Commento al vangelo dell’8 novembre 2009 – Paolo Curtaz

Data:

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8 novembre 2009 – XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

1Re 17,10-16 / Sal 145 / Eb 9,24-28 / Mc 12,38-44

Vedove

La protagonista della liturgia di oggi รจ una vedova, anzi due. Se la vedovanza giร  rappresenta uno stato di grande dolore, di lacerazione interiore, di frantumazione di affetti, restare vedove. al tempo di Gesรน, era una vera e propria tragedia. Senza servizi sociali, senza appoggio dalla famiglia, spesso la vedova si vedeva costretta, per vivere, a mendicare o, peggio, a prostituirsi. La condizione della vedova, perciรฒ, era la peggiore che si potesse immaginare: sola, senza sussistenza economica, disprezzata perchรฉ mendicante o prostituta.

Zarepta

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E invece – ettepareva – sono proprie le vedove, le ultime della societร , ad essere al centro dell’attenzione della Parola di Dio di oggi. La prima vedova si trova a Zarepta di Sidone, fuori dal territorio di Israele. Elia, il grande profeta, le chiede accoglienza alle porte della cittร . Questa povera donna, senza mezzi di sussistenza, accetta di ospitare questo sconosciuto, straniero, condividendo l’ultima porzione di cibo che possiede. Questo immenso segno di generositร  cambierร  la sua vita: l’olio nell’orcio e la farina nella madia non verranno mai piรน a mancare. Cosรฌ la vedova del Vangelo getta nel tesoro del Tempio qualche euro, mentre i notabili della cittร  e i devoti si spintonano per far notare le somme considerevoli che versano nelle casse del Tempio appena ricostruito. Gesรน loda la generositร  di questa donna che ha dato il suo necessario come offerta a Dio, e ignora le generose offerte pubblicate e titoli cubitali del miliardario di turno.

VedovaAstenia mortale

Ci sono momenti nella vita in cui perdiamo tutto: salute, lavoro, una persona cara (non necessariamente perchรฉ muore), voglia di vivere. Momenti faticosi, terribili, in cui abbiamo ย l’impressione di non sopravvivere. Come la vedova di Elia, trasciniamo un passo dopo l’altro, tenuti in vita da qualche affetto (il figlio per la vedova) ma rassegnati a veder consumare ogni forza, ogni energia. Quante persone in questo stato ho conosciuto nella mia vita! Quanti amici pieni di forza e di ironia si sono poi sfracellati contro il muro della vita. Le responsabilitร , in fondo, non contano, non servono: quando si รจ bastonati, ai margini della strada, si soffre e basta, anche se ce la si รจ andata a cercare. Eppure, in quel momento di rarefazione esistenziale, di dolore assoluto, con o senza Dio presente, possiamo diventare capaci di accoglienza, di dono, di condivisione, di non lasciarci soffocare dalla rabbia assoluta e vedere altro dolore, altra sofferenza. La vedova di Zarepta sa che uno straniero รจ in condizioni simili alle sue: guardato con disprezzo, evitato, probabilmente Elia non avrebbe mai trovato un alloggio a Sidone. Elia e la vedova si somigliano, i poveri, se riconciliati e affidati a Dio, sanno diventare una sorgente di bene per i poveri come loro. La vedova del Vangelo – ingenua – mette quel poco che ha per il Tempio, per Dio. Non sa dove finiranno i soldi, forse saranno disprezzati dal sacrestano del Tempio, forse serviranno a comperare detersivo per i pavimentiโ€ฆ poco importa, il suo gesto รจ assoluto, profetico, colmo di una tenerezza infinita.

Luce

Anche quando siamo incapaci di provare emozioni, o di desiderio di vita, possiamo diventare luce, totalitร , dono, speranza. Non ce ne accorgiamo, ovvio, e forse neppure ce neย  importa. Come non importa a chi ha davvero dato tutto, a chi davvero รจ stato masticato dalla vita e dal dolore. Ci sono santi che stupiscono la Chiesa per il loro dinamismo e la loro forza interiore. Altri santi che la edificano per la loro trasparente oblazione, per il modo in cui affrontano le fatiche della vita (ricordate Osea e la sua vicenda affettiva?). Come Mosรจ, il grande liberatore, il piรน grande della storia di Israele, colui che ha visto Dio faccia a faccia, colui che ha ricevuto nelle sue mani le parole che Dio dona all’umanitร  per vivere, colui che, principe d’Egitto, ha rinunciato al suo rango e si รจ fatto simile agli schiavi, muore sulle alture del Golan, senza mai entrare in Israele. Ora รจ libero, finalmente. Fratello masticato, sorella sanguinante, vedovi e vedove senza amore e rispetto, delusi da voi stessi e dalla vita, dalle persone e dalle vicende, date in elemosina ciรฒ che avete dentro, anche se poco, fatelo per Dio, fatelo perchรฉ credete nella vita, disperatamente. E noi discepoli, fragile popolo di Dio, impariamo dalle vedove, dai poveri a contare sull’Assoluto, ad abbandonarci – sul serio – nelle mani di Colui che tutto puรฒ. Non la gloria, non la devozione, non l’apparenza (anche clericale e cattolica!) ci salvano, ma l’essere medicanti di luce.

Paolo Curtaz



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