Commento al Vangelo del 20 Gennaio 2019 – don Armando Volpi

Il primo dei «segni» compiuto da Gesù

L’elemento visivo più appariscente nelle nostre celebrazioni domenicali, da oggi, torna ad essere verde indossato. Questo colore ci dice che siamo entrati o, meglio, con questa domenica, che inizia il cosiddetto «Tempo Ordinario» dell’Anno Liturgico. Se non stiamo ben attenti questa dizione potrebbe indurci in errore. Dire Tempo Ordinario, infatti, farebbe supporre che ve ne siano altri che potremmo definire «straordinari», quali, ad esempio: Avvento, Natale, Quaresima, Pasqua. Quindi, potremmo concludere che è un tempo nel quale impegnarci poco (come di fatto accade). Che errore! Come è possibile non renderci conto che la bellezza, la grandezza, la fruttuosità di ciò che è straordinario nasce proprio da ciò che è ordinario perché da esso generato? Mi viene da paragonare il tempo ordinario all’autunno inoltrato quando i nostri trattori solcano i campi incolti, rovesciando la terra e, poi, vi nascondono dentro il seme. Un fatto che avviene nel silenzio, nel nascondimento. Ma possiamo dire che tutto questo è di minore importanza della raccolta del grano o meno bello del biondeggiare dei campi? Anzi, bisogna dire che l’ordinario e l’umile lavoro della coltratura della terra è la cosa più importante perché premessa necessaria e indispensabile perché vi possa essere un raccolto.

È dal Tempo Ordinario della Liturgia che sono nati in seguito i Tempi così detti «forti». Infatti l’unica vera «festa» cristiana è la Pasqua dalla quale scaturiscono tutti i giorni santi che celebriamo con solennità. La «festa primordiale» celebrata dai cristiani è stata la Domenica, giorno nel quale fin dall’inizio dell’era cristiana i discepoli del Signore si riunivano per ascoltare la Parola di Dio e celebrare la Cena del Signore. Le altre solennità e feste sono nate dopo per sottolineare l’uno o l’altro aspetto della Pasqua celebrata nella sua globalità nel «giorno del Signore» nel «giorno del sole» come in antico si chiamava la domenica. Pertanto è la Domenica che dà senso e significato alle altre feste e non il contrario. Si può dire che chi non celebra abitualmente la Domenica non può comprendere nel loro vero significato le altre feste, Natale compreso.

Ma veniamo ora a riflettere un poco sul primo «segno» compiuto da Gesù raccontato dall’evangelista Giovanni. E’ di grande significato che Giovanni chiami «segni» i gesti straordinari di Gesù che gli altri evangelisti chiamano «miracoli». Perché? Perché dicendo «miracolo» noi siamo portati a considerare la eccezionalità e il beneficio che dal «gesto» compiuto da Gesù ne deriva. Per cui, siamo tentati di apprezzare i doni che Gesù fa più che la persona che Lui è. (Non è forse vero che alcuni sono alla ricerca esagerata di questi segni tanto da farli fondamento della loro fede?). Se invece queste azioni straordinario le chiamiamo «segni», evidentemente non siamo attaccati ad essi, ma siamo spinti ad accogliere e amare ciò che significano. Nessuno, infatti, si ferma a guardare il dito che indica una stella, ma, seguendo l’indicazione, cerca la stella e, una volta trovata, ne gode.

Allora, cosa vuol dire il «segno» del cambiamento dell’acqua in vino nel corso di un pranzo di nozze? Sono due i significati intrecciati tra loro. L’unione dell’uomo e della donna, fin dall’inizio della creazione è «cosa molto buona» e Dio ha scelto il matrimonio come segno del suo amore per il Popolo d’Israele. Questo è il primo significato. Il secondo rafforza il primo dicendoci che l’unione di amore che lega Dio al suo Popolo si è realizzata definitivamente in Gesù Crocifisso che ha generato la Chiesa nel momento della sua morte. Si legge nella Costituzione Liturgica: «Dal costato di Cristo che dorme (da cui sono sgorgati sangue ed acqua) è sgorgato il meraviglioso sacramento dell’intera Chiesa», sposa del Cristo. L’unione sponsale di due cristiani è inserita in questo mistero sponsale che unisce Cristo alla Chiesa e di ciò è «segno», cioè sacramento.

don Armando Volpi – Fonte

ALTRO COMMENTO

“Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino»”.

Tutti ci cercano per quello che abbiamo, ma chi ti vuole davvero bene non tiene da conto di ciò che hai, ma di ciò che ti manca. L’amore vero è prendere a cuore la mancanza dell’altro, perchè in quella mancanza si gioca il meglio e il peggio della vita. Sono infatti le nostre mancanze la causa prima dei nostri peccati, ma sono altresì proprio le mancanze i punti di svolta dei grandi santi. Ritrovare il vino che manca non serve a riempire un vuoto, ma a cambiarne la sostanza.

Gesù non crea il vino dal nulla, ma cambia l’acqua in vino, cioè prende ciò che c’è e a partire da questo opera un cambiamento radicale. Quello che fino a ieri ti faceva peccare può cominciare ad essere il punto di forza della tua santità. Assurdo! Ma questo è il miracolo: il Signore è l’unico che può prendere sul serio la mia mancanza e trasformarla in santificazione.

Da cosa ce ne accorgiamo? Dal fatto che cominciamo a sentire un’inspiegabile letizia che non trova altra ragione se non nella Grazia di Dio.

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