Commento al Vangelo del 6 Ottobre 2019 – Figlie della Chiesa

Nelle sue istruzioni ai discepoli e alle folle che lo seguono lungo la strada, Gesù ha ripetutamente parlato delle dure esigenze che comporta il seguirlo. Ora non c’è più un discorso sulle esigenze del vangelo, cioè sulle cose da lasciare e sugli impegni da assumere, ma alcune parole sulle condizioni che le rendono possibili e sulle modalità che le devono accompagnare. Queste sono due: la fede e l’umiltà. Per avere il coraggio di seguire Gesù occorre la fede, e se Dio ti dà il coraggio di seguirlo non vantartene.

Anche la prima lettura anticipa il tema della necessità della fede. Il profeta Abacuc, all’inizio del suo libro, eleva un lamento a Dio per la situazione di ingiustizia in cui vive, a motivo del trionfo indisturbato degli empi. Una prima risposta di Dio, non riportata nella lettura, consiste nella promessa di inviare l’esercito (babilonese) che di fatto sarà un castigo per gli empi.

Ma il profeta, non contento di questo, insiste nell’interrogare Dio e nell’invocare il suo intervento. La nuova risposta è, in un traduzione letterale: “Ecco, è gonfiata, non è giusta la sua anima in lui, il giusto, invece, per la sua fede vivrà”. Questa seconda risposta si riferisce a una verità che vale sempre: l’obbedienza a Dio fa vivere ed è una verità tanto certa che Dio la fa mettere per iscritto, anzi, la fa ‘incidere’ su tavole, perché questa parola abbia la stabilità propria dello scritto e chi ne ha bisogno possa continuare ad alimentarsi ad essa.

v.6: La richiesta sembra un aumento di quantità di dono da parte del Signore che garantisca i risultati dell’azione degli apostoli. La risposta equivale a dire che non è questione di quantità ma di autenticità della fede. La fiducia nell’aiuto divino e l’aiuto divino stesso, quando ci sono, operano le cose che sembrano le più difficili.

Non è questione di poca o tanta, ma di fede autentica o falsa. La fede autentica poggia in Dio e non dubita del suo aiuto, quella falsa poggia sull’io e teme di non riuscire nei risultati voluti: si chiederebbe a Dio un supplemento di potenza.

Il verbo aumentare può essere anche tradotto con ‘accordaci’ la fede. È strano questo discorso dell’aumento della fede. Dopo, il Signore dice: ‘se aveste fede quanto un granello di senapa’. Si potrebbe mettere questo versetto 9 in relazione con Mt 13,31 e a quanto si dice a proposito del Regno dei cieli: (‘il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa. [..] Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma una volta cresciuto è più grande degli altri legumi…). La nostra fede ha nel granello di senapa la stessa dimensione del Regno di Dio.

La dimensione del granello di senapa non è la dimensione minima richiesta, ma la dimensione massima richiesta. Questo testo è di grande speranza: il vangelo va in un’altra direzione. La dimensione di piccolezza che la chiesa vive è in realtà la dimensione necessaria che il vangelo ci chiede.

La fede, che nulla ha a che fare con una riserva di certezze rassicuranti, è una realtà che non teme le domande né disdegna di essere interrogata, anzi, lo richiede. Proprio della fede è di configurarsi come atto di libertà e di amore che coinvolge tutto l’uomo, avendo egli eletto Cristo come senso ultimo della sua esistenza. La fede è il grato arrendersi a Cristo, è fare spazio a Lui nella nostra esistenza. La fede è un movimento di progressiva (e sempre parziale) assimilazione del soggetto credente al soggetto creduto (Gesù Cristo); la fede ha in sé una dinamica pasquale: è atto di amore e resurrezione. Attualizza in noi la morte e resurrezione del Signore.

