Commento al Vangelo del 17 gennaio 2010 – Paolo Curtaz

Seconda domenica durante l’anno, anno di Luca

Is 62,1-5/1Cor 12,4-11/Gv 2,1-12

Nozze

Siamo bene-amati, il Signore è proprio contento di noi, è contento di me.

È difficile amare bene, lasciando liberi, aiutando a crescere, valorizzando l’altro, amare senza possedere, amare donando le ali, amare senza ricatti.

E Dio ci riesce.

In quest’anno dedicato a Luca, scriba della mansuetudine di Cristo, iniziamo il tempo ordinario con un’inserzione giovannea (e meno male che d’ogni tanto lo leggiamo, Giovanni!): le nozze di Cana.

Iniziamo il nuovo anno ripetendoci che incontrare Dio è come partecipare ad una splendida festa di nozze.

Sbronze

Il racconto di Cana rischia di essere letto in superficialità, notando solo il miracolo inconsueto e gradito e la colossale sbronza collettiva conseguente, e la conclusione, nota a molti, è che Gesù è un uomo prodigioso che trasforma l’acqua in vino, ce ne fossero!

Dobbiamo, però, andare oltre la lettera.

Leggete bene: questo matrimonio è piuttosto strano.

Manca del tutto la sposa, lo sposo è coinvolto solo per ricevere i complimenti per una cosa che, in teoria, non lo riguarda e per cui non ha fatto assolutamente nulla! Che strano matrimonio!

A margine notiamo la scortesia di Gesù verso sua madre e, ciliegina sulla torta, l’assurda presenza di giare di pietra per la purificazione da cento litri (e che se ne facevano?) nella casa in cui si festeggia.

Le giare in pietra c’erano, ma nel cortile del Tempio a Gerusalemme!

Certamente, non a Cana.

Insomma: sono tante le cose che non tornano; cerchiamo di capire meglio.

Matrimonio fallito

Il matrimonio fra Israele e il suo Dio langue, è come quelle giare: impietrito e imperfetto (sono sei le giare: sette – numero della perfezione – meno una): la religiosità di Israele è stanca e annacquata, non dona più gioia, non è più festa. Il popolo vive una fede molto simile alla nostra religiosità contemporanea, stanca e distratta, travolta dalle contraddizioni e dalla quotidianità.

Maria, la prima tra i discepoli, se ne accorge, e invita Gesù a intervenire.

I servi fedeli, figura centrale del racconto, sono coloro che tengono in piedi il matrimonio fra Israele e Dio, coloro che – con fatica e senza capire – obbediscono, che perseverano, che non mollano. Ancora non lo sanno, ma il loro gesto fedele porterà frutto e rianimerà la festa.

Animo amici che vi sentite come i panda in via di estinzione quando vi sbattete passando i pomeriggi in parrocchia! La vostra fedeltà è necessaria al miracolo del vino nuovo!

È Gesù, lo sposo dell’umanità, che trasforma l’acqua dell’abitudine nel vino della passione, è lui che riceve i complimenti da noi sommeliers, discepoli ubriacati dall’ebbrezza della Parola.

Da madre a donna

È Maria che si accorge della mancanza del vino. È sempre lei che, discretamente, vede che non c’è più gioia nella nostra vita.

E interviene.

Gesù ascolta la sua richiesta e le risponde malamente (all’apparenza): «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora».

Che rispostaccia! Che maleducato!

No, Maria ha capto benissimo cosa sta dicendo suo figlio.

Gesù sta dicendo alla madre: «Io sono un perfetto sconosciuto, il falegname di Nazareth, tuo figlio. Se intervengo ora, madre, mi allontanerò per sempre da te, tu per me sarai una delle tante donne che incontrerò».

E Maria accetta.

E dice ai servi, e a noi: «Fate quello che vi dirà».

Quanto è difficile tagliare il cordone ombelicale che ci lega ai figli!

Quanto più duro dev’essere stato, per Maria, rinunciare ad avere Dio per casa per donarlo (davvero!) al mondo.

Maria bene-ama suo figlio e lo lascia andare.

Scomparirà, Maria, nel vangelo di Giovanni, per riapparire, ancora e solo donna sotto la croce.

Per tornare a diventare madre, ma di tutti i discepoli, questa volta.

E l’ultima sua parola è un invito a seguire il figlio.

Gioia

Così è la fede, amici: un matrimonio in cui il vino non viene mai a mancare, un incontro che, sempre, suscita gioia e passione.

Se, invece, la fede, per voi, è noiosa e siete cristiani solo per dovere, piacevole come andare dal dentista, delle due cose l’una: o state vivendo un faticosissimo momento, e allora chiedete al Signore di trasformare l’acqua in vino e dimorate nella fedeltà, come i servi, o proprio non siete presenti al banchetto nuziale.

Così inizia l’anno nuovo, con semplicità e stupore.

Qualunque cosa accadrà, quest’anno è l’anno in cui vogliamo dare al Signore la nostra fedeltà imperfetta, la nostra vita pietrificata, per vederla trasformare nel vino nuovo del Regno.

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