Commento alle letture di domenica 28 Novembre 2021 – Carlo Miglietta

633

DISCORSO SULLA CADUTA DI GERUSALEMME (Lc 21,5-38)

Il genere apocalittico

Il genere apocalittico (da apo-kaluptein = s-velare, togliere il velo del mistero) è una rimeditazione sugli annunci profetici riguardanti gli interventi di Dio nella storia, ma soprattutto una rilettura immaginifica della teologia del “Giorno di IHWH”: esso sarebbe stato il momento del giudizio finale di Dio contro le nazioni infedeli e contro lo stesso Israele peccatore (Is 13,6-13; Sof 1,14; Gl 4,14-20; Zc 14,1; Ml 3,14-19…), ma anche di salvezza dei giusti dopo un periodo di tribolazione e di afflizione, con retribuzione terrena o futura (Dn 9; 11; 12…). In un tempo di crisi e di oppressione, si rinnova la speranza in Dio che, tramite il suo Messia, interverrà per sconfiggere gli empi e far trionfare i buoni. Nella letteratura apocalittica si fa uso di linguaggio simbolico, di visioni, e si attribuiscono i testi a grandi personaggi dell’A.T. (Esdra, Baruk, Mosè, Isaia, Abramo, Giacobbe, Enoch…)

Il lungo discorso che si legge in Luca 21 appartiene al genere apocalittico: vengono descritti gli ultimi tempi come tempi di guerre e di divisioni, di terremoti e di carestie, di catastrofi cosmiche. Questo linguaggio ampiamente presente nel discorso di Gesù, non è il messaggio, ma semplicemente il mezzo espressivo che tenta di comunicarlo. Nessuna di queste frasi deve essere presa alla lettera.

- Pubblicità -

Il discorso apocalittico nasce dalla convinzione che la storia cammina, sotto la guida di Dio, verso una salvezza piena e definitiva. Le delusioni e le continue contraddizioni della storia non riusciranno mai a demolire tale speranza, anzi serviranno a purificarla e a insegnare che la salvezza è, al di là dell’esistenza presente, opera di Dio e non solo dell’uomo.

Il discorso apocalittico invita i credenti – che ora sono i cristiani coinvolti nelle persecuzioni e amareggiati dall’odio del mondo – a rinnovare la loro fiducia nella promessa di Dio e a perseverare nelle scelte di fede e a non cadere in compromessi: “neppure un capello del vostro capo perirà”.

I fatti

Il discorso di Gesù in Luca 21 è un intreccio di fatti, di rivelazioni, di esortazioni.

I fatti:

  1. La distruzione del Tempio (21,5-6).
  2. Falsi profeti si spacceranno per il Cristo e annunceranno che la fine è vicina (21,7-8).
  3. Ci saranno guerre e rivoluzioni, popolo contro popolo e regno contro regno (21,9-10).
  4. Ci saranno terremoti, carestie, pestilenze (21,11).
  5. Persecuzioni dei credenti, traditi persino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici (21,12-19).
  6. Devastazione di Gerusalemme e fine del mondo giudaico di allora (21,21-24).
  7. Segni nel sole, nella luna e nelle stelle (21,25-26).

Questi avvenimenti – eresie, guerre, persecuzioni, fenomeni cosmici – non esauriscono il panorama della storia e delle sue contraddizioni, ma Gesù li considera come situazioni tipiche e ricorrenti, situazioni che il discepolo deve essere pronto ad affrontare.

Le rivelazioni

  1. Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani non saranno compiuti (21,24). Alcuni interpretano che c’è un tempo limitato in cui i pagani domineranno Gerusalemme (cfr Ap 11,2). Ma probabilmente Luca si riferisce al “mistero di Israele” di cui parla Paolo. Paolo, nella lettera ai Romani, in un capitolo, l’undicesimo, che abbiamo troppo spesso trascurato con conseguenze drammatiche nelle relazioni cristiano-ebraiche, ci rivela quale sia il “mistero di Israele” e il suo destino, e quale l’atteggiamento i cristiani debbano avere verso il popolo eletto. In Rm 11,25-32 Paolo comunica il mistero: tutto Israele nel futuro escatologico verrà salvato. Quando tutte le genti avranno accettato di far parte della Chiesa, allora anche tutto Israele si convertirà: “Dio non ha ripudiato il suo popolo, che egli ha scelto fin da principio… Forse inciamparono per cadere per sempre? Certamente no… Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato” (Rm 11,2.11.25-29). E la conversione di Israele coinciderà con la resurrezione finale: “Se pertanto la loro caduta è stata ricchezza del mondo e il loro fallimento ricchezza dei pagani, che cosa non sarà la loro partecipazione totale…! Quale potrà mai essere la loro riammissione, se non una risurrezione dai morti?” (Rm 11,12.15). Se la riprovazione d’Israele è stata la salvezza dei popoli pagani, la loro accettazione da parte di Dio sarà la fine dei tempi, la riconciliazione ultima universale, la salvezza messianica escatologica (Rm 11,15).
  2. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria (21,27); quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il Regno di Dio è vicino (21,31): nella prova, nel dolore, il credente sa che Gesù è il Salvatore; è nella sofferenza che Dio si fa più vicino a noi. La designazione “Figlio dell’uomo” proviene da Dn 7,13-14 e annunzia una figura messianica che pur partendo da umili origini (figlio dell’uomo significa uomo comune), è chiamato a salire fino all’Antico dei giorni o Altissimo (Dn 7,13-14)… Si tratta della più alta concezione a cui i profeti siano arrivati parlando del futuro salvatore… Il Figlio dell’uomo è il plenipotenziario di Dio, il salvatore, il liberatore” (O. Da Spinetoli). La nube accenna alla divinità del Figlio dell’uomo (At 1,9). La parola liberazione (“apolytròsis) è una chiosa tipica di Luca. La venuta del Figlio si identifica con la liberazione.
  3. Non passerà questa generazione prima che tutto avvenga (21,32). L’attesa dell’avvento del Regno di Dio, nel Nuovo Testamento, è circoscritta entro i confini temporali della generazione che aveva avuto modo di incontrare personalmente Gesù: il Regno era aspettato nel tempo della vita stessa di Gesù, o alla sua morte, o alla sua resurrezione, o comunque dopo non molto da essa. Anche in Giovanni, Gesù nell’ultima cena promette: “Vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me” (Gv 14,2-3). E il quarto Vangelo si conclude con la convinzione, basata su una parola di Gesù, che la venuta ultima del Signore si sarebbe realizzata prima della morte del discepolo amato (Gv 21,22-23; cfr 1 Gv 2,18).

