Commento al Vangelo di domenica 4 Dicembre 2022 – Comunità Kairos

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L’Avvento, come ogni anno, ci presenta la figura di Giovanni Battista, l’ultimo dei profeti, “anzi, più che un profeta”, come dirà di lui lo stesso Gesù (Mt 11,9). Tutti gli evangelisti parlano dell’attività del Battista come una preparazione a quella di Gesù. Ognuno di essi la presenta da un suo punto di vista, e i diversi aspetti di questa figura singolare ci offrono altrettanti elementi per ricostruire la sua straordinaria personalità.

Matteo mette in rilievo il suo aspetto di predicatore che compie la sua missione secondo lo stile profetico e lo introduce sulla scena come un personaggio ben noto, descrivendolo con dovizia di particolari (le vesti, il cibo), che ci rimandano soprattutto al profeta Elia (2Re 1,8ss). Giovanni non è un uomo eccentrico o fuori di testa, ma si colloca esattamente nella storia della salvezza nel tempo stabilito secondo quanto già detto dal profeta Isaia, un tempo ormai maturo per accogliere il regno del Signore. Egli è essenzialmente voce, “voce di uno che grida nel deserto” (v.3).

Come tutti i profeti è abitato dalla passione per la Parola di Dio: “nel mio cuore c’era come un fuoco ardente” (Ger 20,9) e per questo la sua voce sale sopra le righe, superando i limiti di un sano equilibrio e diventa grido. Come tutti i profeti è messaggero di parole non sue, parole di un Altro a cui presta la sua voce per svegliare le coscienze addormentate: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino” (v.2).

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Sono le stesse parole di Gesù all’inizio della sua predicazione. Forte e urgente è il richiamo alla conversione, aspro e asciutto il linguaggio di Giovanni come il deserto che lo aveva educato: “Ora il bambino cresceva e si irrobustiva nello spirito. Ed era nei deserti, fino al giorno della sua manifestazione al popolo di Israele” (Lc 1,80). La sua scelta di vita, radicalmente essenziale e umile contrasta ancora di più con le sue origini, perchè veniva da una famiglia sacerdotale, dunque di alto rango.

Aveva certamente studiato presso le migliori scuole di Gerusalemme, aveva cultura ed era seguito da folle di discepoli. Gridare al vento in uno dei luoghi più desolati e inospitali della terra sembra un controsenso, e invece è proprio lì che Giovanni attira le folle come in uno spazio di libertà, di autonomia. In questo senso allora il deserto non è un luogo selvaggio, ma è il luogo della riflessione, dell’approfondimento, dell’intimità, della guarigione.

Il richiamo alla conversione implica l’uscita dalle città, dall’altura alla valle, da Gerusalemme al Giordano. Il movimento non è, ovviamente, soltanto materiale, ma esso implica il riconoscimento di un bisogno «spirituale»: quello di abbandonare il luogo comodo delle certezze, ma arido di umanità, per mettersi in fila con coloro che cercano risposte a una sete di giustizia, condivisione, salvezza, rispondendo all’appello del cuore che vuole ritornare a Dio. Ricevere da Giovanni un Battesimo di purificazione non vuol dire però che sono rimessi i peccati (Matteo indica solo in Gesù il potere di rimettere i peccati grazie alla sua morte salvifica) ma prepara il cuore all’accoglienza del dono Gesù-Messia.

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Solo lo «stare in fila» con coloro che non rinunciano al sogno di un mondo «umanizzato» può rappresentare un cammino di conversione. Solo così, secondo il Battista, si può, per i credenti e i cercatori di Dio, aspettare “colui che viene dopo di me (…) e al quale io non sono degno neanche di portargli i sandali” (v. 11), quel Gesù di Nazareth che, non a caso, avrebbe fatto la fila al Giordano con i peccatori nel giorno del suo battesimo. Insieme a tante persone sinceramente desiderose di cambiar vita, accorrono anche le autorità religiose “molti farisei e sadducei” (v.7).

Ma Giovanni non cerca un facile successo con schiere di battezzati il cui cuore non è rinnovato, per i quali l’essenziale della religione consiste nell’osservanza minuziosa dei precetti imposti dalla legge. Essi credono di partecipare ad uno dei tanti riti di purificazione imposti dalla religione per permettere una migliore relazione con Dio (Lv 15,16-18). E allora Giovanni li scuote dalla loro ipocrisia gridando: “Covo di vipere” (v.7), scagliandosi contro chi è abitato dalla presunzione della salvezza, come se la salvezza fosse un’eredità che spetta di diritto per il fatto di essere figli di Abramo.

Il Battista ricorda agli ebrei che la figliolanza da Abramo è essa stessa un dono gratuito di Dio. Se uno si presenta davanti a Dio e ai doni di Dio con le sue credenziali di onore, di dignità e di privilegio, in questo modo rifiuta il dono del Signore. Invece la conversione è resa possibile dalla “grazia” del Signore. Ecco perché i frutti di conversione richiesti non possono essere identificati semplicemente come “buone opere”, ma sono la libera risposta d’amore dell’uomo alla volontà del Signore, riconoscendosi sempre peccatori bisognosi della grazia di Dio, perché senza di lui non possiamo fare nulla (Gv15,5).

Dio non è di proprietà dei figli di Abramo, la sua libera azione creatrice può chiamare all’esistenza ciò che non esiste (Rom 4,17), perciò già ora (v.10) il venturo castigo di Dio incombe su chi si trincera dietro le proprie ingannevoli certezze. Giovanni sta invitando l’uditorio a iniziare subito un cammino di discernimento. Il suo battesimo in acqua prepara al battesimo in Spirito Santo e fuoco del messia che viene. Tipico dei profeti è annunciare il giudizio di Dio con immagini apocalittiche, ma qui c’è una sostanziale differenza: il Signore viene non con il fuoco inestinguibile del giudizio (Os 9,1-2; Mi 4,11-13; Ger 4,11; Ez 22,18- 22; Is 66,15-16), ma con il fuoco dello Spirito Santo, lo Spirito d’amore che fa di ogni uomo una creatura nuova e lo trasforma in strumento della grazia divina.

Giovanni proclama un lieto annuncio, non una minaccia, perché vuol dire che il peccato non è l’ultima parola, che è sempre possibile il cambiamento, che le situazioni paralizzanti possono essere sciolte, sempre che il cambiamento uno lo pensa non come opera propria, ma come apertura all’azione del Signore e alla potenza della sua grazia. Il giudizio è un cammino di guarigione, non di distruzione e allora occorre guardare a Cristo, perché ciò che Cristo è, diventa istanza quotidiana di verifica del cammino del cristiano e dunque istanza di giudizio rivelando nell’oggi il Regno del Figlio di Dio che è con noi.

La grandezza e l’attualità di Giovanni consistono quindi nel suo appello alla conversione, cominciando da oggi. Nessun altro elemento, per quanto importante esso sia, deve allontanare dal centro che è Gesù. Giovanni non ha il culto dell’immagine di se stesso, non è interessato a ricevere “like” per sé, è consapevole che “Egli (Gesù) deve crescere e io invece diminuire” (Gv 3,30). Oggi come allora egli è colui che sposta il nostro sguardo su un Altro, l’unico capace di guarire i nostri cuori e ricondurli a Lui.

Ha esaurito il suo ministero terreno, ma rimane per sempre testimone silenzioso del Dio vivente nell’atto di indicare Gesù a tutta l’umanità: “Ecco l’agnello di Dio” (Gv 1, 36).


A cura di Annalisa per la Comunità Kairos.

Immagine di Dimitris Vetsikas da Pixabay