E forse il rischio grande della fede è credere l’amore (1Gv 4,16); la fede cristiana è sempre, in radice, credere all’amore di Dio per noi. Credere nell’amore di Dio è rischio, perché si deve affrontare la non evidenza di tale amore. Avere fede è credere il paradosso, che il crocifisso, l’appeso al legno, il maledetto dalla legge santa, lo schiavo è il Messia, è il salvatore del mondo, è la diretta rivelazione della potenza e della sapienza di Dio.

Il paradosso della fede (credere l’incredibile) è il paradosso dell’amore (amare il non amabile, il nemico) e della speranza (sperare contro ogni speranza) cristiani.

La fede si manifesta come coraggio: il contrario della fede non è l’ateismo, ma la paura e la schiavitù a cui la paura assoggetta l’uomo. Con l’ascolto della parola di Dio la fede si immette nella vita di Cristo e ci guida al coraggio di testimoniare, di perseverare e di morire. Di fronte alla morte la fede diviene capacità di testimoniare che il regno del Dio vivente è più forte del regno della morte, che la parola di Dio è più forte del silenzio della morte, che l’amore di Dio è più forte della morte.

È significativo che Gesù dia questa risposta agli apostoli che gli hanno chiesto: “aumenta la nostra fede”. Come dire che ne abbiamo bisogno purché ce ne aggiunga un poco. Invece sembra che la risposta voglia dire che per riuscire ne basterebbe ben poca, un granello di senapa. Il centro non è tanto sulla quantità della fede, ma sulla dimensione di chi ha fede. Non si dice di avere poca fede, ma si dice di avere la fede di chi è piccolo, come il granello di senapa. Il piccolo ha fede. L’affermazione non è: se aveste fede potreste sradicare il gelso; l’accento è posto sul granello di senapa: se avete fede (il verbo è al presente, quindi indica una realtà) quanto qualcosa di molto piccolo, allora potrete sradicare i gelsi. Per questo è così difficile per noi che siamo grandi o che cerchiamo di esserlo. Siamo chiamati ad avere la fede dei piccoli, la fede di coloro che non possono che fidarsi del Cristo.

Non possiamo contare su nient’altro: solo su Te. Chi sono allora i cristiani? Quelli che stanno davanti al Padre come un granello di senapa sta davanti al mondo. La parabola che segue conferma questa affermazione, mettendo in evidenza la piccolezza del servo nei confronti del suo padrone. Solo una fede da piccoli può essere abbandono e obbedienza in qualcuno di più grande; solo una fede da piccoli ci consente di riconoscerci servi inutili di un padrone al quale dobbiamo la nostra vita. Una fede diversa da questa ci porterebbe all’autosufficienza davanti a Dio, al credere di poter contare su qualcosa davanti a Dio: sulla nostra fede, appunto.

v.9: Aver fede significa diventare disponibili a Dio, ascoltare la sua parola così profondamente da venirne trasformati, essere “trasparenti” alla sua volontà. Chi crede, dunque, non crea ostacolo alcuno all’azione di Dio, non l’offusca, la lascia passare.

La fede lascia passare sempre e solo l’azione di Dio attraverso di noi; non costringe Dio a fare quello che vogliamo noi ma permette a noi di fare quello che vuole lui. Lo si vede bene dalla piccola similitudine del servo che, dopo aver faticato e arato tutto il giorno, rientra a casa.

Dopo aver servito tutto il giorno diventerà forse padrone la sera? No; egli rimane pur sempre servo. Può sembrare umiliante questo modo di immaginare il rapporto con Dio; e si tratta invece di un rapporto liberante. Vediamo perché. Supponiamo che il nostro servizio fosse “necessario” per la salvezza del mondo; non ne rimarremmo bloccati?

Ogni impegno diventerebbe un esame pauroso, ogni errore si muterebbe in tragedia; siano rese grazie a Dio per il fatto che la salvezza del mondo non dipende da una cosa così fragile e variabile come la nostra volontà. D’altra parte, se non avessimo da servire, se dovessimo solo stare a braccia conserte in attesa della salvezza di Dio, la nostra vita diverrebbe meschina, senza sapore.

