Commento al Vangelo di domenica 22 Luglio 2018 – don Marino Gobbin

IL PASTORE E LA PACE

“Riposatevi un po’”

Nel pieno dell’estate, quando molti sono in vacanza e altri attendono impazienti di andarvi, l’invito di Gesù agli apostoli, ritornati stanchi dalla loro missione, suona particolarmente attuale. Riposarsi, dopo aver lavorato sul serio, è diritto, è dovere. C’è, per il cristiano, un modo di riposare che traspare dalle parole del Maestro: “Venite in disparte, in un luogo solitario”. “Venite”: vuol dire che c’è anche lui. Con lui dovremmo trovarci sempre, anche quando ci assillano le occupazioni, lavorando con senso di fede, in unione con Cristo.

L’estate consente un incontro più intimo con lui: nell’ascolto della sua parola, nella preghiera, in un corso di esercizi spirituali, in campeggi di gruppi nei quali il riposo e lo svago si alternano con l’impegno di preghiera, di studio, di dialogo fraterno. Per questo occorre ritirarsi “in disparte, in un luogo solitario”. Benedette le nostre montagne che ci offrono questi rifugi dello spirito!

“Guai ai pastori…”

Per quel momento sembra che l’invito al riposo sia andato a vuoto. Partiti in barca per sottrarsi alla gente, Gesù e i suoi furono raggiunti da una gran folla a cui era impossibile sottrarsi. Così Gesù “si mise ad insegnare loro molte cose”. Anche oggi è lui che insegna a noi qui riuniti per ascoltarlo. La parola di Geremia prepara quella di Gesù: “Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo”. Seguono le minacce e le promesse.
Presso gli Ebrei, nell’Antico Testamento, come presso altri popoli dell’antichità era linguaggio corrente chiamare “pastori” i re e in genere i capi della collettività, ciò che è naturale in una società dedita in massima parte alla pastorizia e all’agricoltura. Geremia, Isaia, Ezechiele, i Salmi moltiplicano i rimproveri ai “pastori”, i capi del popolo che invece di mettersi al suo servizio profittano del loro potere per curare senza scrupolo i propri interessi. Questo richiamo è necessario anche oggi. La Chiesa, chiamata a continuare la missione di Cristo di annunziare il lieto messaggio a tutti, in primo luogo ai poveri e agli oppressi, deve far sentire il suo grido ammonitore a quanti, con la violenza o con l’astuzia, qualunque sia la bandiera sotto cui militano (peggio, anzi, se si professano cristiani), operano nell’interesse proprio, del partito, della categoria sociale, anziché del popolo.

I cittadini, a loro volta, devono aiutare le autorità obbedendo alle leggi e alle disposizioni che promuovono il bene comune, collaborando lealmente, guardandosi bene da ogni tentativo di piegarle ai propri interessi. Nel linguaggio del Nuovo Testamento i “pastori” sono i responsabili della comunità ecclesiale. Per essi, continuatori della missione di Cristo pastore, è tanto più grave il dovere di dedicarsi con assoluto disinteresse e senza risparmio di forze al bene dei fratelli. S. Pietro è esigente in proposito: “Pascete il gregge di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma volentieri, secondo Dio; non per vile interesse, ma di buon animo; non spadroneggiando sulle persone a voi affidate, ma facendovi modelli del gregge” (1 Pt 5,2-3). Figli di Adamo come tutti gli uomini, esposti a tutte le tentazioni, anche noi siamo in pericolo di mancare al nostro dovere, meritando i rimproveri e le minacce che Geremia rivolge ai pastori d’Israele.

Abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio, che ci ha affidato questo compito. Abbiamo bisogno dell’aiuto di tutta la comunità, invitata, nella preghiera eucaristica, a unirci al sacerdote nell’invocare la grazia divina sul Papa, sui vescovi, sul clero e su tutto il popolo. S. Agostino dice: “Per voi siamo come pastori, ma, sotto quel Pastore, siamo con voi pecore. Da questo posto, siamo per voi come maestri; ma, sotto quell’unico Maestro, in questa scuola siamo vostri condiscepoli”. C’è dunque un rapporto di corresponsabilità per cui vescovo, preti, diaconi e laici dobbiamo sentirci tutti solidali e impegnati ad aiutarci a vicenda con la preghiera, con l’esempio, con la collaborazione attiva, con la correzione fraterna esercitata in spirito di franchezza, di umiltà e di carità. Non ultimo dovere della comunità, di fronte alla carenza di pastori, impegnarsi per la ricerca e la cura delle vocazioni al sacerdozio, al diaconato, alla vita religiosa, all’apostolato missionario.

“È venuto ad annunziare pace”

Se gli uomini chiamati ad essere pastori, nella società civile come nella comunità ecclesiale, possono mancare al loro dovere, Dio, l’unico vero Pastore che si è reso visibile in Gesù, il “buon Pastore”, non ci abbandona. L’ha promesso per bocca di Geremia: “Radunerò io stesso il mio popolo”. Dio è il Signore della storia, che non è abbandonata, come può sembrare soprattutto in certi momenti bui, al gioco folle delle passioni e degli egoismi umani, ma è condotta, in modo misterioso, dalla mano di lui per il bene dei suoi figli.

