Commento al Vangelo di domenica 7 Aprile 2019 – mons. Giuseppe Mani

E’ la, davanti a Lui, Gesù, questa donna presa in flagrante adulterio. Intorno a lei fanno cerchio i suoi accusatori, i suoi giudici: “Maestro, questa donna è stata presa in flagrante adulterio. La legge di Mosè ci ordina di lapidare donne così”. Questi uomini accusano la donna. Ma lei non è sola. Il suo complice dovè? E’Gesù. Loro fanno il cerchio per accusare Gesù. E’ Gesù al centro delle loro preoccupazioni. E’ Lui l’oggetto del loro giudizio, della loro accusa, meglio, della loro condanna. Il Vangelo lo dice chiaramente: ”Parlavano così per metterlo alla prova, per poterlo accusare”. In questo fatto vediamo Gesù all’opera: Gesù viene ad incontrare il peccatore e lo cerca bloccato nel suo peccato, prigioniero della sua colpevolezza, prigioniero degli sguardi posati su di lui.

Gesù è venuto ad incontrare l’uomo peccatore correndo il rischio di prendere l’accusa su di se. Gesù è venuto ad incontrare anche i giusti o coloro che si ritengono tali per rivelare loro che non sono meglio degli altri, che anche loro sono dei peccatori. Due volte Gesù si è piegato al suolo e si raddrizza, come per simbolizzare la morte e la resurrezione. Due volte traccia dei segni misteriosi sul suolo. Perché due volte? Che cosa ha scritto sulla terra? “Colui che è senza peccato scagli la prima pietra” disse dopo essersi rialzato la prima volta. Uno dopo l’altro se ne andarono. Può essere che sulla sabbia abbia scritto :”Giustizia”. Gesù, dopo che se ne erano andati, rimasto solo con la donna gli dice “Neppure io ti condanno. Va e non peccare più”. Si abbassa di nuovo e può essere che abbia scritto: “Perdono” “Misericordia”.

Questa è l’opera di Gesù: Giustizia e perdono; giustizia e misericordia. Gesù fa comprendere a quelli che si pretendono giusti saggi e liberi che son legati al loro peccato, prigionieri spesso della loro propria giustizia. Gesù aiuta coloro che sono nella sofferenza e nel peccato a trovare la strada della vita, della giustizia e dell’avvenire. Quali sono questi cerchi che ci chiudono e ci proibiscono di prendere la strada della libertà, del bene e dell’amore? Sono le nostre passioni, questi sentimenti che ci animano, che ci dominano, con il desiderio di possedere subito la felicità, di gioire subito del piacere, sia i nostri giudizi che ci bloccano in uno sguardo definitivo verso gli altri che poi è uno sguardo definitivo su Dio e su noi stessi. Cristo è venuto per cancellare questi cerchi, per aprire le prigioni delle passioni, dei giudizi, per dare a ciascuno la possibilità di una vita nuova.

Anche noi dobbiamo tentare, la dove siamo, con la luce e la forza di Gesù, ma senza precipitare, con amore e delicatezza, aprire, come possiamo, grazie a questo amore e a questa delicatezza nuove strade per coloro che ci circondano. Ma non possiamo farlo se non entriamo nello stesso movimento di Cristo che si è abbassato, umiliato per questo amore (Fil 2,8), movimento per quale l’uomo è stato elevato, rimesso in piedi, restaurato nella sua dignità. Lungi da ogni ambiguità simbolica il gesto di Cristo significa molte cose:

1) Che ogni essere umano, immagine di Dio è terra santa davanti alla quale devo inchinarmi.

2) Siamo invitati a metterci a servizio gli uni degli altri.

3) nelle relazioni, meglio guardare gli esseri dal basso che dall’alto perché la prospettiva sia sempre verso l’alto, verso la dignità. Gesù ha introdotto nella nostra storia un capovolgimento di valori. La grandezza non è di dominare ma di donare. La grandezza non si situa nella linea del dominio ma della generosità.

Ecco perché Gesù in ginocchio attesta la vera grandezza, quella del dono, quella dell’amore, l’unica che conviene a Dio.

Fonte – il sito di mons. Giuseppe Mani

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