo quelli che hanno saputo mappare spazi nuovi di misericordia. Rimarrà solo ciò che ha trovato il proprio nome. Rimarranno le cose conosciute perché amate. Rimarrà di noi solo la parte vera, autentica, quella che è tornata a casa.

“E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare”

RimarrĂ  di noi tutto quello che non abbiamo fatto solo per noi. Le scelte gratuite, gli investimenti su un futuro abbastanza lontano da non poter essere abitato. RimarrĂ  la consapevolezza di quando ci siamo sentiti solo un recinto tra i tanti. Soprattutto rimarrĂ  la saggezza di quando abbiamo accettato finalmente tutto di noi, anche il peccato, quelle pecore fuori recinto che non erano da nascondere, trasformando la vergogna in possibilitĂ . RimarrĂ  la bellezza di quando ci siamo lasciati guidare dallo Spirito e siamo finiti a sbocciare, almeno per un attimo, Altrove.

“Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore”. 

Rimarrà di noi solo ciò che nella vita abbiamo ascoltato con attenzione, rimarrà la Sua voce riconosciuta in ogni cosa, rimarrà tutto ciò che abbiamo avuto il coraggio di unificare, un solo gregge, un solo pastore, un solo cuore, uno, monacale affidamento all’Unico, esercizio simbolico di cucitura del visibile con l’Invisibile. Rimarrà tutto ciò che non si è prostituito nella doppiezza, diabolica tentazione di non scegliere, di non schierarsi, di non semplificarsi.

“Per questo il Padre mi ama: perchĂ© io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo”. 

RimarrĂ  la dolcezza di quando qualcuno ci ha fatto sentire amati dal Padre, rimarrĂ  la vita consegnata per amore e quella raccolta con misericordia. RimarrĂ  la vita ritmata dal cuore del Padre, sistole che irrora il mondo di Spirito, diastole che nulla dimentica, che nulla perde, che tutto salva.

“Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio”.

Rimarrà la scelta libera e matura di chi la vita non la subisce, di chi sa decidere di sé, di chi non si adegua al flusso inesorabile degli eventi ma ad ogni istante riesce a riconoscere la possibilità di consegnarsi al Padre, in un gesto di dolcissima deposizione. Rimarrà l’unico potere buono, quello che si muove solo nel perimetro della propria identità. Rimarrà tutto ciò che è stato costruito ispirandosi all’unico comandamento. Rimarrà solo l’amore. Perché solo l’amore è già eterno.

Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehòpagina Facebook

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