Egli promette “un germoglio giusto, che regnerà da vero re, e sarà saggio ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra”. Il Vangelo ce lo presenta, questo Messia che davanti a Pilato si proclamerà re, mentre si preoccupa degli apostoli ritornati stanchi dalla loro missione, mentre si commuove al vedere la folla che lo attende, “pecore senza pastore”. Possiamo, dunque, e dobbiamo contare su di lui, sulla sua comprensione e sul suo amore. Dobbiamo imparare da lui a darci senza risparmio ai fratelli, aprendo il cuore ad ognuno di loro, condividendo con i poveri, rallegrandoci “con quelli che sono nella gioia”, piangendo “con quelli che sono nel pianto” (Rm 12,15).
La pagina di Paolo che abbiamo ascoltata nella 2ª lettura ci aiuta a penetrare nel mistero di Cristo pastore buono. L’apostolo riassume il significato della sua missione nell’annunzio della pace, nel fare la pace e promuovere la riconciliazione, definisce anzi Cristo “la nostra pace”. Riferendosi alla situazione storica in cui era vivamente sentito l’antagonismo fra i cristiani convertiti dal giudaismo, i “vicini”, e quelli provenienti dal paganesimo, i “lontani”, insiste nell’affermazione che Cristo “ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia”. Ma il pensiero di fondo dell’apostolo vale per il nostro tempo. Anche a noi egli annunzia e porta la pace. Alla sua Chiesa, percorsa da tensioni che ne turbano spesso la pace e la comunione; alla società civile, nella quale i contrasti fra le classi, i gruppi etnici, le nazioni e i blocchi di nazioni, quando non esplodono, come avviene troppo spesso, in scontri sanguinosi, mantengono un clima d’insicurezza che è costante minaccia di nuovi conflitti.

Dovere del cristiano e del cittadino è lavorare per la pace: nell’ambito della Chiesa cattolica, nei rapporti fra le Chiese, nella comunità civile. Quanti sono che hanno presente e prendono sul serio il monito del Concilio? “Dobbiamo con ogni impegno sforzarci per preparare quel tempo, nel quale, mediante l’accordo delle nazioni, si potrà interdire del tutto qualsiasi ricorso alla guerra… Di qui l’estrema urgente necessità di una rinnovata educazione degli animi e di un nuovo orientamento nell’opinione pubblica. Coloro che si dedicano all’attività educatrice, specie della gioventù, coloro che contribuiscono alla formazione della pubblica opinione, considerino come loro dovere gravissimo inculcare negli animi di tutti sentimenti nuovi, ispiratori di pace. E ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, mirando al mondo intero e a tutti quei doveri che gli uomini possono compiere insieme per condurre l’umanità verso un migliore destino” (Gaudium et Spes, 82).

Ma alla sorgente, al centro e al termine dell’opera di riconciliazione e di pace attuata da Cristo, è Dio, è la SS. Trinità: “Per mezzo di lui possiamo presentarci, gli uni e gli altri, al Padre in un solo Spirito”.

Chi accoglie Dio nella fede e nell’amore, chi si fa, rendendo testimonianza a lui con la parola e con la vita, portatore di Dio ai fratelli, lavora per la pace. Chi rifiuta Dio, chi si adopera sistematicamente, in nome di un’ideologia che vuole orientare tutta la vita politica, economica, culturale e sociale, all’intento di sradicare Dio dal cuore degli uomini, lavora per seminare divisione e odio, per preparare la guerra.

Cristo opera riconciliazione, più che con la parola – anche se la sua parola è dono divino, d’inestimabile valore – “per mezzo della croce”. Solo chi è disposto a seguire Cristo portando la sua croce (cf Mc 8,34), a crocifiggere la propria carne “con le sue passioni e i suoi desideri”, può recare quel frutto dello Spirito che “è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé” (Gal 5,22.24). Nelle beatitudini elencate da Matteo, agli “operatori di pace” seguono “i perseguitati per amore della giustizia” (Mt 5,9-10).

Nella preghiera eucaristica, mentre chiederemo di diventare “in Cristo un solo corpo e un solo spirito”, “abbattendo quel muro di separazione”, chiederemo anche di diventare “un sacrificio perenne” gradito a Dio (preghiera eucaristica III). Così potremo accogliere con pura coscienza l’augurio di pace e scambiarci quel segno di pace che ci fa riconoscere fratelli.

Fonte

Tratto da “Omelie per un anno 1 e 2 – Anno A” – a cura di M. Gobbin – LDC

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XVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO B

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Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria.

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6, 30-34

Erano come pecore che non hanno pastore.

30Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. 31Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. 32Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. 33Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
34Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Parola del Signore

Fonte: LaSacraBibbia.net

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