La Parusia, l’avvento del Signore, sono considerati imminenti dai primi cristiani: Paolo scrive ai Tessalonicesi, verso il 50 d.C.: “Questo vi diciamo sulla parola del Signore: noi che viviamo, e che saremo ancora in vita per la venuta del Signore…, noi, i vivi, i superstiti, saremo rapiti… tra le nuvole, per andare incontro al Signore nell’aria, e così saremo sempre con il Signore” (1 Ts 4,15.17). Per questo Paolo ai Corinti consiglia il celibato perché “ormai si è fatto breve…: perché passa la scena di questo mondo!” (1 Cor 7,24.29-31). Giacomo scrive: “La venuta del Signore è vicina” (Gc 5,7-8).

Ma il tempo passa… e il Signore non viene! La prima comunità cristiana entra in una crisi drammatica: i “santi di Dio”, gli “eletti” fanno esperienza del peccato, anzi della stessa morte, senza avere visto l’arrivo del Signore. “Schernitori beffardi” cominciano a dire: “Dov’è la promessa della sua venuta? Dal giorno in cui i nostri padri chiusero gli occhi tutto rimane come al principio della creazione” (2 Pt 3,3-4). E si tentano varie risposte: “Chi mangia e beve (dell’eucarestia) senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna. E’ per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti” (1 Cor 11,29-30); “Vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, di non lasciarvi così facilmente confondere o turbare… quasi che il giorno del Signore sia imminente. Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà essere rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione” (2 Ts 2,1-8); “Il Signore non tarda nell’adempire la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi” (2 Pt 3,9). E si sottolineano nei Vangeli gli inviti alla pazienza e alla vigilanza (Mt 24,42) “poiché lo sposo tarda” (Mt 25,5), “il padrone tarda a venire” (Lc 12,45). Si comincia però a dire che “quanto a quel giorno e a quell’ora, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre” (Mt 24,36). Al momento dell’Ascensione, agli apostoli che chiedono a Gesù: “Signore, è questo il tempo in cui ricostruirai il regno di Israele?”, ed egli risponde: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta” (At 1,6-7).

Nasce allora una riflessione nuova: il Regno di Dio si è già instaurato nel mistero pasquale di Gesù, nel suo “passaggio” da questo mondo al Padre attraverso la sua passione, morte, resurrezione e ascensione: è questo l’evento che ha determinato una volta per tutti la sconfitta del male e il trionfo di Dio, e che ha fatto di coloro che seguono il Cristo un popolo santo, di veri figli di Dio.

I discorsi apocalittici del Nuovo Testamento (Mt 24,1-44; Mc 13,1-37; Lc 21,5-36) avevano presentato la venuta del Figlio dell’uomo come collegate all’“abominio della desolazione”, alla distruzione di Gerusalemme e del tempio e alla fine del mondo. Luca non parla di abominio”, ma solo di “desolazione” (“erèmosis”: 21,20). Il profeta Daniele, parlando dell’“abominio della desolazione” (Dan 9,27), aveva detto che al termine delle settanta settimane ci sarebbe stata l’uccisione dell’Unto del Signore, la profanazione del tempio e l’interdizione del culto. I cristiani cominciano a capire che Gesù, facendo riferimento a tale profezia (Mt 24,15; Mc 13,14), aveva voluto configurare proprio la sua morte, ordita dai capi religiosi, dai responsabili del tempio, come la massima profanazione del tempio stesso, che avrebbe prodotto l’abbandono del giudaismo e delle sue pratiche cultuali (Mt 23,38; Mt 24,16-20; Mc 13,14-18), e aveva voluto così proclamare così la fine dell’economia antica, simboleggiata dallo squarciarsi del velo del tempio (Mt 27,51; Mc 15,38; Lc 23,45); la sua morte era stata inoltre il momento della catastrofe cosmica, come annunciato dai segni che l’accompagnarono: le tenebre, il terremoto, la resurrezione dei morti (Mt 27,45.51-54; Mc 15,38; Lc 23,45). 

