Commento al Vangelo del 8 aprile 2018 – p. Raniero Cantalamessa

Il primo giorno dopo il sabato

Il brano evangelico della Domenica dopo Pasqua è lo stesso in tutti e tre i cicli liturgici e ha al centro l’episodio di Tommaso che non crede se non vede. Avendo commentato questo episodio nell’anno precedente, possiamo, questa volta, mettere in luce un altro tema. La pagina evangelica ci parla di due apparizioni del Risorto agli apostoli nel cenacolo, entrambe avvenute “nel primo giorno dopo il sabato”.

“La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato,
venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi…
Otto giorni dopo, i discepoli erano di nuovo riuniti in casa”.

L’insistenza sul dato cronologico di queste due apparizioni è rivelatrice; mostra l’intenzione dell’evangelista di presentare l’incontro di Gesù con i suoi nel cenacolo come il prototipo dell’assemblea domenicale della Chiesa.
La Domenica nasce con la risurrezione di Cristo. Gesù risorge il “primo giorno dopo il sabato”. Quello stesso giorno, verso sera, appare ai discepoli riuniti nel cenacolo e dà loro il suo Spirito e la sua pace. Per i cristiani questo giorno prese il nome di “giorno del Signore” e siccome in latino Signore si dice Dominus, il giorno del Signore (dies dominica) si chiamò Domenica. La prima testimonianza del nuovo nome si ha nell’Apocalisse dove Giovanni dice di essere stato “rapito in estasi nel giorno del Signore”, cioè di Domenica (cfr. Apocalisse 1, 9). In questo giorno, i credenti si riuniscono; viene tra loro Gesù “a porte chiuse”, cioè non da fuori, ma dall’interno, nell’Eucaristia; dà ai discepoli la pace e lo Spirito Santo; nella comunione, i discepoli toccano, anzi ricevono, il suo corpo ferito e risorto e proclamano la loro fede in lui.

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Quando il cristianesimo, dopo Costantino, divenne la religione dominante, la Domenica prese il posto del sabato giudaico, come giorno di festa anche civile, e diede il nome al primo giorno della settimana che fino allora si chiamava “giorno del sole”. (Questo nome si è conservato nei paesi anglosassoni: l’inglese Sunday e il tedesco Sonntag, significano infatti “giorno del sole”).
Per i cristiani è alla Domenica che si applica ormai il terzo comandamento di Dio:

“Ricordati di santificare le feste”.

Santificare la Domenica significa tre cose: fare di essa un giorno per Dio, un giorno per se stessi, un giorno per il prossimo.
La Domenica deve essere anzitutto un giorno per il Signore. Immaginiamo dei pescatori su una barca, o dei navigatori su una nave in alto mare. Per ore ed ore sono stati intenti alle reti e alla pesca, o alla navigazione, senza badare ad altro. Arriva il momento in cui è necessario riprendere in mano il timone della barca, consultare la carta, vedere se si è sulla rotta giusta. Altrimenti c’è il rischio di finire contro qualche altra nave o su degli scogli. Così è nella vita. Dopo sei giorni di lavoro, di affari, di preoccupazioni, è necessario, fermarci, vedere se siamo sulla strada giusta, se stiamo realizzando lo scopo della nostra vita. Il mezzo ordinario, il più completo e, per i credenti, anche doveroso per realizzare tutto questo è partecipare alla assemblea domenicale, alla Messa. Lì ascoltiamo la parola di Gesù, ricordiamo la sua morte e risurrezione; comunicandoci, lo tocchiamo come Tommaso. Diamo una boccata di ossigeno alla nostra fede. La Messa domenicale può essere, ed è di solito, il momento di aggregazione per eccellenza nel paese o nel quartiere, il momento in cui ci si ritrova, ci si saluta in un clima di festa, si rompe insomma l’anonimato che tanto disumanizza la vita di oggi.
La Domenica è poi, dicevo, un giorno per se stessi. Nella sua sapienza il creatore ha stabilito che ci sia un giorno in cui l’uomo ritrovi se stesso e la sua libertà. Prenda coscienza che ha un corpo da ristorare, una mente da coltivare, una famiglia o degli amici con cui stare. La Domenica non è una specie di tassa sul tempo che Dio impone agli uomini (“sei giorni a te, per il lavoro e gli affari, e un giorno a me, per il mio servizio”); è un dono fatto all’uomo, per difendere ciò che in lui vi è di più prezioso. Bisogna riscoprire la bellezza e la necessità del riposo festivo. L’organizzazione del lavoro e bisogni impellenti di famiglia possono a volte giustificare che si lavori di domenica, ma questo non dovrebbe divenire la regola e occupare tutte le Domeniche e tutta la domenica.
In questo discorso rientra anche il gioco e lo svago. L’uomo ha bisogno anche di questo per rompere la fatica e lo stress. Io dico che Dio, come ogni papà, gode nel vedere i suoi figli giocare. C’è una sapienza segreta nel gioco. E abbiamo tante cose, in questo, da imparare dai bambini. Il gioco ci aiuta a non prenderci troppo sul serio. Incanala in forme costruttive il nostro istinto di competizione e di emergere. Noi uomini d’oggi non siamo più in grado di interrompere il lavoro con il gioco, perché abbiamo fatto del lavoro il nostro gioco. Un gioco pericoloso, terribile. Perfino la guerra può diventare per molti un gioco. Abbiamo visto spesso bambini giocare anche loro a fare la guerra vera, con tanto di fucile mitragliatore sulle spalle o tra le mani. Quanto sarebbe meglio se i grandi imparassero dai piccoli a giocare, anziché insegnare ai piccoli a fare la guerra!
Anche andare allo stadio, o alle corse, non è male. È una forma di svago collettivo, una forma di socializzazione. Il male comincia quando questo assume un’importanza tale che se, una domenica, non c’è il calcio, molti si sentono come perduti e dicono: “Cosa faccio io adesso?” In questo modo si rovina lo sport stesso, perché si ripongono su di esso attese sproporzionate che non può soddisfare. Da qui nasce la violenza negli stadi. Si è fatto di quel momento il vertice, il tutto della settimana, e se esso delude, diventa una catastrofe. “Non di solo pane vive l’uomo!”, diceva Gesù. Oggi direbbe forse: “Non di solo calcio vive l’uomo!”
E che dire della discoteca? Quello che è perverso non è il fatto in sé della discoteca (i giovani hanno il diritto di scegliersi i loro passatempi, come fanno i grandi); sono le forme che ha assunto: gli orari innaturali e malsani da tutti i punti di vista, lo spaccio di stupefacenti; insomma, la strumentalizzazione interessata del divertimento dei giovani. Vorrei rivolgere una domanda ai giovani, facendo appello al loro cuore: Ti sembra umano e degno di un figlio far pagare ai tuoi genitori, sotto forma di notti insonni, di angosce e batticuore e (Dio non voglia!), di lacrime amare per tutta la vita, il tuo divertimento di qualche ora? Pensaci qualche volta il sabato sera, nell’uscire di casa. Un domani non lontano, ti troverai tu nella posizione in cui si trovano oggi i tuoi genitori: con che coraggio dirai allora ai tuoi figli di non andare in discoteca o di non restarci fino a quell’ora? L’espressione “il giorno dopo il sabato” nel nostro linguaggio non evoca più l’idea della risurrezione, della festa e della gioia, ma quella dei morti sulle strade… Sembra rivolto ai giovani d’oggi il detto di Gesù:

