Commento al Vangelo di domenica 3 Giugno 2018 – Comunità Monastica Ss. Trinità

Il quadro teologico e spirituale nel quale si è formata la solennità del Corpo e Sangue di Cristo ha sicuramente privilegiato, nella eucologia e nella comprensione liturgica della festa, alcuni aspetti fondamentali del mistero celebrato, come la presenza reale e la dimensione sacrificale dell’eucaristia. E questa particolare angolatura offre alla liturgia una prospettiva più contemplativa che pone in rilievo l’atteggiamento dell’adorazione di fronte al dono che il Padre ci fa, nello Spirito Santo, del corpo e del sangue del suo Figlio. Mediante un linguaggio evocativo, pieno di stupore e di profonda gratitudine, la tradizione medievale ha elaborato una ricchezza di forme espressive e poetiche di cui è testimone Tommaso d’Aquino con il suo inno Adoro te devote e la famosa  antifona O Sacrum Convivium, piccola sintesi di teologia eucaristica: «O sacro convito, di Gesù Cristo ci nutri; sei viva memoria della sua passione; all’anime nostre doni la vita divina e il pegno della gloria futura». Tuttavia il ciclo di letture bibliche per i tre anni amplia l’orizzonte teologico- liturgico di questa festa, recuperando molti altri elementi necessari per la comprensione del mistero dell’eucarestia.

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I testi scelti per l’anno B, soprattutto il brano dell’Esodo e la pericope di Ebrei 9,1-15, evidenziano, in una continuità e compimento tra la storia di Israele e l’evento pasquale di Cristo, l’aspetto sacrificale come realtà costitutiva dell’alleanza tra Dio e il suo popolo: nel rituale descritto da Es 24,3-8, al sangue delle vittime del sacrificio si sovrappone la simbologia della vita stessa di Dio comunicata al suo popolo (il sangue è il luogo della vita di ogni carne, come ricorda Lv 17,14). L’alleanza tra Dio e il suo popolo si trasforma in una relazione di vita, in una scambio esistenziale (il simbolo del sangue) che fonda una reale comunione tra Dio e il suo popolo. Si potrebbe quasi dire che il sangue è il sacramento di questa relazione: «Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: “Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole”» (v. 8). Il gesto di Mosè esprime il rapporto fondamentale che il popolo si impegna a vivere con Dio: accettare di essere aspersi, investiti dalla vita, trasformare in vita questo rapporto obbedendo alla parola che Dio ha donato. La parola è la base dell’alleanza, in quanto rivela la volontà di amore di Dio verso il suo popolo e la verifica esigente della fedeltà di Israele al suo Dio. E il sangue è il sigillo che rende questa volontà di comunione definitiva.

Ma nel disegno di Dio tale comunione di vita viene rinnovata in modo definitivo nel sangue di Cristo, «mediatore della nuova alleanza» (Eb 9,15) perché, come ci ricorda Eb 9,12, «egli entrò una volta per sempre nel santuario… in virtù del proprio sangue, ottenendo una redenzione eterna». La comunione di vita non è più data dal gesto simbolico di una aspersione con il sangue della vittima sacrificale; è il sangue stesso di Dio, se così si può dire, che viene versato sull’umanità per sancire quella unione che nemmeno il peccato dell’uomo può distruggere; è il sangue della vita attraverso cui l’uomo entra in comunione piena con Dio. Gesù stesso rivela il mistero di questa alleanza ai discepoli nell’ultima cena: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti» (Mc 14,24).

