Commento al Vangelo di domenica 3 Febbraio 2019 – mons. Giuseppe Mani

Come sempre il Vangelo sembra semplice a prima lettura ma sconcertante se si legge attentamente. Guardiamo le tappe dell’evoluzione dei Nazaretani: all’inizio rendono testimonianza a Gesù, il che vuol dire gli fanno una certa pubblicità; in seguito si stupiscono del “suo messaggio di grazia”: e si vedrà che proprio questo è il fondo del problema; ancora un passo e: a che titolo il figlio di Giuseppe può prendere la parola per un messaggio di grazia? E alla fine il furore omicida. C’è un degrado netto dei rapporti tra Gesù e i suoi connazionali.

Gesù si è presentato con la profezia di Isaia, come colui che guarisce, riabilita e apre le prigioni, ecc. Così annuncia che Dio è amore e questa rivelazione non piace: si preferisce un Dio perverso, un Dio vendicativo, che punisce, che domina ecc. Perché? Perché un Dio così cauziona i propri odi, le proprie invidie, la nostra pretesa di punire ecc. Con un Dio amore non ci resta altro che amare, perdonare e liberare. Sempre coloro che hanno proclamato “un messaggio di grazia” si son fatti uccidere o ridurre al silenzio: dei semplici, dei sognatori, degli utopisti che non val la pena di ascoltare. Coloro che si son contentati di guarire i malati (il dott. Schweitzer) son riusciti a farsi accettare dalla pubblica opinione.

Gesù non ha soltanto guarito i malati ma ha preteso di guarire coloro che procuravano le malattie agli altri: liberare i prigionieri è mettere i giudici in questione. E’ lì che non funziona più. Il figlio di Giuseppe Quando un messaggio non piace si prende di mira la persona che lo annuncia soprattutto se il messaggio stesso è inattaccabile. Si cerca nella sua famiglia dei precedenti dubbiosi e nella sua vita degli errori che abbia potuto fare. Si discredita il messaggio discreditando il messaggero. E’ un Ebreo. Eh si, si sente ancora dire. E’ un comunista, è un fascista; oppure, ha un padrone….. e per Gesù è di Nazareth, è figlio di Giuseppe: Chi è per poter farci lezione? Dietro a tutto questo c’è qualcosa di più sottile: c’è la gelosia e l’invidia. Se questo Gesù esce da noi, non dovrà essere più di noi. Gesù è partito dal suo paese per andare ad esercitare la sua professione altrove: a Cafarnao. Nel testo abbiamo anche quattro nomi di luoghi: Nazareth, Cafarnao, Sarepta e la Siria: allontanandosi sempre di più. Riferendosi ad Elia ed Eliseo Gesù dimostra che Dio non preferisce più Israele agli altri popoli. Aumentando così la gelosia.

Amore di se e amore degli altri. Rifiutandosi di ammettere che un profeta possa nascere tra di loro, i Nazaretani ammettono di non amarsi abbastanza. Se non amano se stessi, può essere che amino gli altri? Assolutamente no: rifiutano che Dio possa interessarsi agli altri. In fondo Dio non si interessa di nessuno. Dio non è amore. E allora che resta della loro “religione”? Questo. Dio è loro proprietà: essi hanno ragione in tutto ciò che fanno e sono perché sono loro. In questo caso come possono essere fieri dei loro profeti? Mai perché il profeta viene a disturbare giustamente queste pretese. Ecco allora il tentativo di ucciderlo: si vuol far fuori della sua città. (La croce sarà innalzata fuori della città). Ma Lui “passa”, il termine della Pasqua. Questa riflessione ha risvolti negativi. Ma cosa dire di positivo, quando questa manifestazione di Dio di tutti, come amore liberante coloro che sono malati provoca il conflitto mortale? ( Vedi la storia dell’America latina, Oscar Romero, l’apartheid in Africa del Sud, la morte di Martin Luter King ecc) Questa: Dio è talmente liberatore che libera noi stessi dalla mentalità dei nazaretani, da ogni nostra ostilità alla liberazione degli altri.

E ancora: niente può impedire a Cristo di “passare”, neppure la morte. Addirittura la morte attraverso la quale vogliamo bloccarlo diventa al contrario il passaggio di liberazione.

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QUARTA SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

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Lc 4, 21-30 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. C: Parola del Signore. A: Lode a Te o Cristo.

Fonte: LaSacraBibbia.net

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