Invece possiamo e dobbiamo lavorare, ma con la libertà di chi sa che il suo lavoro è assunto e valorizzato da un Dio che è più grande di lui. Che il nostro lavoro venga qualificato “inutile” vuol dire solo che su di esso non possiamo fondare pretesa alcuna; che non possiamo contrattare con Dio la sua risposta al nostro impegno.

La fede è la tecnica per imparare a servire Dio nel modo giusto. Chi la usa, permette a Dio di operare attraverso di lui e diventa perciò strumento della salvezza di Dio. E siccome Dio vuole la salvezza, chi ha fede introduce con il suo comportamento una forza di salvezza nel mondo.

v.10: Si può leggere questo testo come un testo centrato sulla figura di Gesù, in continuità con il granello di senapa: lui è il granello di senapa. C’è un cibo che è fare la volontà di Dio, c’è un cibo da preparare per chi di noi accetta di avere un servo. C’è un servo che ci prepara da mangiare, che ci rimbocca la veste, che ci serve. Il servizio che il servo (Gesù) ci rende è un servizio che non ci fa sentire obbligati, è un servizio che ci libera. E questo dovrebbe essere il servizio che ognuno di noi è chiamato a svolgere. Siamo schiavi non necessari, cioè non arrechiamo profitto. Siamo coloro che, non arrecando profitto, servono unicamente per dono.

Appendice

Avere la stessa fede è grande grazia

Gli apostoli avevano ben compreso che tutto ciò che riguarda la salvezza viene da Dio come un dono, perciò domandarono al Signore anche la fede: “Signore, aumenta la nostra fede” (Lc 17,5). Non si aspettavano questa virtù dal loro libero arbitrio; credevano, invece, di poterla ricevere esclusivamente dalla magnificenza di Dio. Inoltre, lo stesso autore della nostra salvezza insegna a riconoscere quanto sia fragile, malata e non bastevole a se stessa la nostra fede, senza l`aiuto divino: “Simone, Simone, ecco Satana ha chiesto di vagliarvi come si vaglia il grano; ma io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno” (Lc 22,31-32). Un altro, sentendo in sé la propria fede come sospinta dai flutti dell`incredulità verso sicuro naufragio, si rivolse al Signore, dicendo: “Signore, aiuta la mia incredulità” (Mc 9,23).

Gli apostoli e gli altri uomini che figurano nel Vangelo avevano capito che nessun bene si compie in noi senza il divino aiuto; erano persino convinti di non poter conservare la fede, affidandosi alle sole forze della ragione, o alla libertà dell`arbitrio, da chiedere che questa fede venisse posta e conservata in loro. Se la fede di Pietro, infatti, aveva bisogno di Dio per non venir meno, chi sarà così presuntuoso e cieco da credere di poterla serbare senza quell`aiuto? Non è forse il Signore stesso a dichiarare la nostra insufficienza quando afferma: “Come il tralcio non può produrre frutto se non resta unito alla vite, così nessuno può portare frutto se non rimane in me” (Gv 15,4)? E ancora: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5)? Quanto insulso e sacrilego sia, dunque, attribuire alcunché delle nostre azioni al nostro saper fare, e non alla grazia di Dio e al suo aiuto, appare provato da una sentenza accusatoria del Signore, che afferma che nessuno può senza la sua ispirazione e il suo aiuto cogliere frutti spirituali: “Ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall`alto e discende dal Padre della luce” (Gc 1,17). E del pari Zaccaria: “Cosa c`è di buono o di bello che non gli appartenga? (Zc 9, 17). Per Paolo, poi, è una nota costante: “Che cos`hai che tu non abbia ricevuto? E se l`hai ricevuto, perché te ne glori come se non l`avessi ricevuto?” (1Cor 4,7).

