Commento al Vangelo di domenica 2 aprile 2017 – don Marco Pozza

Le arance di Lazzaro e la bara-su-misura

fotografia di don Marco Pozza
don Marco Pozza

In quella casa Cristo amava mostrarsi veramente uomo. Era come se, per il tempo che vi sostava, lasciasse la sua divinità fuori dalla porta, quasi fosse un qualcosa d’ingombrante in quello spazio amico. Quella casa è il numero civico di tre fratelli: Marta, Maria, Lazzaro. Gente alla-buona, che non ha mai chiesto il minimo favore all’Amico. Forse è proprio per questo che vi fa sempre ritorno. Da quanto si conoscessero, il Vangelo non esprime parola. Il tutto che dice vale molto di più: «Gesù amava Marta, sua sorella e Lazzaro». La qualità di modo a scapito della quantità di tempo: sarà sempre così dietro a Cristo. Questo è tutto.

Un giorno capitò un fatto strano. Cristo era in trasferta in Transgiordania e, improvvisamente, gli viene mandata un’ambasceria. Il contenuto è da vertigini: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». L’oggetto del discutere è Lazzaro, e dunque non uno qualsiasi: l’amico-personale di Cristo. Ciò che t’immagini è che Cristo dia un’accelerata, firmi un improvviso cambio di percorso e s’affretti prima possibile a Betania. Niente di tutto ciò, esattamente l’opposto: «Quando sentì che era malato rimase due giorni nei luoghi in cui si trovava». Siccome Lazzaro ha bisogno, l’Amico pare fregarsene. E due giorni, per chi ha appuntamento con la morte, sono un lasco di tempo enorme, decisivo, definitivo. Letale. Succede sempre così, con Cristo: quando serve, fatalità, è sempre lontano. Dista almeno il tempo che serve per lasciare che la morte faccia il suo corso.

A Betania, nella greppia di Auschwitz, sotto il cielo di Hiroshima, ad Alatri. Quando papà scoprì d’avere un cancro, quando anche la mamma barcollava. Eppure, in ginocchio, l’avevano avvisato: “Ci sono milioni di ebrei in quel campo, c’è un ragazzo che stanno martellando, c’è un padre che il male sta scartavetrando”. L’accusa, nei confronti di Cristo, è spietata: omissione-di-soccorso. La firma Marta, a nome di tutta l’umanità: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto». E Dio, che mai ha cercato di giustificare se stesso, nemmeno stavolta pare dare una giustificazione: «Se credi, vedrai la gloria di Dio». Credere è all’indicativo, il verbo vedere è declinato al futuro: credere per vedere, non vedere-per credere come dice il mondo. “Cerca di capire, poi deciderai se amare o no”. Anche no, rilancia Cristo: “Cerca di amare, per poi tentare di capire”. La logica sta nel suo esatto contrario: vedere, per poi rischiare di credere.
Dio è sempre sotto esame, sotto-accusa nel migliore dei casi.

Non per Marta, cuore-indaffarato: «Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio». Affidabile, Cristo: se credi, che cosa sono quattro giorni di morte, il fetore della carne divorata dai vermi, lo strazio di chi bestemmia l’assenza del Cielo? «Io sono la risurrezione e la vita». Una risurrezione che non nasconde il suo pianto: come me, come te, come Marta e Maria, come la vedova di Nain, al pari degli amici suoi. Anche Cristo piange, non se ne vergogna: il pianto, per chi ama, è una forma di cortesia, un gesto di nobiltà, un’occasione d’amore. «Vieni fuori (…) Liberatelo, lasciatelo andare!». Lazzaro è risorto per le lacrime di chi lo amava, da Cristo fino all’ultimo cuore di Betania: solo l’amore fa risorgere anche i morti. Solo l’amore fa incattivire i viventi: se molti Giudei credettero in Lui, altri si affrettarono ad allarmare i pontefici, i quali in un batter d’occhio imbastirono il consiglio per farlo-fuori. «Più sfolgorante p il miracolo, più l’imposteore appare temibile, e più essi indurano nella risoluzione d’abbatterlo» (F. Mauriac).

Alla fine del 2004 è morta a Filadelfia una bambina di otto anni, Alexandra. Quattro anni prima, quando le era stato diagnosticato un cancro, le balenò in testa un sogno: allestire un baracchino per vendere limonate e raccogliere fondi alla ricerca per i bambini colpiti dalla sua malattia. La mamma, col sorriso triste, le disse che sarebbe stato difficile raccogliere anche 50 centesimi per volta. Lei rispose: “Non m’importa, ci provo” Il 12 giugno 2004 era riuscita a mobilitare per la causa il suo paese, l’America, il Canada, la Francia. Ad oggi i chioschi delle limonate di Alexandra si sono moltiplicati in tutto il mondo, diventando un punto d’incontro. C’è chi si adatta in anticipo alla bara, e chi accetta di risorgere.

don Marco Pozza

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