Comunità di Pulsano – Commento al Vangelo di domenica 6 Agosto 2023

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TRASFIGURAZIONE DEL SIGNORE

La Dom. XVIII del Tempo Ord. è quest’anno sostituita dalla festa della Trasfigurazione del Signore.

Il 6 agosto ancora una volta le Chiese della Tradizione “cattolica”, pur divise e alienate, riformano nel mondo, almeno idealmente, una comunione nella celebrazione, in forme diverse, dell’Unico Signore Risorto, contemplato in un episodio chiave della sua Vita tra gli uomini, la Trasfigurazione. L’origine della festa come tale non è antica. Se alcune tracce storiche la fanno risalire agli Armeni alla fine del sec. 4°, l’Oriente non la diffonde prima del sec. 8°, anche se con dilagante successo. Se gli Armeni l’avevano chiamato «Festa delle Rose», e i Siri «Festa del Monte», i Greci avevano conservato il termine biblico di Metamorphosis, Trasfigurazione. Le Chiese molto contemplarono da allora questo evento singolare e misterioso, anche molto prima di averne stabilita la festa. È possibile vederlo, quando la festa non esisteva, dai Padri nei loro commenti omiletici ai Sinottici, che avveniva pericope per pericope (lettura continua); quando incontravano l’episodio della Trasfigurazione ne facevano risaltare il valore complesso, per il Signore, per i discepoli d’allora, per i fedeli. E così anzitutto la connessione immediata con la Croce, per la quale il Signore era stato consacrato dallo Spirito Santo al Battesimo (vedi la Domenica del Battesimo del Signore), e dal medesimo Spirito Santo e dalla Voce del Padre qui era “confermato” divinamente.

Il primo di cui si ha finora un commento alla Trasfigurazione, inteso come commento alla pericope evangelica, non alla festa ancora inesistente, è Origene, che vi torna sopra diverse volte. Nel 4° secolo l’Oriente ha una serie di queste omelie patristiche. Poi la festa istituita fece moltiplicare le omelie, alcune delle quali sono capolavori.

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Perciò il Lezionario romano di oggi è ricco e carico, e se forma una specie di doppione con la celebrazione analoga della Domenica II di Quaresima nei 3 Cicli, tuttavia il divino Mistero offre sempre ampi spazi alla riflessione. La lettura è sempre del Mistero, il Disegno del Padre, per cui solo lo Spirito Santo donato dal Padre rivela Cristo Signore, e solo Cristo Signore a partire dalla propria Umanità rivela il Padre, e solo Lui con lo Spirito riporta al Padre. Tale è anche il senso della Trasfigurazione.

La festa di oggi è dunque tardiva. Essa fu allineata simbolicamente dopo la Pentecoste, con una scadenza di 40 giorni, così che circa il 28-29 giugno (adesso Pietro e Paolo) si commemorava la trasfigurazione di Mosè sul Sinai (Es 34, spec. 29-35), ancora 40 giorni dopo, il 6 agosto, si commemorava la Trasfigurazione, e altri 40 giorni dopo, il 14 settembre, si commemorava la Croce vivificante. Tutte ricorrenze, sotto il segno della manifestazione del Signore Uno Trino.

La Trasfigurazione è un evento importante; trattato a fondo dai Padri, le Chiese orientali ne fanno il cardine capitale della loro spiritualità, ricavandone tesori di dottrina, alla luce della Croce e della Resurrezione, e rileggendovi l’A. T.

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Nell’ora dell’Ascolto monastica la lettura patristica dell’anno A, tratta dai «Discorsi1» di S. Leone Magno, Papa, ci segnala tre aspetti fondamentali da rilevare nel commento dell’episodio:

  1.  rimuovere dall’animo dei discepoli lo scandalo della croce.
  2.  dare un fondamento solido alla speranza della Chiesa.
  3.  la conferma della fede di tutti nella redenzione di Cristo.

