Commento al Vangelo del 25 marzo 2012 – mons. Andrea Caniato

12PORTE – 22 marzo 2012

Una pagina evangelica impressionante. Un fatto apparentemente banale, sconvolge l’anima umana di Gesù e segna un importante punto di svolta nella sua vita e nel suo ministero. 
Per inquadrare il brano, ricordiamo che ci troviamo subito dopo l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme. Inoltre, dopo la risurrezione di Lazzaro i Giudei avevano già decretato la condanna a morte di Gesù.
Siamo a pochi giorni dalla Pasqua. La città santa è invasa di pellegrini.
Un gruppo di greci, simpatizzanti del Dio di Israele, che erano saliti a Gerusalemme per la festa di Pasqua, chiedono all’apostolo Filippo di poter incontrare Gesù. Filippo lo dice ad Andrea: sono i due apostoli che hanno un nome greco e certamente parlavano la lingua allora più diffusa nel mediterraneo. Quando gli riferiscono questa richiesta, Gesù pronuncia parole solenni e sconcertanti, apparentemente senza connessione al fatto: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato».
Tutti noi ricordiamo all’inizio del Vangelo di Giovanni, l’episodio delle nozze di Cana: “Non è ancora giunta la mia ora”. Gesù pensava fin dall’inizio a questa ora. Più volte il vangelo riferisce che quando tentavano di catturare Gesù non potevano neppure toccarlo, perché “non era giunta la sua ora”. 
È il senso stesso della missione di Cristo: tutto quello che Gesù dice e fa è finalizzato a questa ora in cui sarà manifestata la sua gloria.
I greci si fanno avanti. Un gruppo di uomini non appartenenti al popolo di Israele, non circoncisi, ma timorati di Dio chiedono di lui. Ecco il segnale dell’ora: è giunto il momento in cui Dio manifesta la sua gloria attirando a se tutti gli uomini. Tutti i popoli sono invitati alla nuova Pasqua che si compie nella morte e nella risurrezione di Cristo.
Ecco le celebri parole di Gesù sul seme, che se muore nella terra produce molto frutto. Gesù le introduce con una formula solenne: “Amen, Amen, io vi dico” (tradotto con “in verità, in verità io vi dico”).
Occorre fare appello alla fede, per comprendere: la vita viene dalla morte, il frutto abbondante viene dal sacrificio, la gloria viene dalla condanna, la crocifissione è esaltazione.
Per certi aspetti, il Vangelo ci mette di fronte ad una decisione di fede da prendere. Ci sono tanti motivi per ammirare Gesù come uomo: i suoi gesti, le sue parole, la sua bontà, la sua forza… ma ora si fa sul serio. Ora chiede il vangelo chiede il salto della fede. “Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io (cioè sulla croce), là sarà anche il mio servo”.
Ora il Signore ci chiede l’estrema fiducia di condividere il suo destino, la sua vita donata fino in fondo. Il cristianesimo non è meno di questo.
Poi Gesù esplode in una preghiera che riecheggia il Padre nostro: “Padre, glorifica il tuo nome”. Solo Gesù può rivolgersi a Dio con queste parole, solo lui può chiamarlo Padre in verità. E rombando come un tuono, la voce del Padre annuncia che è la gloria del suo Figlio. C’è chi comprende e chi no. C’è che riconosce la voce di Dio, e chi sente solo un tuono.
La croce di Cristo è il grande giudizio sulla incredulità e sulla fede degli uomini. Si tratta di credere che la morte del crocifisso è la massima rivelazione della gloria di Dio.

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