Commento al Vangelo di domenica 23 Settembre 2018 – don Marino Gobbin

FARE OPERA DI PACE

Nel breve tratto della lettera di s. Giacomo la pace è presentata come un programma che ognuno è chiamato ad attuare in se stesso per essere a sua volta operatore di pace nella comunità. Tra le qualità della sapienza, dono di Dio che deve ispirare e animare tutta la vita del cristiano, emerge quella di essere “pacifica”, e l’elenco delle preziose doti della sapienza si chiude con un’esaltazione della pace: “Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace”.

S. Giacomo richiama un ideale a cui tutti aspiriamo, una meta per cui, ciascuno a modo suo, tutti i responsabili della politica dichiarano di lavorare. Ma la pace vera non si ottiene né si mantiene con belle parole o con pii desideri e nemmeno con le furbizie della diplomazia. Essa suppone una lotta decisa contro le passioni che combattono nelle nostre membra, cioè contro quell’insieme di istinti, di inclinazioni al male che sono in fondo espressioni dell’egoismo nelle sue varie forme: “gelosia e spirito di menzogna”, desiderio smodato di possedere, donde invidia, contese e guerre.

È necessario reagire decisamente contro un modo di pensare e di fare che legittima ed esalta la soddisfazione di tutti gli istinti, la ricerca a qualsiasi costo del denaro, del potere, del piacere. È necessario proporsi come ideale quella sapienza che “è anzitutto pura; poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia”. Ognuna di queste parole può suggerirci un buon esame di coscienza.
E poiché la sapienza del cristiano “viene dall’alto”, e come “ogni buon regalo e ogni dono perfetto… discende dal Padre della luce” (Gc 1,17), la dobbiamo chiedere a Dio: “Se qualcuno di voi manca di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare, e gli sarà data. La domandi però con fede, senza esitare” (Gc 1,5-6).

La 1ª lettura ci ha preparati, riferendo i propositi omicidi degli “empi” contro il “giusto”, ad ascoltare la profezia fatta da Gesù della sua passione, che Marco riferisce a poca distanza dalla predizione che ci fu proposta la scorsa domenica: “Il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare”. L’evangelista soggiunge che i discepoli “non comprendevano queste parole”. Ma dovremmo comprenderle noi, ai quali Paolo potrebbe ripetere ciò che diceva ai Galati: “Proprio voi, agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso” (3,1). È Paolo stesso che pone Cristo morto e risorto al centro della sua catechesi, sono i quattro evangeli che ci presentano al vivo il dramma della passione. E se lo comprendiamo, dobbiamo trarne le conseguenze.

Prima conseguenza: gratitudine e amore verso Gesù che si è sacrificato per noi, verso il Padre che ce l’ha dato: “Mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20); “L’amore del Cristo ci spinge, al pensiero che uno è morto per tutti e quindi tutti sono morti. Ed egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro” (2 Cor 5,14-15); “Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui. In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” (1 Gv 4,9-10). E s. Giovanni aggiunge subito: “Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (v. 11).

Seconda conseguenza: se Gesù “ha dato se stesso per i nostri peccati” (Gal 1,4), se “è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (Rm 4,25), se “siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo” (Rm 5,10), se siamo stati liberati “con il sangue prezioso di Gesù Cristo, come di agnello senza difetto e senza macchia” (1 Pt 1,18-19), dobbiamo pentirci dei nostri peccati, chiederne perdono col proposito sincero di convertirci: “Accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno” (Eb 4,16). Usiamo con riconoscenza, con fede viva, del sacramento della penitenza, dono con cui Gesù ha voluto manifestare la sua misericordia verso il figlio prodigo che ritorna pentito alla casa del padre.

L’esempio di Gesù

Terza conseguenza: imitare Gesù che accetta di soffrire, di morire. È paradossale ciò che afferma s. Pietro: “È una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente… Se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio”. Ma ne dà la ragione: “Anche Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme” (1 Pt 2,19-21). C’è una crocifissione a cui dobbiamo sottometterci anche noi: “Quelli che sono di Cristo hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri” (Gal 5,24). Per mezzo della croce di Cristo, aggiunge Paolo, “il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo” (Gal 6,14). Prima aveva dichiarato: “Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Che i discepoli non avessero compreso le parole di Gesù è confermato da quello che segue. Dopo aver udito il Maestro parlare della morte violenta che l’attendeva, epilogo d’una serie di umiliazioni, di atroci sofferenze fisiche e morali che mai avrebbero potuto immaginare, durante il viaggio verso Cafarnao essi discutevano “tra loro chi fosse il più grande”. Non era l’unica volta.

