Commento al Vangelo del 3 Febbraio 2019 – Don Luciano Condina

Dio fa nuove tutte le cose

Questa domenica Luca descrive la scena introduttiva al ministero pubblico di Gesù, che inizia subito con uno scontro. In un certo senso Egli provoca la situazione perché proprio a Nazareth, sua terra d’origine, proclama la propria identità messianica profetizzata nella Scrittura.

Perché cominciare da uno scontro?

All’origine della nuova vita – la vita di fede, ossia della relazione con Dio – è un passaggio obbligatorio. Non si può mettere d’accordo ciò che nasce dalla carne e ciò che nasce dallo Spirito, scriverà Giovanni nel suo vangelo; a Nazareth Gesù deve rompere con la patria e con le sue origini. Non è possibile seguire Dio se non rinascendo, lasciandosi portare verso una nuova “identità”. Per Simone di Giona l’incontro con Gesù rappresenta il cambio del nome indicante la sua nuova nascita. Cristo proclama la sua nuova vita entrando in rotta di collisione, in un certo senso definitiva, con i propri concittadini.

La salvezza, nella Bibbia, comincia con Abramo, chiamato a uscire dalla casa paterna. Dio con noi deve fare una cosa nuova che non segue i presupposti, non si basa su ciò che eravamo nell’infanzia. Questa è anche la domenica in cui leggiamo l’inno alla carità di San Paolo che parla di amore, di bellezza, della carità meravigliosa che viene da Dio: se vogliamo vivere un’esistenza cristiana, dobbiamo capire che, per entrare nelle cose di Dio, è necessario rompere con ciò che nasce dalla carne; non significa negare la realtà della carne, l’amore per la nostra creaturalità, ma capire che c’è un di più. Molto di più.

L’uomo si spiega solo con la Grazia e solo la Grazia compiutamente spiega l’uomo. La Grazia è la mia luce più autentica, ovvero l’amore che Dio ha per me e la sua gratuità nei miei confronti: la Grazia mi comunica chi sono io per Lui. Gesù entra in rotta di collisione con l’idea che i nazareni hanno di lui: deve smettere di essere “il figlio di Giuseppe”, ciò che era stato nell’infanzia per loro e svelare il proprio segreto.

Tutti noi dobbiamo scoprire il nostro segreto personale, il nostro rapporto con Dio, scoprirci figli del Padre. Tutti noi abbiamo nella nostra storia una matrice di Grazia, qualcosa di meraviglioso che in Dio è conservato e in noi si svela quando iniziamo a camminare secondo le sue strade. Le opere di Dio – la carità di cui parla appunto la seconda lettura – compaiono in noi solamente quando nasciamo in Lui e smettiamo di obbedire alle nostre categorie, a quelle dell’infanzia. Esiste una verità più grande che il mondo non conosce, nessuno di noi: una verità bella, luminosa, conservata in Dio, svelata da Dio e che dobbiamo assumerci per diventare altro, qualcosa di diverso. Numerosi Santi hanno dovuto lasciare la casa paterna; l’esempio più noto è quello di Francesco d’Assisi. Anche noi dobbiamo smettere di obbedire alle alleanze che abbiamo stabilito in questo mondo, di essere ciò che gli altri si aspettano da noi per essere chi veramente siamo.

Dio rivela a noi stessi la sua Grazia, senza la quale non possiamo spiegare la nostra vita. Un matrimonio si salva solo se gli sposi entrano nella logica della Grazia del sacramento ed escono dalle rispettive famiglie. Un sacerdote è pienamente se stesso se si dona completamente a Dio ed è pienamente strappato a ciò che era prima di accogliere la vocazione. Noi non siamo ciò che eravamo da bambini: troppa gente resta sempre il fratello, la sorella di qualcuno, in relazione a tutta quella serie di motti e racconti che si porta dietro sin dall’infanzia…

Tu sei il figlio di Giuseppe?
No, io sono molto di più, sono una creatura nuova.
Dio non fa cose nuove: fa nuove tutte le cose.

Fonte

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QUARTA SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO

Puoi leggere (o vedere) altri commenti al Vangelo di domenica 3 Febbraio 2019 anche qui.

Lc 4, 21-30 Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino. C: Parola del Signore. A: Lode a Te o Cristo.

Fonte: LaSacraBibbia.net

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