Commento al Vangelo di domenica 15 Marzo 2020 – d. Giacomo Falco Brini

Alcuni anni fa mi trovavo insieme a un confratello sacerdote in una località balneare per un periodo di riposo. Eravamo soliti trovare un po’ d’ombra presso un piccolo pino marittimo, molto vicino alla spiaggia libera dove ci recavamo. Lì sotto lasciavamo il telo per asciugarci e il nostro zaino. Quel pomeriggio, rientrando dal mare dopo un bel bagno, ci sdraiammo al solito posto ma ci accorgemmo che c’erano anche altri teli e alcune borse. Dopo qualche minuto, due giovani donne si avvicinarono con passo rapido. Intuimmo che dovevano essere le proprietarie di quelle cose e allora, spontaneamente, ci alzammo per far spazio, affinché potessero anche loro godere dell’ombra. Una di esse, vedendo il nostro comportamento, cominciò a manifestare un certo disagio. Quel mio confratello la rassicurò dicendo che l’ombra dell’albero era lì per tutti e che potevano tranquillamente prendere posto perché c’era spazio a sufficienza. Ma quella donna, dopo una furtiva e ammiccante occhiata con l’amica, ci guardò in modo piuttosto diffidente, e disse: “e perché ci fate spazio? Cosa volete in cambio?…”

Gesù e la samaritana al pozzo, acquarello di Maria Cavazzini Fortini, aprile 2017

A parte la constatata, imperante sfiducia nei confronti di chi oggi può compiere un atto gratuito, quell’episodio mi fece ricordare l’approccio di Gesù alla donna di Samaria presso il pozzo. La richiesta d’acqua del Signore dovette inizialmente suonargli come una indebita avance”: un giudeo giammai avrebbe parlato con una samaritana, quindi tanto meno l’avrebbe mai “abbordata” in luogo pubblico (Gv 4,9). Come mai quell’uomo le faceva una simile richiesta? E poi, come mai quella donna venne al pozzo per attingere acqua a mezzogiorno (Gv 4,6), quando normalmente ci si reca nelle ore più fresche dell’alba o del tramonto? Sembrerebbe volutamente, per starsene da sola. Come se il vangelo, con infinita discrezione, ci volesse presentare la sua solitudine. Eppure, presso un pozzo, Giacobbe corteggiò Rachele (Gen 29,9ss.) che poi sposò; Mosè incontrò la sua futura sposa Zippora tra le figlie di Reuel (Es 2,10-22). Un richiamo evidente dell’evangelista Giovanni per dirci che c’è qualcosa di più, dietro il gioco di fraintendimenti sull’acqua, che cresce progressivamente nel dialogo tra Gesù e quella donna. La scena del racconto, concentrata sul loro incontro, diventa paradigmatica di un’autentica esperienza di fede. Il Signore, nel suo bisogno molto umano di bere acqua, scopre davanti a lei la sua sete, affinché ella possa, poco a poco, scoprire la propria sete più profonda e insoddisfatta: Dio ha sete che noi abbiamo sete di Lui (CCC n.2560).

E il pozzo è lì, sullo sfondo, a ricordarci che il cuore umano è un pozzo molto profondo, ovvero senza fondo, fatto per ricevere e dare acqua. Ma c’è acqua e acqua (Gv 4,10-15). C’è l’acqua stagnante e morta, segno di una vita spenta e infeconda (cfr. Ger 2,13), e c’è l’acqua che zampilla per la vita eterna (Gv 7,37-38). Gesù è la sorgente di acqua viva per una vita piena e felice. Il suo dono supera ogni umana attesa: l’acqua viva è il suo amore gratuito, lo Spirito Santo che ci è stato donato (cfr. Rm 5,5). Il racconto nella sua interezza sembra ordinare al lettore un percorso preciso per poter farne esperienza. Infatti, giunge a trovare quest’acqua solo chi accetta la sfida della profondità. Giunge a trovarla solo chi ha il coraggio della verità (Gv 4,18).

Nel mondo in cui viviamo e ci muoviamo, da un lato la cultura mediatica sembra creata “ad hoc” per non farci coltivare la profondità davanti alla nostra e altrui esistenza; da un altro lato, quella stessa cultura è impegnatissima a parlare e far parlare sulle cose umane più profonde e delicate fino a farne un pubblico spettacolo, come se tutti ne potessero opinare con competenza. Ogni riferimento a talk-show e programmi melodrammatici di successo sulle relazioni umane non è per niente casuale: lì, in qualunque caso, la profondità del cuore umano o viene evitata/mascherata, oppure è banalizzata, per non dire totalmente omologata agli interessi televisivi. Il vangelo di oggi, invece, suggerisce un habitat diverso affinché il cuore umano possa cercare la verità in sé e quindi vivere in profondità, scoprendo l’acqua viva di cui parla Gesù. Il dinamismo dell’incontro che leggiamo nel vangelo si distende molto lentamente. Sembra che il primo messaggio sia proprio nella necessità di darsi tutto il tempo necessario nella relazione con Gesù perchè possano emergere pregiudizi, altre difese, domande e altre umane reazioni. Esattamente come accade alla donna davanti agli occhi accoglienti dello sconosciuto Rabbi giudeo.

Questo ci ricorda che non c’è incontro vero con sé stessi, con Dio e con gli altri se non ci si regala il tempo e l’apertura necessari. Inoltre, ci ricorda che ci vuole disponibilità a discendere negli inferi dei propri insuccessi e delle proprie ferite, dove celiamo a noi stessi e agli altri ciò che più ci vergogna (Gv 4,16-18). Quando la samaritana tocca, accompagnata da Gesù, la verità di sé, incontra la verità di Dio che risplende sul volto di Cristo: Egli non la giudica e riconosce la sua sincerità. Spinta dall’acqua sotterranea della propria anima si apre a riconoscere in Lui il tanto atteso Messia. Esce dalla sua infelice solitudine e può annunciare a tutti la gioia di averlo incontrato. Se l’acqua di Gesù ci raggiunge dopo aver toccato la sete profonda del nostro cuore, ci spinge sempre a cercare gli altri per renderli partecipi del dono ricevuto (Gv 4,25-30.39). 

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