Dehoniane – Commento al Vangelo del 12 Dicembre 2018

Il commento alle letture del 12 Dicembre 2018 a cura del sito Dehoniane.


II settimana di Avvento I settimana del salterio

Il riposo del figlio

Il lezionario di Avvento ci fa concludere oggi l’ascolto delle promesse messianiche di Isaia, che hanno scandito fin qui il cammino, con l’intento di mostrare come esse abbiano iniziato a compiersi nella vicenda storica di Gesù di Nazaret. Da domani lo sguardo della liturgia si fisserà sulla figura di Giovanni il Battista, proponendoci i diversi testi evangelici che parlano di lui.

Oggi ascoltiamo dunque l’ultima promessa: quella di un Dio che non si stanca, anzi dona energia e vigore nella fatica del suo popolo, riposo nella sua stanchezza. Una promessa di cui siamo invitati a contemplare il compimento nelle parole che Gesù pronuncia nel Vangelo di Matteo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). La spossatezza alla quale guarda il profeta Isaia è quella di un popolo che si è stancato di sperare ed è oppresso dalla delusione; un popolo che teme che Dio abbia cessato di operare nella sua storia.

Isaia lo rassicura: Dio continua ad agire come ha agito nel passato, e al suo popolo sfiduciato donerà nuovamente il vigore della speranza, perché possa affrontare la faticosa impresa del ritorno dall’esilio. L’immagine delle ali di aquila suggella questa promessa. Come in passato, durante l’esodo dall’Egitto, Dio ha condotto il suo popolo su ali di aquila, così anche ora, in questo nuovo esodo da Babilonia, donerà ali di aquila alla stanchezza dei rimpatriati: «Quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Is 40,31).

Il vigore che ora sostiene la fatica è proprio quello che viene generato dalla speranza. Anche Gesù guarda alle nostre tante stanchezze e oppressioni, che sono molteplici, diverse, ognuno di noi conosce le proprie. In modo più preciso, tuttavia, egli sembra alludere a quell’oppressione che nasce da un modo sbagliato di vivere la relazione con Dio.

Un modo che nella tradizione giudaica viene simboleggiato dal giogo della Torah, che può diventare però un peso insopportabile quando si trasforma, come sempre ricorda Gesù in un altro passo di Matteo, in un fardello che alcuni impongono sulle spalle degli altri, senza però volerlo essi stessi spostare neppure con un dito (cf. Mt 23,4). O come esclama Pietro negli Atti: perché imporre sulle spalle degli altri un giogo che né noi né i nostri padri siamo stati capaci di portare (cf. At 15,10)?

Gesù non impone un fardello, ma condivide quel giogo che lui stesso per primo assume e porta, che è il giogo di una relazione con Dio completamente diversa, tale da farci passare da una condizione servile a una condizione filiale. Questi versetti andrebbero ascoltati ricordando ciò che Gesù dice immediatamente prima, ponendosi lui stesso tra quei piccoli e quei poveri ai quali Dio ama rivelare il mistero del suo regno, e che sono figli perché sanno di ricevere tutto dalle mani del Padre.

Non sono servi che presumono di dover fare qualcosa per il loro padrone, ma figli che accolgono tutto quello che Dio – il Padre – fa per loro. C’è poi un’altra stanchezza, ricordata dalla colletta di questa eucaristia, che ci fa pregare perché «non ci stanchiamo di attendere la consolante presenza del medico celeste».

È la stanchezza di cui ci parla Gesù nelle parabole escatologiche, la stanchezza dei servi o delle vergini che si addormentano perché il loro padrone, o lo sposo, tarda a venire. La stanchezza di un’attesa che chiede pazienza, e che talora sembra non poter mai trovare riposo. Da domani inizieremo ad ascoltare i testi evangelici del Battista, colui che è stato inviato a sostenere la nostra attesa.

Giovanni ci educa a sostenere l’attesa e ci chiede di divenire disponibili a sostenere l’attesa di altri. Non imponendo sulle loro spalle un giogo che neppure noi vogliamo o siamo in grado di portare, ma facendoci carico insieme, sostenendosi l’un l’altro, di un peso condiviso. Il peso della speranza.

Signore Gesù, tu che sei mite e umile di cuore, conosci anche il nostro cuore e quale sia il groviglio di pensieri che nasconde, e che così spesso affatica la nostra vita e il nostro cammino. Liberaci dalle molteplici schiavitù interiori che ci imprigionano e consentici di trovare riposo in te, condividendo la tua gioia nel ricevere dal Padre il dono di essere suoi figli.

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

Mt 11, 28-30
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

Fonte: LaSacraBibbia.net

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