La Trasfigurazione è una esperienza pasquale anticipata per aiutare i discepoli ad accettare con una visione di fede lo scandalo della croce. Attraverso questo evento, Gesù «indicò agli apostoli che solo attraverso la passione, possiamo giungere a lui, al trionfo della risurrezione» (cfr. Prefazio[1]).

Dall’eucologia:

Antifona d’Ingresso Cf Mt 17,5

Nel segno di una nube luminosa

apparve lo Spirito Santo

e si udì la voce del Padre:

«Questi è il mio Figlio prediletto,

nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo».

Nell’antifona d’ingresso (Mt 17,5, adattato) è esplicitato che la Nube folgorante è lo Spirito Santo, la Gloria divina che si manifesta sul Figlio di Dio e sui discepoli suoi. La Voce del Padre fa risuonare le tre parole del Battesimo: il Figlio, il Diletto, il Compiacimento, a cui si aggiunge il divino imperativo: «Ascoltate Lui!».

Canto all’Evangelo Mt 17,5c

Alleluia, alleluia.

Questi è il Figlio mio, l’amato:

in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo.

Alleluia.

L’alleluia all’Evangelo, Mt 17,5c. ripete l’ultima parte del testo precedente.

Nei Sinottici la Trasfigurazione ha un’inquadratura mirata, che ne fa come il centro fisico della narrazione evangelica, una vera “cerniera” decisiva che permette di contemplare l’intera composizione: quanto precede e quanto segue. Ancora i Sinottici mostrano qui l’identica organizzazione narrativa, che rivela non una struttura artificiosa, ma uno schema obbligante, che proviene come è dall’unica Tradizione sui “detti e fatti” del Signore, all’epoca da tutti conosciuta e controllabile nella sua veridicità.

Nel racconto dei Sinottici nella prima parte della sua Vita pubblica il Signore opera una catechesi appropriata che è una progressiva preparazione ad un evento annunciato, grave e decisivo, ma ancora da verificarsi. Tale catechesi è riassumibile in tre momenti successivi:

1. il Battezzato e la sua prima missione (Mt 4,12-16,2): il Signore secondo il Dono dello Spirito Santo battesimale opera le Parole del Padre che lo testimoniano al Giordano. Ossia nello Spirito Santo svolge la “Liturgia trinitaria” (= l’opera per il popolo) che consiste nell’Evangelo, nelle opere del Regno e nel culto nuovo al Padre. È significativo che il Battesimo in rapporto alla Trasfigurazione sia richiamato proprio dalla Voce del Padre che ripete sostanzialmente le parole del Giordano aggiungendovi però un imperativo che è obbedienza massima [che è poi la Croce, presa ogni giorno (Lc 9,32)].

2. il Trasfigurato e la “cerniera” (Mt 16,13-17,23): pur nella “crisi” del ministero messianico di Colui che fu inviato per essere l’Alleanza del popolo suo e la Luce delle nazioni (cf. Mt 16,13ss “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” e anche Pietro dopo il 1° annuncio di passione “Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai”) il Disegno divino non può arrestarsi. Per proseguire verso il Fine assegnato, la Croce e la Resurrezione e la Pentecoste ha tuttavia necessità degli uomini, poiché ad essi solo può affidare a suo tempo la sua missione che deve giungere al mondo. La Trasfigurazione si pone dunque come Luce che vuole dissipare quelle tenebre che impediscono agli stessi discepoli di comprendere la Resurrezione.

3. il Crocifìsso, culmine della catechesi. Agli occhi del mondo la crocifissione è lo spettacolo dell’estrema umiliazione” e la tragica conseguenza di una follia ma invece è il punto culminante della catechesi del Signore ai discepoli scossi, terrorizzati, demoralizzati, fuggiaschi. Lo “svuotarsi della Divinità” (Fil 2,6-8) la Follia divina come irrimediabile Debolezza divina (1 Cor 1,17-2,16) è la Rivelazione plenaria dell’eccessiva Carità” del Padre verso tutti gli uomini immeritevoli, da Adamo all’ultimo di essi. In misura maggiore con l’Evangelo di Giovanni la Croce è il luogo e il momento dello Spirito Santo, del Sangue e dell’Acqua come Economia pentecostale nuova. La catechesi del Signore Battezzato Trasfigurato Crocifisso è completata: è l’Icona santa, anche se deve essere contemplata e comunque da amministrare (Lc 24,39-40; Gv 20,20 e 27; Ap 5,6). La parola e l’Icona a cui dobbiamo ascolto, venerazione, contemplazione ci marchiano e modellano sempre più via via che ci apriamo e ci esponiamo al loro volto matricizzante.