“Il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato” (Marco 2, 27).

Il sabato è per i giovani, per il loro sano divertimento, non i giovani per il sabato, per essere cioè immolati alla moda e agli interessi dei “signori del sabato”.
Infine, la Domenica è un giorno per gli altri. Si può passare una Domenica a sollevare una sofferenza e giungere a sera pienamente soddisfatti, arricchiti. Aver passato insomma quello che si chiama “una bella domenica”. Non c’è infatti gioia più profonda che quella di sentirsi utile per qualcuno, di far fiorire un sorriso sul volto di chi di solito conosce solo la tristezza. Ognuno di noi ha intorno a sé dei bisogni e delle sofferenze da alleviare. Ci sono gli anziani, le persone sole, gli handicappati. Anche questo è un modo di santificare la festa. Di ognuno di questi gesti, Gesù dice: “L’avete fatto a me!”.
Mi piace ricordare, a questo riguardo, un episodio I Promessi sposi. Quando Lucia venne liberata dall’Innominato, fu portata nella casa del sarto del paese. Era Domenica e a un certo punto del pranzo, come ricordandosi improvvisamente di qualcosa, il sarto si interruppe. Mise insieme un piatto di vivande che erano sulla tavola, vi aggiunse un pane, mise il piatto in un tovagliolo, e preso questo per le quattro cocche, dice alla sua bimbetta maggiore: “piglia qui”. Le diede nell’altra mano un fiaschetto di vino, e soggiunse: “va qui da Maria, la vedova; lasciale questa roba, e dille che è per stare un po’ allegra co’ suoi bambini. Ma con buona maniera, ve’; che non paia che tu le faccia l’elemosina” (cap. 24). Quanta umanità e quanto senso cristiano in questo gesto che tutti, magari in forme diverse, possiamo fare! Esso mi fa pensare a un bel testo della Scrittura che vogliamo leggere insieme prima di congedarci perché riassume un po’ tutto quello che abbiamo detto della domenica:

“Questo giorno è consacrato al Signore vostro Dio; non fate lutto e non piangete… Andate, mangiate carni prelibate e bevete vini dolci e mandate porzioni a quelli che nulla hanno di preparato. Non vi rattristate, perché la gioia del Signore è la vostra forza” (Neemia 8, 9s.).

Che la gioia del Signore sia davvero la vostra forza e buona Domenica a tutti!

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II Domenica del Tempo di Pasqua

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 8 Aprile 2018 anche qui.

Gv 20, 19-31
Dal Vangelo secondo Giovanni

19La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». 20Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. 21Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». 22Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. 23A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». 24Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. 25Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». 26Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». 27Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». 28Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». 29Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». 30Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. 31Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 08 – 14 Aprile 2018
  • Tempo di Pasqua II
  • Colore Bianco
  • Lezionario: Ciclo B
  • Anno: II
  • Salterio: sett. 2

Fonte: LaSacraBibbia.net

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