Commento al Vangelo del 1 novembre 2015 – mons. Angelo Sceppacerca

Il commento di mons. Angelo Sceppacerca al Vangello della domenica di Tutti i Santi, domenica 1 novembre 2015.

[ads2]Le beatitudini non si commentano. Si ascoltano nell’intimo, sentendosi ai piedi del Signore, su una di quelle dolci colline intorno al Lago di Galilea. Poi le beatitudini si cantano con l’anima, in obbedienza al suo comando: rallegratevi ed esultate! Chiamato il vangelo delle beatitudini, al plurale, perché ne sono elencate otto; così come la festa di oggi è quella di “tutti i santi” perché sono senza numero.

E’ il primo grande discorso che Gesù rivolge alle folle, il suo manifesto, annunciato sulla cattedra di una montagna, dichiara beati i poveri in spirito, gli afflitti, i misericordiosi, quanti hanno fame della giustizia, i puri di cuore, i perseguitati. Lui, vero Dio e vero uomo, tocca la condizione umana e si rivolge a tutto il mondo, nel presente e nel futuro. Non è ideologia, ma solo la sequela lo può comprendere per sperimentare il Regno dei Cieli spalancato. Papa Benedetto ha usato parole tenerissime: «Le Beatitudini sono la trasposizione della croce e della risurrezione nell’esistenza dei discepoli». E riporta quelle di un antico eremita: «Le Beatitudini sono doni di Dio, e dobbiamo rendergli grandi grazie per esse e per le ricompense che ne derivano, cioè il Regno dei Cieli nel secolo futuro, la consolazione qui, la pienezza di ogni bene e misericordia da parte di Dio … una volta che si sia divenuti immagine del Cristo sulla terra».

Se proprio dobbiamo fare un commento del Vangelo delle Beatitudini allora abbiamo bisogno della storia della Chiesa, la storia della santità cristiana; come ha scritto san Paolo: «quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono».

Sì, anche in questi giorni, la Chiesa non teme la povertà, il disprezzo e la persecuzione, ma tutto sopporta per il nome di Gesù, non solo con serenità, ma anche con gioia. Nella Chiesa, in prima fila (e dietro ci sono quelle infinite di tutti i santi) c’è la Vergine Maria, la Beata per preminenza. Facciamo nostro il suo cantico di gioia: “L’anima mia magnifica il Signore perché ha guardato all’umiltà della sua serva”.

Che dire della beatitudine dei puri di cuore?. Per vedere Dio ci vuole il cuore, la sola ragione non basta. Il cuore puro è quello intimamente aperto e libero, come quello di Gesù; lui vede Dio e anche noi lo vedremo se uniti a Cristo.

Mons. Angelo Sceppacerca

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