L’icona creata dal Cristo è infatti una matrice destinata ad essere utilizzata a sua volta come un conio monetario o un sigillo. L’Icona non è infatti una porta o una finestra, i santi Padri non hanno mai utilizzato questa metafora, ma una matrice spirituale: quando ci esponiamo alla luce dell’icona, avvicinando il nostro volto al ritratto per eccellenza, questa esposizione e questa venerazione ci matricizzano spiritualmente, cioè restituiscono alla nostra immagine ottenebrata dalla caduta la somiglianza originale, secondo cui siamo stati creati.

Dopo che i discepoli hanno sperimentato l’Evento non annullabile della vita del Signore, fino alla Croce, prima, e alla Resurrezione dopo ad essi lo stesso Risorto impartisce la sua santa Mistagogia, che è insistere e rimandare di continuo e far approfondire l’Evento che diventa così esistenza vissuta. Tale Mistagogia che è rivolta ai mystai, gli iniziati o “illuminati” o battezzati si distingue radicalmente dalla “catechesi” per i “catecumeni” da battezzare. La Chiesa, opportunamente, ha sempre operato questa distinzione, che non si riferisce solo alla terminologia o alle tecniche. La radicalità tra i due insegnamenti è proprio nel fatto concreto che tra essi si interpone: l’Evento storico e l’esperienza storica della Morte-Resurrezione-Ascensione-Pentecoste del Signore. L’iniziazione battesimale incide, per sempre, su chi la riceve, poiché lo muta; Paolo esprime questo con la nota formula: «Prima eravate tenebre… adesso siete luce» (cf. Ef 2,13).

La Mistagogia consiste nel far comprendere che come avevano preannunciato le Sante Scritture dell’A. T., la Sofferenza era divinamente intesa come necessaria per conseguire la Gloria; è l’Evento realizzato perché preannunciato dalle Sante Scritture. La via verso Emmaus è l’inizio della Mistagogia (Lc 24,26-27); è cuore ardente (24,32) per le Scritture; porta il Pane spezzato con la Benedizione (24,30); è apertura degli occhi (24,31) e prosegue con i discepoli nel cenacolo (24,36-49).

Anche se questo percorso sembrerà allontanare dalla celebrazione odierna, al contrario occorre tenerlo ben vivo perché ci aiuterà non solo al presente ma per tutto il cammino che Dio vorrà concederci.

Non solo l’Evangelo di oggi può essere affrontato con più meditata contemplazione ma tutta la nostra vita di fede può trarre più ricchezza e più devozione adorante.

Per completezza richiamiamo in sintesi le accentuazioni specifiche dei tre racconti sinottici.

Matteo, il cui evangelo è composto da cinque grandi discorsi come cinque sono i libri della Torah, i sacri libri della Bibbia che rappresentano il cuore del giudaismo, vede nel Tabor il nuovo monte Sinai e in Gesù il nuovo Mose che dà la Legge, cioè il Discorso della Montagna.

Marco, diversamente, legge nella Trasfigurazione semplicemente una epifania gloriosa del Messia nascosto, per mettere in luce il tema centrale della sua narrazione che è il paradosso di Gesù inviato di Dio e umiliato, incompreso, respinto dagli uomini.

Luca invece coglie nell’evento del Tabor primariamente un’esperienza della preghiera di Gesù, preghiera profonda, ardente, trasformante.