Proprio nelle lettere scritte alle comunità d’Asia (Colossi ed Efeso, tra il 61 e il 63, dalla prigionia di Roma), in mezzo a cui nascerà l’Apocalisse, Paolo afferma che i beni fondamentali del Regno Messianico, il dono dello Spirito, la resurrezione, una nuova vita divina, sono già realizzati. Il battezzato è già morto e risorto in Cristo (Col 2,12-13; 3,1); il credente è già collocato con Gesù nei cieli (Ef 2,5-6 )!

In tal senso nasce poi, secondo la lettura moderna, il testo dell’Apocalisse: siamo “già” salvati, “già” redenti, “già” possessori dei beni del Regno, la grazia, la vita di Dio, la vittoria sul peccato e sul male, anche se, ancora imprigionati nella dimensione spazio-temporale tipica della creaturalità, “non ancora” li gustiamo esperienzialmente: per ora solo nella fede partecipiamo a questo evento, finché la nostra morte, liberandoci dalla nostra dimensione terrena e lanciandoci nell’eternità di Dio, ci permetterà di vivere in pienezza la salvezza e l’incontro con Dio. Per l’Apocalisse, grande messaggio di speranza, nella Croce e Resurrezione già si è realizzato il “giorno del Signore”, e nella nostra morte noi entreremo nella dimensione di Dio, in cui, fuori dallo spazio e dal tempo, il “giudizio particolare” di ciascuno di noi e il “giudizio universale” coincidono.

  1. Quel giorno… come un laccio si abbatterà su tutti (21,35). Il ritorno del Figlio dell’uomo non sarà preceduto da segni premonitori prevedibili e rassicuranti: giungerà all’improvviso. “Nell’ora che non immaginate il Figlio dell’uomo viene” (Lc 12,40); “Il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa” (Lc 12,46). Ciò che conta, dunque, è stare attenti a non lasciarsi sorprendere.

Le esortazioni:

  1. Non lasciatevi ingannare (21,8).
  2. Non vi terrorizzate: non è subito la fine (21,9).
  3. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina (21,28): Dio vi libera dal dolore!
  4. Non preparate la vostra difesa: io vi darò parola e sapienza cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere… Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto (21,14-18).
  5. Con la perseveranza salverete la vostra vita: l’“ypomonè”, che è sopportazione e pazienza (21,19).
  6. La Chiesa si separi dal giudaismo: inizia una nuova economia: “Coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in campagna non tornino in città” (21,21).
  7. I vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni… e affanni della vita (21,34).
  8. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di… comparire davanti al Figlio dell’uomo (21,36). Il regno di Dio si è instaurato una volta per tutte nell’incarnazione, morte e resurrezione di Gesù, nell’“ora” (Gv 13,1) in cui egli è passato da questo mondo al Padre, e con lui ha fatto fare Pasqua, cioè passaggio, anche a noi. Ma se ciò si è già realizzato nella fede “una volta per tutte” (Rm 6,10; Eb 7,27; 9,12; 1 Pt 3,18), per noi che restiamo ancora nella creaturalità, soggiacendo ai limiti dello spazio e del tempo, c’è ancora l’esperienza della sofferenza e della morte: per questo talora nei Vangeli questo regno è presentato come evento non ancora realizzato (Mt 7,21; 8,11; 13,43; 19,23; 25,34; Mc 14,25; 1 Cor 6,9-10; Ef 5,5; 2 Pt 1,11…). Nella fede siamo già salvati, partecipi della vita stessa di Dio, del suo regno glorioso; nell’esperienza quotidiana siamo ancora sotto il segno della creaturalità e dei suoi limiti. Per questo preghiamo: “Venga il tuo regno” (Mt 6,10; Lc 11,2), chiedendo a Dio che sperimentiamo presto anche nella nostra dimensione storica quanto si è già realizzato nell’eternità di Dio, la vittoria definitiva sul male e sulla morte da parte del Figlio. È il grido del credente che implora: “Maranà tha: vieni, Signore!” (1 Cor 16,22), come la Sposa dell’Apocalisse (Ap 22,17.20). Che già ora, nella nostra vita, possiamo partecipare, nella fede, alla vittoria di Cristo sul male e sulla morte, che già ora la nostra vita sia piena della gioia del regno! Nell’attesa dell’incontro definitivo con il Signore che si realizzerà con la nostra morte, quando usciremo dallo spazio e dal tempo per andare incontro a Dio nella sua eternità.

Il commento alle letture di domenica 28 novembre 2021 a cura di Carlo Miglietta, biblista; il suo sito è “Buona Bibbia a tutti“.