Commento al Vangelo di domenica 29 Aprile 2018 – ElleDiCi

UNA CHIESA CHE CREDE, AMA, OPERA

«La Chiesa era in pace… cresceva e camminava». È sempre il frutto della Pasqua. Il Signore risorto è presente in mezzo ai suoi, come aveva promesso: «Ecco, io sarò con voi sempre fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Uniti a lui come tralci alla vite, i cristiani, comunità di credenti, sempre secondo la sua promessa, che ci viene ricordata nel Vangelo, portano «molto frutto». Quando Paolo, con l’aiuto di Barnaba, inizia il suo ministero, come riferiscono gli Atti degli Apostoli, è già avvenuto il miracolo della Pentecoste, e la Chiesa cresce e cammina «colma del conforto dello Spirito Santo»; quello Spirito, ci assicura s. Giovanni, che Dio ci ha dato. Vogliamo vederla da vicino questa Chiesa primitiva in cammino, modello e norma della Chiesa di tutti i tempi, del nostro tempo?

Una Chiesa che crede

«Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo». Gesù ha parlato, ha gettato a piene mani la parola di Dio nei solchi aperti della storia. Pochi, allora, l’hanno accettata, ma fra quei pochi ci furono quelli che, fedeli alla consegna del Maestro: «Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo ad ogni creatura» (Mc 16,15), hanno fatto dell’annunzio l’impegno della loro vita. Agli undici che da Gesù stesso allora avevano ricevuto questa missione si aggiungeranno altri: qui ci incontriamo con Barnaba e con Paolo, mandato anche lui da Gesù «per portare il suo nome dinanzi ai popoli, ai re e ai figli di Israele» (At 9,15), e li vediamo predicare a Damasco e a Gerusalemme. Così le parole del Signore penetrano nel cuore degli uomini disposti ad accoglierle, rimangono in loro e, secondo la promessa di Gesù nel Cenacolo, suscitano la preghiera che il Padre esaudisce, e gli ascoltatori, divenuti suoi discepoli, portano molto frutto.
È così anche di noi? Come ascoltiamo la parola? Come ci impegniamo nel difendere la fede, minacciata da tante parti, nell’alimentarla e farla crescere in noi e nelle nostre comunità, nell’annunziarla ai lontani?

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Una Chiesa che ama

«Questo è il suo comandamento: che… ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato» perché, tralci dell’unica vite, siamo vitalmente uniti a Cristo e uniti fra noi («chi non è in Cristo, non è cristiano» dice s. Agostino). A questa realtà deve corrispon-dere il nostro comportamento: vivere la comunione con Cristo e fra noi, nell’amore. Odiarsi, o anche solo ignorarsi a vicenda, sarebbe negare il dono che Gesù ci ha fatto, di unirci a sé e tra noi.
Come amare? «Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità». Il «frutto» che deve portare il cristiano non è di belle parole: «Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?» (Gc 2,15-16).
L’ardente desiderio di Gesù è espresso nelle parole con cui si conclude il brano del Vangelo: «In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». Ma, domandiamoci ancora, qual è questo frutto? Chi sono i suoi discepoli? L’aveva detto poco prima: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Se la Chiesa dev’essere, secondo il Concilio, «come un sacramento o segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen Gentium, 1), in un mondo dilaniato dall’odio, minato nelle sue parti vitali dalla violenza eversiva, è necessario prima di tutto, che i credenti in Cristo si amino, col cuore e con i fatti, come fratelli.

Una Chiesa che opera

Ascoltiamo s. Agostino: «Le sue parole rimangono in noi, quando facciamo ciò che ci ha comandato e amiamo ciò che ha promesso; quando invece le sue opere rimangono nella memoria ma non si ritrovano nella vita, il tralcio non è più considerato parte della vite, perché non attinge la vita dalla radice». Abbiamo visto Barnaba e soprattutto Paolo all’opera, predicando con coraggio, parlando apertamente nel nome del Signore. Questa è anzitutto l’opera a cui è chiamata la Chiesa. Chi crede nel Signore risorto e attinge da que-sta fede una sicurezza piena e felice, «che altro desidera», domandava Paolo VI nel giorno di Pasqua ai pellegrini che gremivano Piazza S. Pietro, «se non di comunicarla a chi oggi non la condivide, per averli soci della nostra fede e della nostra beatitudine?».
C’è da arrossire se confrontiamo l’atteggiamento passivo e indifferente di troppi cattolici con il proselitismo accanito dei Testimoni di Geova o dei partiti che attingono ciò che hanno di valido nelle loro ideologie da quel Vangelo che noi dovremmo proclamare con la parola e soprattutto con i fatti. Perché «operare», per la Chiesa, per il cristiano, vuol dire non solo «evangelizzare» nel senso ristretto del termine, con la parola, ma renderci disponibili per il servizio dei fratelli in tutto ciò che serve a promuovere l’uomo, tutto l’uomo: intelligenza, cuore, salute, benessere, responsabilità sociale, e tutti gli uomini, vicini e lontani.
«Dio è più grande del nostro cuore»: noi dobbiamo dilatare sempre più il cuore per aprirlo senza limiti a Dio e ai fratelli. Ma non è questo un programma irrealizzabile? Certo, se lo paragoniamo con le nostre sole forze, se non contiamo su Gesù presente in noi: «Senza di me non potete fare nulla». Né poco né molto, insiste s. Agostino, ma nulla. Ma Paolo assicura: «Tutto posso in Colui che mi dà la forza» (Fil 4,13 ).
Dunque, rimanere in lui. «Rimanete in me e io in voi». Non perché, osserva s. Agostino, noi possiamo dare qualcosa a lui, ma perché da lui riceviamo la linfa che fa vivere. Dunque, pregare! «Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato»; «Abbiamo fiducia in Dio, e qualunque cosa chiediamo la riceviamo da lui».

Fonte

Tratto da “Omelie per un anno 1 e 2 – Anno A” – a cura di M. Gobbin – LDC

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LEGGI IL BRANO DEL VANGELO
V DOMENICA DI PASQUA – ANNO B

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 29 Aprile 2018 anche qui.

Gv 15, 1-8
Dal Vangelo secondo Giovanni

1«Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. 2Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. 4Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. 5Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. 8In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 29 Aprile – 05 Maggio 2018
  • Tempo di Pasqua V
  • Colore Bianco
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

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