Aggiungiamo anche una quarta testimonianza, quella della 2 Pt 1,12-21, che vede nell’episodio un momento storico della glorificazione di Cristo in opposizione alle speculazioni gnostiche che prevedevano chissà quali apparizioni future. Il tema sottolineato non è la Trasfigurazione, bensì la voce risuonata sul monte santo e nella Scrittura il monte santo è il Sinai, oppure Sion, Gerusalemme.

Nel confronto sinottico notiamo ancora come la narrazione di Matteo in 17,2 abbia aggiunto “uno splendore come quello del sole” sul volto di Gesù dove Marco parla dello splendore delle vesti, ma ha omesso l’allusione di Marco al lavandaio. In 17,4 ha omesso il riferimento di Marco all’ignoranza di Pietro e alla paura dei discepoli; ma in 17,6-7 egli ha aggiunto un concetto più profondo di paura e di adorazione e ci presenta Gesù che invita personalmente i discepoli ad alzarsi. L’effetto di queste modificazioni è di accentuare la maestosità e la dimensione misteriosa dell’esperienza e di eliminare qualsiasi dubbio che i discepoli non abbiano compreso ciò che stava succedendo. La trasfigurazione sta dunque in uno schema preciso, con le sue anticipazioni e le sue riprese, come si può vedere ponendo a confronto Marco e Matteo. In estrema sintesi il primo ed il secondo annuncio della Passione e Resurrezione è il contesto, la cornice dove posizionare l’evento della Trasfigurazione. Allargando il cerchio abbiamo immediatamente il racconto della confessione di Pietro di Gesù come «il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (16,13-20); dopo il 1° annunzio di passione la tentazione dello stesso Pietro:

«Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai» (16,21-23); la dura risposta di Gesù: «Dietro a Me, Satana! Perché mi sei d’inciampo…»; ecco quindi l’invito a seguire solo Lui rivolto non solo a Pietro ma a tutti i «suoi discepoli» con le dure condizioni: rinnegare se stessi e prendere la propria croce.

Da questo momento gli eventi precipitano verso la passione; sembra addirittura che nella Chiesa antica si fosse pensato che l’evento del Tabor precedesse di quaranta giorni la passione. Non a caso la festa liturgica della Trasfigurazione si celebra il 6 agosto fin dal sec. VII del calendario bizantino e questa data è stata sempre mantenuta da tutta la Chiesa. Anzi, è una delle poche feste che cadono nello stesso tempo sia per l’Oriente che per l’Occidente. Notiamo che ci sono quaranta giorni dal 6 agosto al 14 settembre, data della Esaltazione della Croce, quasi a significare che la Trasfigurazione prepara la proclamazione di Gesù crocifisso.

I lettura: Dn 7,9-10.13-14

Daniele al cap. 7, come ai cc. 10 e 12, descrive una teologia della storia. Il quadro comprende la misteriosa storia mondiale, adesso concentrata nei 4 regni terreni in apparenza onnipotenti, i quali invece in modo inevitabile scompaiono per entropia, la legge della morte che essi contengono fin dalla loro nascita perversa (Dan 7,1-8). Ma nella sfera inaccessibile, il cielo, sussiste la Realtà eterna: l’Antico di giorni, il Signore Vivente Eterno, l’Invisibile che universalmente regna dal suo trono glorioso e ignito, l’Inaccessibile, l’Unico che abbia il potere della Maestà onnipotente, l’Adorato in eterno dalla sua corte angelica e cosmica (vv. 9-10). Ora, Egli alle potenze umane toglie ogni potere (v. 12), secondo il Decreto eterno che contempla un unico divino Potere universale di salvezza degli uomini. L’Antico di giorni così a partire da se stesso fa venire a sé e presenta a se stesso Uno, umano nella sua apparenza, ma insieme preesistente, Uno nella somiglianza degli uomini, un «Figlio dell’uomo», un Uomo vero figlio del genere degli uomini. Insieme, Egli è un essere divino, poiché da Dio viene e a Dio va e gli si presenta. Viene sulle Nubi, la Gloria divina trascendente, in simbolo dello Spirito del Signore (v. 13). Solo a Lui l’Antico di giorni conferisce «potere e gloria e regno», le dinamiche per la salvezza universale, da porre in funzione nella storia degli uomini. E tutti gli uomini dovranno servirlo e adorarlo per questo suo potere universale eterno onnipotente, per il suo Regno eterno, che è quel potere in atto (v. 14).