Gesù ne prende occasione per una lezione valida anche per noi: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti”. Anche in questo è lui a darci l’esempio: “Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevano alcuna stima” (Is 53,3). Così era stato presentato dal profeta il Servo di Dio; e Gesù non si stanca di dichiararsi tale: “I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti” (Mt 20,24-28). Queste parole del Maestro come pure quelle, molto simili, che Luca riferisce nel racconto dell’ultima cena (22,24-27), spiegano il testo più conciso di Marco.

Gesù mette in guardia chiunque occupa un posto di autorità, sia nella vita civile sia nella Chiesa, dall’orgoglio, dalla volontà di dominio, mentre l’autorità è un servizio da esercitare per il bene dei fratelli in spirito di umiltà, di amore e di dedizione. Debbono ricordarsene i genitori, gli educatori, gli uomini politici, gli amministratori della cosa pubblica, i pastori della Chiesa, chiunque è chiamato a una funzione di guida e di comando. L’autorità ha la sua ultima radice in Dio. Egli ha creato l’uomo destinato a vivere in società e legato da un destino di solidarietà con i suoi simili, che richiede un’autorità che assicuri ordine e armonia, che difenda la libertà di tutti. “Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio” (Rm 13,1-2). Con ciò non si vuol dire che non sia lecito – e talvolta doveroso – sottoporre l’operato dell’autorità a una critica rispettosa della verità e ispirata dalla sincera volontà di cercare il bene comune; quando poi l’autorità costituita si comportasse in modo da favorire l’interesse di persone o gruppi privilegiati anziché della comunità, l’opposizione potrebbe diventare necessaria e doverosa.

Agli apostoli Gesù ha dichiarato: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”, e ha dato loro l’autorità (quale autorità!) di rimettere o ritenere i peccati (Gv 20,21-23). L’autorità di insegnare a nome suo: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,18-20). Ma proprio perché mandati da lui, dobbiamo adempiere il nostro ufficio con lo spirito con cui egli l’ha compiuto, di servizio umile, disinteressato, ispirato dall’amore, in totale disponibilità fino al sacrificio di noi stessi.

Sono parole gravi, che obbligano il vescovo ad un serio esame di coscienza. Mi rendo conto del dovere che mi incombe di servire la comunità e di promuovere sempre più in essa un’autentica comunione di fede, di amore, di opere.

Così Pietro interpretava il volere del Signore rivolgendosi ai capi della comunità: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1 Pt 5,2-3). “Ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà”. Il mistero pasquale, centro di tutta l’opera di salvezza, comprende la passione, la morte e la risurrezione del Signore. È in tutto il suo insieme che dobbiamo vederlo e viverlo, attingendo alla parola di Dio e alla celebrazione eucaristica che ce lo rende presente perché possiamo ricevere perennemente i suoi frutti di grazia. In tal modo, per riprendere la felice espressione d’un teologo francese, “sempre posta sotto il segno dell’Agnello immolato, dell’Amore che si è dato in sacrificio, l’esistenza dei credenti svela, al cuore del mondo, il senso e l’esito dell’avventura umana”.

Fonte

Tratto da “Omelie per un anno 1 e 2 – Anno A” – a cura di M. Gobbin – LDC

ACQUISTA IL LIBRO SU

Acquista su Libreria del Santo Acquista su Amazon Acquista su Ibs

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

XXV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 23 Settembre 2018 anche qui.

Il Figlio dell’uomo viene consegnato…

Mc 9, 30-37
Dal Vangelo secondo Marco

30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». 32Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. 33Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». 34Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. 35Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». 36E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: 37«Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 23 – 29 Settembre 2018
  • Tempo Ordinario XXV
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

LEGGI ALTRI COMMENTI AL VANGELO

Read more

Local News