Commento al Vangelo del 28 Giugno 2020 – p. Ermes Ronchi

Chi dona con il cuore rende ricca la sua vita

Padre Ermes Ronchi commenta il brano del Vangelo di domenica 28 Giugno 2020.

Chi ama padre o madre, figlio o figlia più di me, non è degno di me. Una pretesa che sembra disumana, a cozzare con la bellezza e la forza degli affetti, che sono la prima felicità di questa vita, la cosa più vicina all’assoluto, quaggiù tra noi. Gesù non illude mai, vuole risposte meditate, mature e libere. Non insegna né il disamore, né una nuova gerarchia di emozioni. Non sottrae amori al cuore affamato dell’uomo, aggiunge invece un “di più”, non limitazione ma potenziamento. Ci nutre di sconfinamenti. Come se dicesse: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti dei tuoi cari per poter star bene, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello.

Ci ricorda che per creare la nuova architettura del mondo occorre una passione forte almeno quanto quella della famiglia. È in gioco l’umanità nuova. E così è stato fin dal principio: per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna (Gen 2,24). Abbandono, per la fecondità. Padre e madre “amati di meno”, lasciati per un’altra esistenza, è la legge della vita che cresce, si moltiplica e nulla arresta. Seconda esigenza: chi non prende la propria croce e non mi segue. Prima di tutto non identifichiamo, non confondiamo croce con sofferenza. Gesù non vuole che passiamo la vita a soffrire, non desidera crocifissi al suo seguito: uomini, donne, bambini, anziani, tutti inchiodati alle proprie croci. Vuole che seguiamo le sue orme, andando come lui di casa in casa, di volto in volto, di accoglienza in accoglienza, toccando piaghe e spezzando pane. Gente che sappia voler bene, senza mezze misure, senza contare, fino in fondo. […]

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L’ACQUA MIGLIORE CHE HO

“Chi ama la propria famiglia più di me, non è degno di me”. Ma allora chi è degno di te, Signore? Con la tua altissima pretesa, che cosa vuoi da me?
Nessuno amerà mai come te, perché il tuo è vero amore incondizionato che anticipa, senza clausola alcuna.

Padre madre fratello figlia… sono le persone a me più care, indispensabili per vivere davvero. Sono loro che ogni giorno mi spingono ad essere vero, autentico, senza ruoli.
Ma la tua non è una competizione di cuori o una gara di emozioni, da cui sai che non usciresti vincitore se non presso pochi eroi, o santi o profeti dal cuore in fiamme.
E tuttavia, l’uomo non coincide con il cerchio della famiglia. Anche già per unirsi a colei che ama, “l’uomo lascerà il padre e la madre!” Né la buona novella, né la croce, non la vita eterna e neppure una storia di giustizia, pace o solidarietà, si spiegano interessandosi solo alla famiglia. Bisogna saper accogliere altri nel cerchio del proprio sangue, generare diversamente vita e futuro, staccarsi, perdere, spezzare l’eterna ripetizione di ciò che è già stato.

Chi avrà perduto, troverà.
Perdere la vita, non significa farsi uccidere: una vita si perde solo COME SI PERDE UN TESORO, donandola.
Noi possediamo, veramente, solo ciò che abbiamo donato ad altri. Come la donna di Sunem della prima lettura, che d’impulso dona al profeta Eliseo piccole porzioni di vita, piccole cose: un letto, un tavolo, una sedia, una lampada, e riceverà in cambio UNA VITA INTERA, un figlio vero! Insieme alla capacità di amare molto di più.
Risento l’eco delle parole di Gesù: “Chi avrà perduto la sua vita per causa mia la troverà”.
Gesù parla di una causa per cui vivere, che vale più della stessa vita. E Lui, che l’ha perduta per la causa dell’uomo, l’ha ritrovata.
Infatti il vero dramma per la persona, e tanti non ne sono consapevoli, è non avere niente e nessuno per cui valga la pena mettere in gioco e spendere la propria vita.
E a noi, spaventati dall’impegno di dare vita e di avere una causa che valga più di noi stessi, Gesù aggiunge una frase dolcissima: “chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca non perderà il premio”.

CROCE E ACQUA, il dare tutto e il dare quasi niente. I due estremi di uno stesso movimento, un gesto vivo, significato da quell’aggettivo così evangelico: fresca!
L’acqua, fresca dev’essere!
Vale a dire procurata con cura, l’acqua migliore che hai, acqua affettuosa, bella, con dentro l’eco del cuore.
La vita nell’acqua: stupenda pedagogia di Cristo, secondo cui non c’è nulla di troppo piccolo per chi vuol bene. Dove amare non equivale ad emozionarsi e a tremare per una creatura, ma si traduce con l’altro verbo che è sempre di corsa, molto semplice e concreto. Un verbo fattivo, urgente, di mani limpide e allegre come acqua fresca: il verbo dare.

AUTORE: p. Ermes Ronchi FONTE: AvvenirePAGINA FACEBOOK

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