Per prima cosa avvicinarsi a Cristo, a lui, alla sua storia, alla sua testimonianza, alla sua persona, avvicinarsi a lui e non lasciarlo, avvicinarsi a lui per quello che la Scrittura ci ha testimoniato, e i martiri ci hanno trasportato nel fiume del loro sangue, avvicinarsi a Cristo senza volerlo addomesticare a categorie più moderne, inclusive, politicamente corrette, avvicinarlo per quello che è, comunque, sempre, uno scandalo.
Avvicinarsi a Cristo, esattamente a lui, per quello che possiamo, grazie a lui che sceglie di farsi trovare, vivo, tra noi. Avvicinarsi a Cristo perché nulla potremmo sapere di Dio senza sprofondare in lui. Senza di lui mai l’uomo sarebbe arrivato alla frattura dolcissima delle beatitudini. Gesù non è solo l’umano portato al grado più alto di perfezione, Gesù è l’inedito, l’inevitabile.
E poi sentire che le beatitudini sono vere perché vibrano di lui. Non sono un vago manifesto intellettualistico, quelle parole sono lui, e se dobbiamo fidarci di qualcuno, lo sappiamo, non ci affidiamo ai teorici ma a testimoni, a parole fatte carne, a chi ha dato la vita, perché non serve saperla la vita occorre patirla, interpretarla con la carne, le parole vere sono solo quelle immerse nel sangue.
Gesù è colui che si è fatto povero, che piange, che sceglie la via durissima della mitezza pagando sempre in prima persona, è colui che comprende che battersi per la giustizia è possibile solo lasciandosi crocifiggere, lui è il misericordioso per eccellenza stendendo pace anche sui suoi assassini, lui è il puro di cuore, lui vede Dio e mostra Dio ai nostri occhi, lui l’insultato e il perseguitato. Le beatitudini sono vere perché vero è Cristo, perché sono una descrizione perfetta dello stile del Signore, perché aiutano a concepire una nuova visione di Dio, se così non fosse sarebbe solo l’ennesimo utopico patetico manifesto politico.
Le beatitudini non sono un vago progetto di inclusione dei poveri martiri del mondo e nemmeno la promessa illusoria di un risarcimento futuro per le sfortune terrene, le beatitudini sono Cristo e noi che le ascoltiamo siamo semplicemente chiamati a schierarci: vogliamo diventare come Lui? Siamo così innamorati di quella persona da voler essere inclusi nel suo scandaloso modo di interpretare il mondo? Credere non è assenso a una qualche filosofia di vita, credere è vivere così, è sentire che ogni volta che un tassello delle beatitudini non si incarna nelle nostre ossa, tra le nostre scelte, ogni volta che sfuggiamo dal martirio di voler essere come Cristo, (sì, si tratta di martirio) noi siamo meno noi stessi, noi non siamo ancora pienamente noi. Perdersi per trovarsi, annientarsi per scoprirsi, morire per vivere.
Il cristianesimo non è un vago movimento di inclusione sociale, non è l’appartenenza a una Chiesa istituzionale così buona e brava da accogliere tutti (ma accogliere dove? Accogliere per?) ma è un legame vitale con la figura di Cristo, con quella che i padri ci hanno tramandato, i Concili difeso, i martiri delineato con il loro sangue. Il cristianesimo non è l’inclusione in un mondo illusoriamente pacificato, non qui, non ora, ma l’inclusione nelle carni del Crocifisso. Questo spaventa. Credere è sprofondare in lui e quindi scomparire per il mondo.
Usare le beatitudini per delineare mondi migliori qui ed ora è sciocco ed antievangelico. E pure pericoloso. La prima cosa da combattere è guarire dall’illusione di credere che noi sapremmo mettere in atto un mondo fatto di giustizia, non è così, siamo come tutti gli altri e chi instaura modelli di società credendosi migliore del predecessore incappa negli stessi errori di supponenza e di violenza. Siamo abitati dal peccato, il male ci abita. Questa la lotta. Il nemico è il nostro narcisismo. Per cui, grazie a chi ci impoverisce, a chi ci tratta ingiustamente, grazie a chi ci perseguita, grazie a chi non ci capisce. Grazie a chi ci aiuta a purificare il nostro cuore. Grazie alla vita quando ci ha dolorosamente messo faccia a faccia con il male che noi sappiamo fare. Grazie perché abbiamo capito che non esiste altra beatitudine se non in Cristo, lui che ha fatto culla e sepolcro dei nostri fallimenti.
Le beatitudini fanno paura perché sono l’inclusione in Cristo, nella sua passione e morte. Non c’è altra strada. Credere di conoscere Cristo senza sofferenza è una pericolosissima illusione. Ma non preoccupiamoci, la sofferenza fa parte, è intrinseca alla vita. L’abbiamo trovata, la troveremo, e se ci illudiamo che non si sia, stiamo attenti, potremmo vivere tutta la vita senza risvegliarci. Vivere nell’illusione, come morti viventi.
Beatitudine è sprofondare in Cristo, assumere la nostra malattia, la nostra povertà, il nostro dolore, il nostro peccato e sentire che lui si manifesta lì. E con lui battezzarsi, e con Cristo crocifiggersi, e con Cristo lasciarsi seppellire in un sepolcro e con Cristo farsi resuscitare dal Padre. Padre che è altrettanto descritto dalle beatitudini, che è davvero così, padre che ci includerà, con Cristo, nell’Eternità.
Perché le beatitudini senza questo movimento che di deposizione in deposizione porta all’Eterno non hanno alcun senso. Senza Eternità il Cristo è un illuso, e chi racconta del Vangelo senza essere davvero povero, senza sanguinare, illudendo che sia una possibilità politica è falso e malvagio. Senza Eternità la vita è vuota, pura allucinazione. Se non ci fosse l’Eterno il Vangelo sarebbe strumento pericoloso in mano ai potenti che saprebbero così ammansire il grido dei deboli.
Le beatitudini sono un corpo martirizzato che si dona e che trasfigura nel Padre.
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Le beatitudini sono lo spiraglio di luce tra le tenebre, la nostra durissima dolcissima possibilità di morire per risorgere finalmente in Lui.
Per gentile concessione dell’autore don Alessandro Dehò – pagina Facebook
