Commento al Vangelo del 5 maggio 2013 – Paolo Curtaz

VI Domenica di Pasqua (Anno C)
At 15,1-2.22-29 / Sal 66 / Ap 21,10-14.22-23 / Gv 14,23-29
Dimorare, ricordare, nella pace

Come possiamo accorgerci della gloria del Maestro Gesù in noi? Come riconoscerla negli eventi non sempre edificanti della storia? Come nell’esperienza della Chiesa?

Gesù durante l’ultima cena afferma di voler salvare Giuda e Pietro.
La salvezza manifesta la gloria di Dio, il desiderio immenso che egli ha di riempire il cuore di ogni uomo!
Oggi, concretamente, il Signore ci indica tre atteggiamenti per manifestare la vita del risorto nella nostra vita. In questo rinnovato tempo di Chiesa, in questo dolente tempo di crisi economica e politica, tempo rissoso e acido, disperante e sconfortato abbiamo urgente bisogno di tornare ad essere discepoli e a lasciare che sia il vangelo a giudicare gli eventi.

Dimorare
Gesù ci chiede di osservare la sua Parola, di realizzarla, di incarnarla nelle nostre scelte. Se la fede resta evento da tirare fuori un’ora a settimana o nei momenti di difficoltà non facciamo esperienza dell’essere abitati dal Padre e dal Figlio.
Gesù lo dice esplicitamente: abitare la Parola, frequentarla, conoscerla, pregarla, meditarla sortisce l’effetto di una inabitazione divina.
Niente apparizioni, per carità!
Ma la consapevolezza crescente di essere orientati verso Dio, l’esperienza di avvertire la sua presenza è possibile. La fede allora si riduce ad una scelta intellettuale, uno sforzo della volontà ma la dimensione perenne in cui abitiamo.
Dimorare: restare, non fuggire, non scostarsi.
Dimorare: abitare, conoscere, capire, frequentare.
A questo siamo chiamati per sperimentare la gloria.
Conosciamo e meditiamo la Parola che ci permette di accedere a Dio.

Ricordare
Non capiamo tutto, e ci mancherebbe, nemmeno la Chiesa possiede Dio interamente, ma da lui è posseduta.
Gesù ha detto e dato tutto, la Rivelazione è conclusa, non necessitiamo di veggenti che ci spieghino come fare. Ma non abbiamo ancora capito. O ci siamo dimenticati.
Lo Spirito ci viene in soccorso e ci illumina. Illumina la Chiesa nella comprensione delle parole del Maestro. Illumina la nostra coscienza e ci permette di capire cosa c’entri la fede con la nostra vita e le nostre scelte quotidiane. Ricorda quando ci scordiamo come quando, nel recente passato, i cristiani si erano “dimenticati” della radicalità del vangelo rispetto alla non violenza dissertando sulla guerra “giusta” (e a volte, purtroppo, benedetta e giustificata).
Invocare lo Spirito prima di ogni scelta, prima della preghiera, prima delle celebrazione dell’eucarestia ci permette di avvicinarci al vangelo con la freschezza che merita, con lo stupore di chi vi trova sempre delle novità.

Pacificati
Per sperimentare la gloria dobbiamo fare la pace in noi stessi. Il confine del male e del bene è nel nostro cuore, il nemico è dentro di noi, non fuori, e la prima autentica pacificazione deve avvenire nel nostro intimo con noi stessi e la nostra violenza e la nostra rabbia, la parte oscura che i discepoli chiamano peccato.
I cristiani, spesso, quando parlano di pace… pensano al cimitero! Una scorretta e parziale visione di fede, là dove il cristianesimo è fiacca e svogliata appartenenza parla di pace il primo novembre, pensando ai nostri defunti che riposano “in pace” (e che devono fare, ballare la samba?).
La pace, secondo la parola di Gesù, è il primo dono che egli fa’, risorto, apparendo agli impauriti discepoli. Un cuore pacificato è un cuore saldo, irremovibile, che ha colto il suo posto nel mondo, che non si spaventa nelle avversità, non si dispera nel dolore, non si scoraggia nella fatica.
La scoperta di Dio, nella propria vita, l’incontro gioioso con lui, la percezione della sua bellezza, la conversione al Signore Gesù riconosciuto come Dio, suscita nel cuore delle persone una gioia profonda, sconosciuta, diversa da ogni altra gioia. È la gioia del sapersi conosciuti, amati, preziosi.

Dono di Cristo
Ecco, questa è la pace: sapersi nel cuore di una volontà benefica e salvifica, scoprirsi dentro il mistero nascosto del mondo. Credere in questo, adesione alla fede quasi sempre tormentata e sofferta, non immediata e leggera, dona la pace del cuore.
Io sono amato, tu sei amato.
Insieme a Dio possiamo cambiare il mondo.
Questa pace è pace profonda, pace salda, pace irremovibile, ben diversa dalla pace del mondo, pace che viene venduta come assenza di guerra o, peggio guerra che viene ritenuta necessaria per imporre la pace.
Pace del sapersi amati che permette di affrontare con serenità anche le paure.
Paura del futuro, della malattia, del lavoro precario, del non sapersi amati, paura. La pace del cuore, dono e conquista, fiamma da alimentare continuamente alla fiamma del risorto, aiuta ad affrontare la paura con fiducia, a non avere il cuore turbato. Alla fine di questi splendidi giorni di Pasqua, invochiamo il Consolatore, donato dal Padre, per affrontare la nostra quotidianità con la certezza della presenza del Signore, giorno dopo giorno, passo dopo passo.

Scelte
La prima comunità affronta un dilemma grave: occorre essere ebrei per diventare cristiani? Giacomo e la comunità di Gerusalemme spingono in questa direzione, Paolo e Barnaba, al contrario affermano che Gesù è venuto per ogni uomo, e lo dimostra il fatto di vedere la Parola convertire il cuore dei pagani. Lo scontro è duro, ma leale: a Gerusalemme gli apostoli discutono rudemente e, alla fine, danno ragione a Paolo. Questo è lo stile dell’essere Chiesa, decidere insieme nel rispetto dei propri ministeri e carismi, ascoltando il suggerimento dello Spirito. Questo è lo stile delle nostre comunità che prendono a cuore i problemi e cercano le soluzioni non a partire dall’emozione o dalle proprie opinioni, ma alla continua ricerca della volontà del Maestro.

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