Commento al Vangelo del 15 febbraio 2018 – Monastero di Bose

In questo inizio di Quaresima, l’evangelo ci mette di fronte innanzitutto l’immagine di colui che siamo venuti a seguire durante questi quaranta giorni: “il Figlio dell’uomo”; e ci mostra l’esito che si prospetta per lui (e che celebreremo al termine del nostro cammino nel deserto): “Soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso e risorgere il terzo giorno” (v. 22).

 

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Questa precisazione sulla propria identità, in forma di annuncio indiscutibile, Gesù la fa in risposta alla professione di fede formulata appena prima da Pietro: “Tu sei il Cristo di Dio” (Lc 9,20). Sì, egli è il Messia di Dio, l’Atteso da tutte le genti, il Re di pace e di giustizia, la figura definitiva annunciata da tutti i profeti. Tuttavia questa qualifica corretta può ingenerare anche false aspettative. Si tratta allora per Gesù di aggiungere all’immagine tradizionale del messia che gli viene attribuita un potente correttivo: puntualizza quindi che il cammino – tracciato da Dio – che lo attende quale Figlio dell’uomo è un cammino di sofferenza! Gesù annuncia per sé, come progetto divino sulla sua persona, come necessità teologica, la parabola alquanto impensabile di un messia sofferente. Infatti, la sovranità di Cristo – del messia di Dio – è ancora nascosta, è un potere velato, riconoscibile solo nella fede.

Questo annuncio di sofferenza, nel brano evangelico odierno, si rivela inoltre singolare: non il mondo rifiuterà il Figlio dell’uomo, il messia di Dio, ma i credenti, i fedeli della casa di Dio, i lettori e gli studiosi della Scrittura. È da loro che egli verrà “rifiutato” (v. 22). Per così dire, Gesù deve essere respinto proprio da coloro che sono chiamati a custodirlo.

Ora, credere in Gesù come salvatore significa paradossalmente accettare la sua figura di messia sofferente. Per questo, seguirlo implica di prendere a propria volta su di sé la sua stessa sofferenza, senza rigettarla. Sì, annuncia Gesù: coloro che, guidati dallo Spirito, già lo riconoscono nonostante tutto e intendono “venire dietro a lui” (cf. v. 23), saranno a loro volta attanagliati da prove, da tentazioni, da lotte. Ora proprio in tali situazioni è chiesto loro di mettere la loro fiducia in questa relazione apparentemente assurda. Perché volersi salvare da soli, o contando su una potenza che annienterebbe il male inerente alla condizione mortale, significherebbe appunto tradire il Messia, non identificarsi a lui ma agli “anziani, capi dei sacerdoti e scribi” (cf. v. 22) che rigettano il Figlio dell’uomo, e ripetere “la loro follia” (Sal 85,9).

Contro la chiamata di Gesù, contro la radicalità della sequela, la natura umana si rivolta: appaiono la paura della sofferenza, la volontà di “salvare la propria vita” (v. 24). Tale riflesso va superato: si tratta precisamente di “rinnegare se stessi” (v. 23) per autenticare la propria professione di fede in Cristo. La Quaresima ce lo ricorda: ogni giorno tendiamo a rigettare questa croce, ma “ogni giorno” (v. 23) è necessario riprenderla nuovamente su di sé. Infatti, la croce di Gesù e la sua resurrezione offrono ogni giorno nuova forza per avanzare nel cammino e ridonano giorno dopo giorno senso alla nostra vita, salvandola.

fratel Matthias della comunità monastica di Bose

Lc 9, 22-25
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno».
Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà. Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

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