Persino le possibilità di tolleranza che possiamo dispiegare nel sostenere le tentazioni, non dipendono dalla nostra virtù quanto piuttosto dalla misericordia di Dio e dalla sua moderazione, come si esprime in proposito il beato Apostolo: “Nessuna tentazione vi ha finora sorpresi se non umana; infatti, Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d`uscita e la forza per sopportarla” (1Cor 10,13). Il medesimo Apostolo insegna che Dio adatta e consolida i nostri spiriti per ogni buon operare, ed opera in noi quelle cose che sono secondo il suo beneplacito: “Il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, in virtù del sangue di un`alleanza eterna, il Signore nostro Gesù, vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che è a lui gradito per mezzo di Gesù Cristo” (Eb 13,20-21). Perché poi lo stesso avvenga per i Tessalonicesi, così prega, dicendo: “E lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza, conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene” (2Ts 2,16-17).

Il profeta Geremia, da persona di Dio, afferma senza mezzi termini che anche il timore di Dio ci è infuso dal Signore. Così egli dice, infatti: “Darò loro un solo cuore e un solo modo di comportarsi perché mi temano tutti i giorni per il loro bene e per quello dei loro figli dopo di essi. Concluderò con essi un`alleanza eterna e non mi allontanerò più da loro per beneficarli; metterò nei loro cuori il mio timore perché non si distacchino da me” (Ger 32,39-40). Del pari Ezechiele: “Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro; toglierò dal loro petto il cuore di pietra e darò loro un cuore di carne, perché seguano i miei decreti e osservino le mie leggi e li mettano in pratica; saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio” (Ez 11,19-20).

Da tutto ciò siamo più che edotti che l`inizio della buona volontà in noi si ha per ispirazione di Dio, vuoi perché egli stesso ci attrae verso la via della salvezza, vuoi perché si serve delle esortazioni di una persona qualsiasi o della necessità o della perfezione delle virtù o di cose simili. La nostra parte sta in questo: noi possiamo, con più fervore o con più tiepidità eseguire l`esortazione di Dio e appoggiare il suo aiuto, e qui risiede la nostra possibilità di merito o di castigo appropriato. Quindi, ciò che per sua elargizione e provvidenza è stato a noi dato con benignissima degnazione, sarà per noi causa di premio o di castigo in dipendenza di quanto lo avremo trascurato o ci saremo studiati di aderirvi con la nostra devota obbedienza. (Giovanni Cassiano, Collationes, 3, 16-19)

Fede nei dogmi e fede carismatica

Lazzaro morì e trascorsero uno, due e tre giorni: i suoi tendini si dissolvevano e la putrefazione divorava il corpo. Uno che era morto già da quattro giorni come poteva credere e invocare in proprio favore un liberatore? Ma quanto mancava al morto, fu supplito dalle sorelle. Quando venne il Signore, la sorella si prostrò ai suoi piedi e, alla richiesta di lui: «Dove l`avete messo? «, rispose: «Signore, già puzza, perché è di quattro giorni». Dice allora il Signore: Se crederai, vedrai la gloria di Dio” (Gv 11,14ss), come se dicesse: Supplisci tu alla fede che manca al morto. E la fede delle sorelle fu tanto valida da richiamare il morto dalle porte dell`Averno. Se alcuni, credendo per altri, riuscirono a risuscitarli dai morti, non ne avrai tu profitto ancor maggiore credendo sinceramente per te stesso? Qualora poi tu fossi infedele o povero di fede, il misericordioso Iddio ti seguirà nella via del pentimento. Di` solamente con semplicità: “Credo, Signore; aiuta la mia infedeltà” (Mc 9,23). Che se invece ti credi fedele, non hai ancora la perfezione della fede, ma ti è necessario dire, come gli apostoli: “Signore, aumenta in noi la fede” (Lc 17,5), poiché essa in piccola parte proviene da te stesso, ma la parte più grande la ricevi da lui.