Ed è appunto nel racconto della cena pasquale, così come Marco ce lo ha tramandato, che tutti questi aspetti trovano il loro luogo di rivelazione piena. Anzi, per Marco, ciò che avviene nella ‘stanza’ della cena si trasforma quasi in una chiave di lettura del significato salvifico del dramma della passione e della morte di Gesù. E all’interno del pasto che Gesù celebra con i suoi discepoli, emerge con forza il contrasto tra il peccato e il tradimento dell’uomo (versetti omessi nella pericope liturgica) e la consegna che Gesù fa di se stesso come dono per la salvezza dell’uomo. Nel descrivere i preparativi per la cena pasquale, tra l’altro, Marco, così attento ai particolari, non fa accenno a un elemento fondamentale: l’agnello. E questo è significativo, in quanto rivela la vera portata di quel pasto: il vero agnello pasquale, la vera vittima è Gesù stesso.

Ma  tutto  questo  viene  come  concentrato  misteriosamente  (si  potrebbe  dire,  piuttosto, sacramentalmente) nel gesto, allo stesso tempo semplice e inaudito, del pane spezzato e condiviso e del vino versato e distribuito. Gesto che Gesù accompagna con le parole: «questo è il mio corpo… questo è il mio sangue» (vv. 22.24). È un gesto che contiene, rende presente e rivela tutta la vita di Gesù, permettendoci di cogliere il cuore stesso del suo mistero e del suo amore per il Padre e per noi. Ma non si deve dimenticare che ciò che Gesù compie avviene all’interno del pasto pasquale, con i suoi gesti e la sua ritualità, così antichi e familiari per Israele, evocativi di una presenza di Dio, ma anche carichi di un nuovo significato nel momento in cui sono compiuti da Gesù. Il pane spezzato, il vino bevuto, il pane e il vino distribuiti ai discepoli rivelano la morte imminente di Gesù e il dono della vita in essa racchiuso: sono il corpo e il sangue di Gesù donato ai discepoli e nei quali è comunicata la vita. In essi Gesù dona tutto se stesso, quello che è stato, la sua esistenza condivisa nell’amore per il Padre e per i suoi; una vita indivisa, unica negli intenti e nella volontà, ma ‘spezzata’ per essere condivisa da tutti. Sta qui la forza dell’imperativo «prendete»: è la condivisione per entrare in una nuova comunione con Gesù. Nelle mani di Gesù, e nelle mani di chi continuerà a perpetuare questo gesto, quel pane e quel vino diventano ‘sacramento’ della presenza di Gesù stesso in mezzo ai suoi, ‘sacramento’ di comunione in cui Dio agisce e comunica la sua vita: «questo è il mio corpo… questo è il mio sangue».

Realmente ciò che Gesù ha compiuto in quell’ultima cena, e ciò che la Chiesa continua a compiere in ogni eucaristia, ci rivela il cuore della esistenza di Gesù e il mistero stesso della Incarnazione: un Dio che si dona all’uomo perché l’uomo, comunicando a questa fonte di vita, possa entrare pienamente in comunione con Lui. Come ci ricorda l’acclamazione dopo l’anamnesi nella preghiera eucaristica, ogni volta che celebriamo l’eucaristia noi entriamo in questa prospettiva di comunione, la testimoniamo e la trasformiamo in annuncio di salvezza per ogni uomo e, infine, proiettiamo la nostra vita verso il compimento di questa comunione, nell’attesa di condividere con Cristo ‘il frutto della vite’ nuovo, nel Regno. L’eucaristia ci fa andare al di là del mondo presente, là dove c’è il compimento e la pienezza. Qui c’è l’attesa, una attesa resa autentica (cioè anticipazione, presenza, memoria, annuncio) dalla celebrazione della eucaristia. E l’eucaristia è la cena di coloro che sono affamati, di coloro che sperano e aspettano che Qualcuno venga a dare pienezza alla loro vita: «annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta».

Fonte: Monastero Dumenza

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

DOMENICA del CORPUS DOMINI

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 3 Giugno 2018 anche qui.

Mc 14, 12-16. 22-26
Dal Vangelo secondo Marco

Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».
Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi».
I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua.
Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio».
Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 03 – 09 Giugno 2018
  • Tempo Ordinario IX
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

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