E quando finalmente viene, per la sua Croce santa l’Eterno lo superesalta al di sopra di ogni realtà creata e tutti i viventi e tutte le creature lo adorano acclamandolo: «Signore, è Gesù Cristo per la gloria del Padre!», nel possesso del Nome divino, che è il primato divino universale (Fil 2,6-11). E dopo la Resurrezione con il medesimo suo Potere Egli invia gli Apostoli con l’Evangelo fino ai confini del mondo (Mt 28,16-20; Mc 16,15-20).

Esaminiamo il brano

v. 1 – Sei giorni dopo: è incerto se questa indicazione cronologica (una rarità nell’evangelo di Matteo, se si eccettua il racconto della Passione) debba riferirsi alla confessione di Pietro a Cesarea, oppure alla prima predizione della Passione. Si pensa anche che questo intervallo di tempo sia un richiamo a Es 24,16, ma il parallelo non è stretto; i temi dell’episodio, invece, richiamano indubbiamente il racconto del Sinai.

Pietro, Giacomo e Giovanni: gli esegeti annotano che per l’evento sulla montagna il Signore prende con sé i tre discepoli consueti, Pietro, Giacomo e Giovanni [la guarigione della suocera di Pietro (Mc 1,29-31); sono presenti già quando guarisce la figlia di Giairo, Mc 5,37 e Lc 9,51; sono gli stessi testimoni della risurrezione di Lc 8,51 e ancora al Getsemani, almeno per Mt 26,37 e Mc 14,33 mentre per Luca là dormono come gli altri (Lc 22,39 ss)].

Tre discepoli accompagnano il Signore, come testimoni (e si tratta sempre di morte e Resurrezione), secondo la legge antica (cfr. Dt 17,6; 19,15), sicché l’evento è vero, storico, testimoniabile da persone ben conosciute nella comunità, e di grande prestigio, non solo per allora, ma anche fino a noi ed oltre.

li condusse in disparte su un monte: il Signore li «conduce in alto» (anaphéró), sul monte elevato, «in privato». I Padri qui hanno visto con acutezza che questo è l’inizio della «vita con Cristo», la vita mistica, essere innalzati a vivere solo con lui. Il monte nella Bibbia è il luogo della presenza e dell’incontro con Dio (cf Gen 22,14):

  • è il luogo dove Mosè incontra Dio (Es. 3,1 monte Oreb, il roveto ardente):
  • dove riceve le tavole della legge (Es. 24,12-18);
  • dove Elia sconfigge i sacerdoti di Baal (1 Re 18,20-40 monte Carmelo);
  • dove poi trova rifugio e l’intimità con Dio (1 Re 19,8-18, il venticello dell’Oreb);
  • dove Salomone costruirà il tempio (Sion cfr. Sal 2,6);
  • un antico nome divino, dell’epoca patriarcale (solo nel pentateuco), è “El Shaddai “— Dio della montagna, tradotto in maniera errata con «onnipotente» (Vedi nota di Gen. 17,1 della Bibbia di Gerusalemme per altre citazioni).
  • facile il richiamo al monte degli Ulivi (Lc 19,29; 21,37; 22,39; At 1,12).

v. 2 – «fu trasfigurato»: metamorphóó, mutare forma; in specie attraverso i segni di una teofania (= manifestazione):

1. il Volto come il sole (cf Sal 35(36),10; Ap 1,14; 10,1);

2. le vesti bianche come la luce (Sal 103(104),2);

3. è il Figlio dell’uomo nella sua gloria (Dan 7,9).