Il termine «fede» è unico come vocabolo, ma la realtà che esso significa è duplice. V`è una specie di fede, quella dei dogmi, che consiste nell`assenso dell`anima a una verità, essa è utile all`anima, secondo la parola del Signore: “Chi ascolta le mie parole e crede in colui che mi ha mandato ha la vita eterna e non viene alla condanna” (Gv 5,24); e ancora: “Chi crede in lui non è condannato” (Gv 3,18): “ma è passato da morte a vita” (Gv 5,24). Oh, il grande amore di Dio per gli uomini! Gesù ti dona gratuitamente, nel corso di una sola ora, quello che essi guadagnarono meritandosi per molti anni le sue compiacenze, operando rettamente. Se tu crederai che Gesù Cristo è il Signore e che Dio lo risuscitò dai morti, sarai salvo (Rm 10,9) e verrai trasportato in paradiso da colui che vi ha introdotto il buon ladrone. Non credere che sia cosa impossibile. Colui che, su questo santo Golgota, ha salvato il ladrone (Lc 23,43) che credeva da una sola ora, salverà te pure, se credi.

V`è una seconda specie di fede, quella che ci è donata da Cristo come puro dono gratuito. “Dallo Spirito a uno è dato il linguaggio della sapienza, a un altro il linguaggio della scienza secondo il medesimo Spirito; a uno la fede, nel medesimo Spirito; a un altro il dono delle guarigioni” (1Cor 12,8-9). Questa fede, che è dono gratuito dello Spirito, non riguarda solamente i dogmi, ma anche l`efficacia di operare cose che superano le umane possibilità. Chi possiede questa fede, dirà a questo monte: «Trasferisciti da qui a lì»; ed esso si trasferirà (cf. Mt 17,20). Quando uno dice questo, mosso dalla fede, e crede che ciò avvenga e non ne dubita in cuor suo (Mc 11,23), riceve la grazia. E` a questa fede che si riferisce la frase: “Se avete fede come un chicco di senape” (Mt 17,20). Un grano di senape è piccolo di mole, ma ha la forza di bruciare; seminato in un piccolo recinto, emette grandi rami e, una volta cresciuto, è capace di fornire ombra agli uccelli (Mt 13,32). Così anche la fede ha la forza di operare grandissime cose buone in pochissimo tempo. Essa rappresenta Iddio con immagini e lo intuisce, per quanto le è concesso, illuminata dalla fede dei dogmi. Essa gira attorno ai confini del mondo e, prima ancora della fine del secolo presente, vede il giudizio e la retribuzione dei beni promessi. Abbi quella fede che è in tuo potere e conduce a lui, per ricevere da lui anche quella che supera le possibilità dell`uomo. (Cirillo di Gerus., Catech., 5, 9-11)

Il superbo che si fa creditore di Dio

Quanto è bene adatta questa similitudine per colui che diceva: “Dio, ti ringrazio, perché non sono come tutti gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri o come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana, pago le decime di tutti i miei beni” (Lc 18,11). Quanto sarebbe stato meglio se avesse detto umilmente: Signore, sono un servo inutile, ho fatto solo ciò che dovevo fare. Infatti, poiché il servo fa il suo ufficio per dovere e per necessità, il padrone non gli deve nessuna gratitudine, se egli fa ciò che gli vien comandato. Così noi quando osserviamo i comandamenti; via, dunque, la superbia, la vanagloria, il fumo della mente, e inginocchiamoci tra gli umili servi inutili, come quello che diceva: “La mia anima è innanzi a te come terra senz`acqua” (Sal 142,6). E` terra senza acqua, secca, infeconda, sterile, inutile. Ma è uno che aveva fatto tutto ciò che gli era stato comandato, com`è detto: “Non mi sono allontanato dai tuoi precetti” (Sal 118,51) e: “Non ho dimenticato la tua giustizia” (Sal 118,141). (Bruno di Segni, In Luc., 2, 39)

***

La Parola di Dio ci presenta oggi due aspetti essenziali della vita cristiana: la fede e il servizio. A proposito della fede, vengono rivolte al Signore due particolari richieste.

