Commento al Vangelo del 4 marzo 2012 – Paolo Curtaz

Seconda domenica di Quaresima, anno di Marco
Gn 22, 1-18/ Rm 8, 31-34/ Mc 9,2-10

Inquietudine e bellezza

Cosa ci rende così inquieti?
Quando riusciamo, infine, a fare silenzio intorno, magari costretti da una gigantesca nevicata, quando non funzionano i cellulari e le televisioni e i portatili, quando torniamo di colpo indietro di cento anni, capendo quanta strada abbiamo fatto e di quante cose abbiamo bisogno per vivere e sentiamo il sentimento contraddittorio di una pace interiore mischiata alla paura di restare senza i nostri inutilmente indispensabili ninnoli, cosa ci resta nel cuore?
Cosa ci rende così inquieti? Perdere l’inutile che abbiamo duramente conquistato?
La paura del futuro?
E cosa può sanare l’inquietudine? Darci pace? Portarci ad un livello di consapevolezza tale per cui, finalmente, scopriamo che non è vero quello che ci fanno credere. Non sono infelice perché non sono bellissimo, o ricco, o particolarmente brillante, ma perché ho bisogno di capire qual è il mio posto del mondo.
Naufraga della storia, inutile presenza fra sette miliardi di individui connessi, incapace di rientrare in se stessa, la mia piccola vita anela ad un senso, ad una risposta.
Siamo nel deserto. Infine.
Cumuli di neve. Cumuli di rovine provocate da un capitalismo spregiudicato. Cumuli di piccinerie figlie di una politica gretta ed incapace. Cumuli di solitudini personali, di storie insignificanti, di domande irrisolte.
Deserti.
Saliamo al Tabor, infine.

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Colline

Chi è davvero Gesù di Nazareth?
Questa domanda accompagna tutto il vangelo di Marco, in lungo e in largo.
L’episodio della trasfigurazione è posto esattamente al centro della narrazione evangelica, come a segnarne l’importanza assoluta.
Chi è Gesù? Chi è Dio?
Abramo, nella prima lettura, pensa che Dio sia l’assoluto cui sacrificare tutto, anche suo figlio. Per noi è abominevole il solo pensarlo. Tutti i popoli vicini ad Israele praticavano il sacrificio umano, per placare gli dei. Forse anche il Dio misterioso senza nome, che pure lo aveva accompagnato fuori dalla sua terra e difeso, era come loro. Questo, erroneamente, pensa Abramo.
No, ci dice il racconto.
Dio non ha bisogno del sacrificio di una vita, non ama i sacrifici umani.
La pagina della Genesi diventa un severo ammonimento per il popolo di Israele: il Dio di Abramo non gradisce che si uccida in suo nome.
Eppure molti, ancora oggi, hanno questa idea di Dio: colui che chiede sacrifici insopportabili.
Non è così il Dio di Gesù.

Biancori

Lo conoscono Gesù, gli apostoli.
Come noi. Sanno chi è, cosa dice, hanno assistito ai suoi miracoli.
Ma ancora non ne sanno niente. Come noi.
Possiamo essere discepoli da sempre, e preti e suore. Ma non sappiamo nulla di lui. Ed egli ci chiede di salire sul monte, per capire, per intravvedere, per intuire.
Eccolo.
Marco non riesce a descrivere la sua bellezza. Mosè ed Elia parlano con lui: la Legge e i profeti danno una risposta: Gesù è il Messia. Le tre tende che Pietro vuole costruire, ricordano la festa delle capanne, Simone pensa, ingenuamente, che sia finalmente arrivato il tempo del Regno.
No, non è così.
Un’altra montagna si taglia all’orizzonte, una piccola alture ricavata da una cava di pietra in disuso che i romani usano per appendere i condannati.
Non c’è Tabor senza Golgota, non c’è Golgota senza Tabor.
Non c’è bellezza e gioia che non costi fatica.
Non c’è dolore e sofferenza che non portino alla luce.
È bellissimo stare con Gesù. È il figlio prediletto da ascoltare, ieri come oggi.

Attesa

Marco è l’unico che scrive: Improvvisamente, guardandosi intorno, non videro più nessuno se non Gesù solo, con loro.
La conversione alla bellezza è improvvisa. A noi di guardarci intorno e scoprire la bellezza di Dio per giungere anche noi, infine, a vedere solo più Gesù nella nostra vita, e noi assieme con lui.
La bellezza convertirà il mondo.
E noi, suoi fragili discepoli, siamo spinti a vivere nella bellezza della relazione e della verità, della compagnia agli uomini e della Parola, per dire e dare ai nostri fratelli uomini la speranza di una Presenza che ancora si deve svelare nella sua totalità.
Noi, fragili discepoli, siamo chiamati e testimoniare con semplicità e verità che solo Gesù colma il nostro cuore, riempie la nostra anima.
Viviamo, come scriveva Emmanuel Mounier, un grande filosofo del secolo scorso, in un tragico ottimismo. Tragico perché i tempi sono faticosi.
Ma sempre ottimismo, perché sappiamo chi è la bellezza di Dio: il Signore Gesù.
E questa bellezza alberga nel nostro desiderio.
Questa bellezza salva il mondo.

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