La veste bianca richiama la resurrezione di cui la trasfigurazione è un’anticipazione (cf Mt 28,3; e versioni sinottiche). Lo splendore di cui la persona di Gesù è circondata richiama lo splendore sul volto di Mosè dopo la rivelazione sul monte Sinai (cf Es 34,29-35), a motivo del quale Mose dovette coprirsi la faccia con un velo.

v. 3 – Mose ed Elia: II personaggio di Elia unisce tra loro i due episodi. Correggendo l’ordine in modo da avere «Mose ed Elia» al posto di «Elia con Mose» di Marco, Matteo ha fatto dei due personaggi i rappresentanti della Legge (Mose) e dei Profeti (Elia). La loro simbologia è chiara: essi rappresentano rispettivamente la Legge e i Profeti, cioè quello che noi chiamiamo l’Antico Testamento (cf Mt 5,17), la cui testimonianza al Cristo è fondamentale (cf 2 Pt 1,19).

Le spiegazioni sui due personaggi sono varie ed interessanti:

1. ambedue avevano ricevuto la teofania divina sul Monte, il Sinai e l’Horeb;

2. ambedue erano stati tratti in alto dal Signore, «in privato»;

3. ambedue avevano ricevuto la Parola divina da portare al loro popolo;

4. ambedue erano morti misteriosamente, di Mose non si conosceva il luogo della sepoltura, Elia era salito sul carro di fuoco;

5. soprattutto, ambedue erano stati gelosi dei diritti del loro Signore, per cui avevano sofferto angosce mortali.

6. Mosè ed Elia rappresentano anche tutto il genere umano (i morti e i vivi) radunato con Gesù trasfigurato.

Adesso i due parlano con Gesù; l’argomento di tale colloquio non è indicato, certo ha come contenuto la realizzazione della Promessa antica, ma sotto il «segno» terribile della Croce (esplicitato da Lc 9,31: l’esodo che Cristo deve fare a Gerusalemme).

v. 4 – Entra come sempre per primo in azione Pietro, un pò per sua iniziativa sempre impetuosa, un poco a nome dei confratelli intimoriti; dice che è «bello», ossia buono restare lì, e si offre di drizzare tre tende; si tratta delle skènài, tende.

Signore: Anziché «Rabbi», Pietro chiama Gesù «Signore» (kyrie), secondo l’abitudine di Matteo di evitare di dare a Gesù il titolo di «Rabbi» che a quanto pare era un titolo importante per gli avversari (vedi Mt 23,8). Questo è infatti il titolo usato da Giuda al momento di tradire Gesù (vedi Mt 26,25).

Pietro si mostra inoltre più deferente («Se vuoi») in Matteo che non in Marco e si offre a costruire da solo le capanne («farò qui…»). Le capanne sono probabilmente un riferimento alla festa ebraica delle Capanne (vedi Lv 23,39-43). La grande festa delle Tende o Tabernacoli propriamente «delle capanne» (cf Es 23,16), la festa del raccolto finale d’autunno è la più solenne dell’anno, che un’aggiunta post-esilica unisce ai ricordi del deserto (descrizione in Lv 23,33-43). Questa festa commemorava il soggiorno degli israeliti sul monte Sinai mentre ricevevano la rivelazione della Legge per mezzo di Mose. Ma questa non è la rivelazione di un’altra legge; viene qui manifestata una realtà ben più grande.

La tenda rievoca anche la sacra Tenda dell’antica Alleanza, simbolo della presenza divina in mezzo al suo popolo (cf nota Es 25,8), tenda in cui Dio parlava faccia a faccia con Mosè (Es 33,7-11). Pietro vuole con ciò prolungare questa anticipazione della fine dei tempi. Matteo tralascia l’osservazione di Mc 9,6 («Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento»).

v. 5 – La nube: (la Shekinah) come già la tenda, è segno della presenza di Dio, cf Es. 24,15-18; 40,34s, la nube che ricopre la cima del monte Sinai o che riempie la tenda. Richiama ancora l’esodo di Israele nel deserto, dove la nube è la guida del popolo verso la salvezza (cf. Sal 105,39); così è per i discepoli.