La prima è quella del profeta Abacuc, che implora Dio perché intervenga e ristabilisca la giustizia e la pace che gli uomini hanno infranto con violenza, liti e contese: «Fino a quando, Signore, – dice – implorerò aiuto e non ascolti?» (Ab 1,2). Dio, rispondendo, non interviene direttamente, non risolve la situazione in modo brusco, non si rende presente con la forza. Al contrario, invita ad attendere con pazienza, senza mai perdere la speranza; soprattutto, sottolinea l’importanza della fede. Perché per la sua fede l’uomo vivrà (cfr Ab 2,4). Così Dio fa anche con noi: non asseconda i nostri desideri che vorrebbero cambiare il mondo e gli altri subito e continuamente, ma mira anzitutto a guarire il cuore, il mio cuore, il tuo cuore, il cuore di ciascuno; Dio cambia il mondo cambiando i nostri cuori, e questo non può farlo senza di noi. Il Signore desidera infatti che gli apriamo la porta del cuore, per poter entrare nella nostra vita. E questa apertura a Lui, questa fiducia in Lui è proprio «la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede» (1 Gv 5,4). Perché quando Dio trova un cuore aperto e fiducioso, lì può compiere meraviglie.

Ma avere fede, una fede viva, non è facile; ed ecco allora la seconda richiesta, quella che nel Vangelo gli Apostoli rivolgono al Signore: «Accresci in noi la fede!» (Lc 17,6). È una bella domanda, una preghiera che anche noi potremmo rivolgere a Dio ogni giorno. Ma la risposta divina è sorprendente e anche in questo caso ribalta la domanda: «Se aveste fede…». È Lui che chiede a noi di avere fede. Perché la fede, che è un dono di Dio e va sempre chiesta, va anche coltivata da parte nostra. Non è una forza magica che scende dal cielo, non è una “dote” che si riceve una volta per sempre, e nemmeno un super-potere che serve a risolvere i problemi della vita. Perché una fede utile a soddisfare i nostri bisogni sarebbe una fede egoistica, tutta centrata su di noi. La fede non va confusa con lo stare bene o col sentirsi bene, con l’essere consolati nell’animo perché abbiamo un po’ di pace nel cuore. La fede è il filo d’oro che ci lega al Signore, la pura gioia di stare con Lui, di essere uniti a Lui; è il dono che vale la vita intera, ma che porta frutto se facciamo la nostra parte.

E qual è la nostra parte? Gesù ci fa comprendere che è il servizio. Nel Vangelo, infatti, il Signore fa subito seguire alle parole sulla potenza della fede quelle sul servizio. Fede e servizio non si possono separare, anzi sono strettamente collegati, annodati tra di loro. Per spiegarmi vorrei utilizzare un’immagine a voi molto familiare, quella di un bel tappeto: i vostri tappeti sono delle vere opere d’arte e provengono da una storia antichissima. Anche la vita cristiana di ciascuno viene da lontano, è un dono che abbiamo ricevuto nella Chiesa e che proviene dal cuore di Dio, nostro Padre, il quale desidera fare di ciascuno di noi un capolavoro del creato e della storia. Ogni tappeto, voi lo sapete bene, va tessuto secondo la trama e l’ordito; solo con questa struttura l’insieme risulta ben composto e armonioso. Così è per la vita cristiana: va ogni giorno pazientemente intessuta, intrecciando tra loro una trama e un ordito ben definiti: la trama della fede e l’ordito del servizio. Quando alla fede si annoda il servizio, il cuore si mantiene aperto e giovane, e si dilata nel fare il bene. Allora la fede, come dice Gesù nel Vangelo, diventa potente, fa meraviglie. Se cammina su quella strada, allora matura e diventa forte, a condizione che rimanga sempre unita al servizio.

