Commento al Vangelo di oggi, lunedì 9 novembre 2015 – Dedicazione della Basilica Lateranense

Il Flagello che ci “dedica” a Cristo

Si «avvicina la Pasqua dei Giudei», e Gesù si avvia alla sua Pasqua, il passaggio con cui purificherà l’umanità. Prima tappa, il Tempio, come un’ouverture profetica. Il Tempio di Gerusalemme immagine di tutti noi, chiamati ad accogliere Dio ci siamo trasformati in «un luogo di mercato», ormai impuro e inadatto al culto. «Divorato dallo zelo», Gesù vi entra brandendo una «sferza di cordicelle», e comincia a cacciar fuori come in un esorcismo, i demoni usurpatori. Il «flagellum» romano, dal greco «phragellion» del vangelo, traduce il termine ebraico «hebel», che significa allo stesso tempo «corda e dolori», in particolare «quelli del parto». È arrivato il Messia, e semina terrore, come annunciato dai Profeti e come anche la tradizione rabbinica ne immaginava l’avvento. Per questo i Giudei non si indignano per il gesto in sé, ma chiedono a Gesù il segno che legittimi il suo «fare queste cose». Il punto su cui verte il Vangelo di oggi non è il Tempio ma la figura di Gesù. E non è un caso che si proclami questo brano per celebrare la Dedicazione della Cattedrale di Roma, «madre e capo di tutte le chiese dell’Urbe e dell’Orbe». Non celebriamo un tempio di mattoni, ma Cristo, l’autentico Tempio di Dio, la sua dimora tra gli uomini. In Lui e nel suo amore, infatti, siamo chiamati a dimorare, per vivere la vita come un’interrotta liturgia di lode.

[ads2]Gesù è il «segno» rivelato nella sua Pasqua, quando il flagello che ha brandito durante la loro Pasqua, lacererà le sue carni, e sarà perdono per ogni uomo. Il flagello che, mercanti avidi e avari, non avremmo potuto schivare se il corpo senza peccato del Signore non ci avesse protetto .«Sciogliete» il «Santo dei Santi» e lo farò «sorgere» in «tre giorni»: nel cuore del Tempio, il Luogo della Presenza di Dio dove era custodita l’Alleanza, aveva accesso una volta all’anno il solo Sommo Sacerdote, nel giorno solenne dello Yom Kippur, il giorno del perdono e dell’espiazione. Vi entrava pronunciando il Nome del Dio Altissimo, nel quale ogni peccato era perdonato. Allo spirare del Signore, il velo che divideva il Santo dei Santi dal resto del Tempio è stato «sciolto» per sempre. Da allora è «Gesù» il Nome dell’Altissimo che ci è dato perché siano «sciolte» le catene dal perdono che ci riammette alla santità perduta, nuovamente dedicati a Dio. Come nel Rito della dedicazione di una Chiesa, anche noi, unti dello Spirito nel quale Gesù si è offerto al Padre, diveniamo Tempio consacrato per dedicare a Dio la nostra vita sugli altari della nostra storia: il matrimonio, il fidanzamento, il lavoro, le amicizie, lo studio, tutto come un’eucarestia dove offrirci con Lui e prendere su di noi il peccato degli altri. La vita della Chiesa, la nostra vita, è racchiusa nei «tre giorni» del mistero di Cristo, tra il flagello che strazia la carne, il dolore del parto, e la nascita di una vita nuova. La Chiesa, infatti, è il Corpo benedetto di Cristo dedicato a Dio che si offre come barriera a raccogliere i flagelli destinati ad ogni generazione. Nell’insulto che oggi ci toglierà l’onore; nella calunnia che ci metterà alla berlina; nella ribellione del figlio; nell’incomprensione del coniuge; nella tentazione della concupiscenza; nella malattia che ci indebolisce; nei fallimenti della missione; in tutto, si nasconde il flagello geloso di Dio che, da un lato ci purifica giorno dopo giorno, e dall’altro lacera il nostro corpo perché il mondo abbia accesso al Cielo.

A cura di don Antonello Iapicca | link al video

Dal Vangelo secondo Giovanni 2,13-22.

Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.
Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco.
Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori del tempio con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi,
e ai venditori di colombe disse: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio un luogo di mercato».
I discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divora.
Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: «Quale segno ci mostri per fare queste cose?».
Rispose loro Gesù: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere».
Gli dissero allora i Giudei: «Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?».
Ma egli parlava del tempio del suo corpo.
Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

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