Con la distruzione del tempio la ricomparsa della “nube” era attesa come segno del ritorno definitivo ed ultimo di Dio (2 Mac 2,7-8). Nel N.T. la “nube” è lo Spirito Santo (cf Lc 1,35); solo lo Spirito Santo può dare la forza di compiere la volontà del Padre. La voce è la stessa che si fece udire nel battesimo, Gesù è il Figlio, «il Diletto», l’Isacco nuovo (cf Gen 22,1-2).

Ed ecco una voce: Il messaggio della voce è identico a quello in occasione del battesimo di Gesù in Mt 3,17. E una combinazione di allusioni al Messia («il Figlio mio», vedi Sal 2,7), al «prediletto» (Isacco; vedi Gen 22,2) e al servo di Dio (Is 42,1; 44,2). L’aggiunta matteana «Ascoltatelo» potrebbe essere un’allusione al «profeta come Mosè» di Dt 18,15 («a lui darete ascolto»). L’espressione più completa di quello che dice la voce è dunque di Matteo: «Ed ecco una voce che diceva : “Questi è il mio Figlio, il monogenito (o agapetòs), nel quale mi sono compiaciuto (eudokésa)[2]. Ascoltatelo”». Marco riporta le stesse parole, senza l’aggiunta: «nel quale mi sono compiaciuto» (9,7). In Luca si legge: «Questi è il Figlio mio, l’eletto (o eklelegménos), ascoltatelo» (9,35). E Pietro, dal canto suo, riporta l’insieme della frase senza l’esortazione «ascoltatelo» (cf 2 Pt 1,17-18). La voce del Battesimo e la voce della Trasfigurazione, qual è la differenza tra le due proclamazioni? Ambedue concordano nel sottolineare che Gesù è il Figlio, il Figlio amato, il Figlio in cui il Padre si compiace. L’aggiunta nuova della Trasfigurazione è: «ascoltatelo». A dire: lui sta veramente presentando al mondo l’immagine del Padre, «ascoltatelo» è la parola solenne del Padre!. Egli parla per bocca del Figlio; si realizza la profezia di Mosè in Dt 18,15 (cf anche At 3,22ss). Ora, il gr. akoùó, l’ebr. shama’, indicano molto di più che l’ascolto materiale: ascoltare e obbedire, seguire, fare come. Il Figlio deve essere «ascoltato» dunque fino sulla Croce; e si sa che i discepoli tutti l’abbandoneranno (27,56b). La Luce, la Nube, la Voce sono dunque «visione e parola», le due componenti della Rivelazione biblica, qui prodottesi nella teofania.

v. 6- I discepoli ascoltando la Voce cadono in terra; è la reazione umana alla teofania divina (cf Gen 17,3.17; Ez 1,28; Ap 1,17). Così sarà per le donne fedeli al sepolcro vuoto del Signore (Mt 28,9).

«ascoltatelo» Att. imperativo presente (continuate ad ascoltare).

v. 7 – Con grande benevolenza Gesù si accosta ai discepoli e li tocca per confortarli (cf Dn 8,18; 10,10.18), rivolgendo loro parole dense di significato: «Rialzatevi e non temete». Il primo verbo è egéiró che si usa per la resurrezione; è tradotto in gr. con un imperativo aoristo attivo che ordina di intraprendere un’azione nuova.

«non temere»: udendo queste parole l’uomo trasforma il proprio timore in adorazione e in una fiducia filiale che bandisce ogni paura (cf Mt 14,27; 28,5.10; Lc l,12s. 30; 2,9s; 5,10). Il timore è dunque rimosso, e lo dovrebbe essere per sempre, a causa della resurrezione, quando al battesimo riceviamo «lo Spirito della filiazione» (Rm 8,15; Gal 4,6). Il verbo è tradotto con un imperativo presente negativo che ordina di non continuare l’azione che si stava facendo.