Ma che cos’è il servizio? Possiamo pensare che consista solo nell’essere ligi ai propri doveri o nel compiere qualche opera buona. Ma per Gesù è molto di più. Nel Vangelo di oggi Egli ci chiede, anche con parole molto forti, radicali, una disponibilità totale, una vita a piena disposizione, senza calcoli e senza utili. Perché è così esigente Gesù? Perché Lui ci ha amato così, facendosi nostro servo «fino alla fine» (Gv 13,1), venendo «per servire e dare la propria vita» (Mc 10,45). E questo avviene ancora ogni volta che celebriamo l’Eucaristia: il Signore viene in mezzo a noi e per quanto noi ci possiamo proporre di servirlo e amarlo, è sempre Lui che ci precede, servendoci e amandoci più di quanto immaginiamo e meritiamo. Ci dona la sua stessa vita. E ci invita a imitarlo, dicendoci: «Se uno mi vuole servire, mi segua» (Gv 12,26).

Dunque, non siamo chiamati a servire solo per avere una ricompensa, ma per imitare Dio, fattosi servo per nostro amore. E non siamo chiamati a servire ogni tanto, ma a vivere servendo. Il servizio è allora uno stile di vita, anzi riassume in sé tutto lo stile di vita cristiano: servire Dio nell’adorazione e nella preghiera; essere aperti e disponibili; amare concretamente il prossimo; adoperarsi con slancio per il bene comune.

Non mancano anche per i credenti le tentazioni, che allontanano dallo stile del servizio e finiscono per rendere la vita inservibile. Dove non c’è servizio la vita è inservibile! Anche qui possiamo evidenziarne due. Una è quella di lasciare intiepidire il cuore. Un cuore tiepido si chiude in una vita pigra e soffoca il fuoco dell’amore. Chi è tiepido vive per soddisfare i propri comodi, che non bastano mai, e così non è mai contento; poco a poco finisce per accontentarsi di una vita mediocre. Il tiepido riserva a Dio e agli altri delle “percentuali” del proprio tempo e del proprio cuore, senza mai esagerare, anzi cercando sempre di risparmiare. Così la sua vita perde di gusto: diventa come un tè che era veramente buono, ma che quando si raffredda non si può più bere. Sono certo però che voi, guardando agli esempi di chi vi ha preceduto nella fede, non lascerete intiepidire il cuore. La Chiesa intera, che nutre per voi una speciale simpatia, vi guarda e vi incoraggia: siete un piccolo gregge tanto prezioso agli occhi di Dio!

C’è una seconda tentazione, nella quale si può cadere non perché si è passivi, ma perché si è “troppo attivi”: quella di pensare da padroni, di darsi da fare solo per guadagnare credito e per diventare qualcuno. Allora il servizio diventa un mezzo e non un fine, perché il fine è diventato il prestigio; poi viene il potere, il voler essere grandi. «Tra voi però – ricorda Gesù a tutti noi – non sarà così: ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore» (Mt 20,26). Così si edifica e si abbellisce la Chiesa. Riprendo l’immagine del tappeto, applicandola alla vostra bella comunità: ciascuno di voi è come uno splendido filo di seta, ma solo se sono ben intrecciati tra di loro i diversi fili creano una bella composizione; da soli, non servono. Restate sempre uniti, vivendo umilmente in carità e gioia; il Signore, che crea l’armonia nelle differenze, vi custodirà.

Ci aiuti l’intercessione della Vergine Immacolata e dei Santi, in particolare di Santa Teresa di Calcutta, i cui frutti di fede e di servizio sono in mezzo a voi. Accogliamo alcune sue splendide parole, che riassumono il messaggio di oggi: «Il frutto della fede è l’amore. Il frutto dell’amore è il servizio. Il frutto del servizio è la pace» (Il cammino semplice, Introduzione). (Papa Francesco, Omelia del 2 ottobre 2016)

Fonte: Figlie della Chiesa

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