Commento al Vangelo del 12 luglio 2015 – Paolo Curtaz

Il commento al Vangelo di domenica 12 luglio 2015 a cura di Paolo Curtaz per la XV domenica del tempo ordinario.

Quindicesima domenica durante l’anno

Am 7,12-15/ Ef 1,3-14/ Mc 6,7-13

Dire Dio

A Nazareth Gesù è rifiutato dai suoi concittadini e dai suoi fratelli: non riescono a superare l’apparenza, sono incapaci di guardare alle opere che il Maestro sta compiendo.

Ma, state tranquilli, l’evangelista Giovanni ci dice che, dopo avere ricevuto notizie sull’operato e sulla fama del loro illustre concittadino, cambieranno idea (Gv 4,45).

Potrebbe scoraggiarsi, lasciar perdere, coltivare il piccolo gregge che ha davanti, fondare un piccolo movimento di pensiero senza ulteriori ambizioni. Macché.

L’annuncio gli brucia dentro.

Desidera raccontare a tutti il vero volto di Dio. Spalancare ad altri la possibilità di credere e di lasciarsi amare.

La sua passione e il suo amore diventano creativi.

E inventa la Chiesa.

[ads2] Tranquilli

Probabilmente non aveva in mente i dicasteri vaticani o le gli uffici diocesani per la pastorale.

Il suo sogno era un gruppo di persone che da qui, da ora, da subito, vivessero la logica del Regno, si inebriassero della presenza del Padre, superassero la logica familista e del clan che, come lui stesso aveva sperimentato, rischiava di essere soffocante.

Erano pronti, i suoi discepoli?

No, certo. come lui non avevano seguito nessuna scuola rabbinica, molti non conoscevano nemmeno la Tora.

Ma non era la logica stessa di Dio?

Quella di affidare l’annuncio del Regno a persone balbuzienti, come Mosè?

Quella di chiamare un contadino come Amos, strappato alla sua quotidianità per diventare profeta, per contrapporsi al profeta di corte, Amasia, pagato per applaudire alle opere dell’inutile re Geroboamo?

L’umanità, ancora oggi, anzi: oggi sempre di più, vive sprofondata nelle sue piccole convinzioni, nei suoi giri di testa, nella sue certezze, divorata dalla bramosia e dalla violenza, incapace di guardare in alto.

A questa umanità Dio invia dei profeti.

Noi. Ma a certe condizioni.

Per fare cosa

La finalità è chiara: per proclamare alla gente di convertirsi, per cacciare i demoni, per guarire gli infermi.

La conversione è un atto libero e liberante e solo Dio converte, ci mancherebbe.

Ma l’idea approssimativa di Dio che troppo hanno si può correggere. Molto credono o non credono in un Dio orribile perché, semplicemente, nessuno gli ha parlato di Cristo. O nessuno gliene ha parlato in maniera credibile. Dio converte ma possiamo vivere da convertiti, da salvati: il sale non può perdere il proprio sapore, se abbiamo incontrato il Cristo inevitabilmente si vede!

I demoni da cacciare sono numerosi e attivi: il demone del profitto, dell’egoismo, della violenza, della prevaricazione… Parti oscure che uccidono l’anima, che spengono l’uomo e che, invece, oggi figurano come inevitabili e, a volte, come necessarie e utili. I discepoli sono chiamati a svelare al mondo la verità, anche rispetto alle proprie incongruenze e alla proprie paranoie, svelando le bugie che ci impediscono di vedere.

Come continua a fare papa Francesco, affatto intimidito davanti al mondo, capace di alzare forte la voce (peraltro inascoltata) e denunciare le ipocrisie di un mondo che produce marginalità.

Per guarire gli infermi coloro che non sono fermi, stabili, fissi. Coloro, sempre di più, che vivono senza punti di riferimento, senza certezze che li convincano veramente.

Questo siamo chiamati a fare: invitare al cambiamento, cacciare la tenebra, dare certezze a partire dall’annuncio del Vangelo.

Come

Gesù si preoccupa non solo del contenuto ma a che del metodo, del modo.

I discepoli sono mandati ad annunciare il Regno a due a due.

Non esistono navigatori solitari tra i credenti, tutta la credibilità dell’annuncio si gioca sulla sfida del poter costruire comunità. Al geniale guru solitario Gesù preferisce il faticoso percorso della condivisione fra anime: è l’amore che abbiamo fra di noi che annuncia, non la dialettica spettacolare.

Gesù ci tiene alla scommessa della convivenza, fatta per amore al Vangelo, pone quel a due a due come condizione prioritaria all’annuncio. La Chiesa non è il club dei bravi ragazzi, non ci siamo scelti, Gesù ci ha scelto per avere potere sugli spiriti immondi, anzitutto sui nostri spiriti immondi, i nostri modi di pensare che non sono secondo la purezza di Dio..

La Parola che professiamo e viviamo caccia la monnezza dai cuori, la parte tenebrosa che ci abita.

Fare comunione pone un limite alle ombre che abitano in ciascuno di noi: senza eliminarle, la luce che porta il vangelo ci illumina e, così facendo, ci rende luminosi gli uni per gli altri.

Gesù chiede ai suoi di essere essenziali: la Chiesa non è un’azienda che studia strategie di marketing adatte ai bisogni del mercato, non una holding del sacro che tenta di mantenere il potere, la Chiesa vive in relazione e in funzione del suo Maestro e Signore, attenta a occuparsi del compito affidatole: costruire il Regno in attesa del ritorno del Risorto.

L’organizzazione che si è venuta a creare in questi secoli è funzionale all’annuncio del Regno e tale deve restare. E se non lo è va abbandonata.

La storia ci insegna che troppe volte i compromessi sono stati la morte dell’annuncio.

L’ultima indicazione riguarda il rimanere, il condividere.

Il cristiano non è qualcuno di appartato, di particolare, vive le stesse gioie e gli stessi dolori di ogni uomo, solo è abitato nel cuore da una speranza incorruttibile.

Il cristiano è anzitutto uomo e di un’umanità piena e dirompente, irrequieta e profonda.

Gesù chiede ai discepoli di stare, di vivere con, di appartenere a questo mondo, fecondandolo e facendolo crescere come fa il lievito con la pasta.

Così inizia l’estate: con una gran voglia di dire Dio.

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