v. 8 – la teofania per ora è terminata con l’effetto voluto. Mosè ed Elia sono scomparsi, la vecchia economia ha fatto il suo tempo, i discepoli non hanno bisogno di nessun altro, hanno con loro colui che dà la rivelazione di Dio. «In nessun altro c’è salvezza…» afferma S. Pietro e anche: «Dove andremo..» (Gv 6,68).

v. 9 – Adesso discendono dal Monte, per tornare alla missione del Signore che termina alla Croce. Il Signore raccomanda di non parlare della «visione» «finché il Figlio dell’uomo non risorga dai morti». I discepoli si faranno testimoni della Trasfigurazione quando saranno inviati a Israele e al mondo a testimoniare la sua Resurrezione (cf 24,46-48). Infatti la Resurrezione che altro è se non la Trasfigurazione resa eterna nell’umanità del Signore? E se a lui così anche a noi (Rm 8,11).

Non parlate a nessuno di questa visione: Inserendo il termine «visione» (hórama) Matteo indica la propria interpretazione della trasfigurazione. Matteo tralascia le perplessità dei discepoli circa il significato di «risuscitare dai morti» (vedi Mc 9,10).

v. 10 prima deve venire Elia: Secondo MI 3,23-24 (= 4,5-6) il ritorno di Elia dovrà precedere la venuta del Giorno del Signore. Ma non è chiaro se Elia dovesse essere il precursore del Messia.

v. 12 non l’hanno riconosciuto: L’aggiunta che Matteo fa a Mc 9,13 rispecchia il suo interesse nella fede e nella comprensione. La sua omissione di «come di lui sta scritto» può essere attribuita all’assenza nell’AT di un testo di questo genere.

v. 13 – che egli parlava loro di Giovanni il Battista: L’aggiunta di Matteo elimina qualsiasi dubbio o confusione riguardo all’identità della figura di Elia. Vedi Mt 11,14: «E, se volete comprendere, è lui quell’Elia che deve venire».

Anche se collocato ai loro occhi dentro un percorso di annunci e di storia degli interventi di Dio, è con il suo mistero personale che i discepoli devono principalmente fare i conti. Non possono pensare di capire e di poter annunciare ad altri qualcosa di lui, se non dopo che il suo percorso terreno sia compiuto. I sinottici ci consegnano in modo concorde questa preoccupazione di Gesù a non lasciar diffondere frammenti della testimonianza su di lui, prima di averne il quadro complessivo, che solo la Pasqua, cioè la sua morte e risurrezione, può offrire ai discepoli. È infatti troppo grande il pericolo di una presentazione secondo attese umane che trasformano e stravolgono quello che Gesù vuole essere per gli uomini.

Colletta

O Dio, che nella gloriosa Trasfigurazione del Cristo Signore,

hai confermato i misteri della fede

con la testimonianza della legge e dei profeti,

e hai mirabilmente preannunziato la nostra definitiva adozione a tuoi figli,

fa’ che ascoltiamo la parola del tuo amatissimo Figlio

per diventare coeredi della sua vita immortale.

Egli è Dio…


[1]«Egli, dopo aver dato ai discepoli l’annunzio della sua morte, sul santo monte manifestò la sua gloria e chiamando a testimoni la legge e i profeti indicò agli apostoli che solo attraverso la passione possiamo giungere al trionfo della risurrezione» (Prefazio II Dom. di Quaresima).

[2] II verbo “compiacere” in greco eudokéō = essere lieto, soddisfatto è in greco tradotto con un indicativo aoristo complessivo (cf anche 3,17). L’aoristo è un tempo puntuale del passato ma può abbracciare anche un tempo molto lungo, purché venga considerato come un unico blocco (aoristo complessivo). Possiamo chiamarlo un “passato profetico” che indica il futuro.

L’aoristo qui può rendere anche il semitico perfetto statico, che equivale al presente, il tempo immutabile di Dio. Come già nel Battesimo, il Padre, nel suo eterno presente (per necessità si esprime nella temporalità degli uomini) rivela qui il suo compiacimento divino perché vede già del tutto compiuta l’obbedienza e la missione del Figlio.

Fonte: Abbazia di Santa Maria a Pulsano