CEI – Commento al Vangelo della Domenica della Divina Misericordia – 16 Aprile 2023

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La seconda Domenica di Pasqua in albis deponendis segna il termine del percorso di formazione sacramentale di coloro che sono stati battezzati la notte di Pasqua. Nella liturgia orientale è chiamata anche Antipascha in quanto chiude l’ottava e gode della stessa solennità del giorno della risurrezione del Signore. Se il Vangelo nella Domenica di Risurrezione ci fa guardare al sepolcro vuoto, nella II Domenica di Pasqua fissa il nostro sguardo sul corpo risorto di Cristo.

Attraverso la figura dell’apostolo Tommaso la liturgia ci provoca sul tema della fede nei segni della risurrezione del Signore. La confessione di fede di Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28) indica la risposta del credente al Cristo risorto. Non può essere però, ed ecco il richiamo del Signore a Tommaso, una fede individualistica, ma come ricorda la prima lettura è l’esperienza comunitaria che permette di crescere nella fede. Per volere di san Giovanni Paolo II dal 2000 questa domenica è denominata della “Divina misericordia”. In quest’ottica possiamo riconoscere come la comunità cristiana è il luogo dove accogliere la presenza del Signore risorto e dove poter gustare la sua misericordia.

La domenica successiva a quella di Pasqua è denominata tradizionalmente Domenica in Albis; era la domenica in cui le vesti bianche dei battezzati, dopo il periodo del Catecumenato, venivano deposte. Nei primi secoli della Chiesa, infatti, il battesimo era amministrato normalmente ad adulti durante la Veglia della notte di Pasqua e i nuovi battezzati ricevevano una veste bianca, segno della vita nuova. Questi battezzati la portavano per tutta la settimana dell’Ottava di Pasqua.

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La seconda Domenica di Pasqua, inoltre, è detta anche, per volere di San Giovanni Paolo II nell’anno giubilare del 2000, Domenica della Divina Misericordia.

In questo Tempo Pasquale la liturgia ci presenta tutti gli avvenimenti che riguardano la Risurrezione del Signore e i miracoli che continua a compiere.

Nel brano degli Atti degli Apostoli, prima lettura, vedimo la carta d’identità di ogni comunità di battezzati, disegnata, anche oggi, sulla fedeltà a quattro partecipazioni che caratterizzavano le prime Comunità cristiane.

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«Erano perseveranti nell’insegnamento degli Apostoli»: partecipavano, cioè, con assiduità all’ascolto della predicazione apostolica che li ve- deva convocati attorno a quella Parola, annunciata dapprima oralmente e poi letta anche nei testi scritti.

«… nella comunione»: attorno a quella Parola annunciata e accolta con assiduità, cresceva la comunione fraterna e l’unità stessa della Comunità.

«… nello spezzare il pane»: l’Eucaristia, definita come spezzare il pane, rimandava al gesto di Gesù nell’ultima Cena, gesto che indicava l’unico pane diviso fra tutti come comunione con lui e tra i discepoli, partecipi della stessa vita, degli stessi doni e dello stesso destino di Gesù; condividevano così il perdono, la riconciliazione, la comunione con Cristo.

Infine «… nelle preghiere»: costante riferimento che accompagnava la giornata della Comunità e dei singoli battezzati.

Nello stesso testo degli Atti, inoltre, viene sottolineata l’atmosfera che caratterizzava la vita e lo spirito della Comunità cristiana: condivisione di beni, condivisione della preghiera, letizia e semplicità di cuore, favore del popolo e adesione di nuovi membri alla comunità.

Coloro che comprendono il dono del Battesimo, ci ricorda nella seconda lettura l’apostolo Pietro, si aprono subito a benedire e ringraziare Dio Padre per ciò opera in loro. Egli è origine della vita nuova (veniamo rigenerati), ci rende partecipi ed eredi della stessa vita di Cristo risorto, «eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce», partecipi, cioè, della vita divina. Il battezzato affronta le grandi prove, come ha fatto lo stesso Gesù; non viene meno in lui quella speranza viva fondata sulla fedeltà e misericordia di Dio, speranza che gli permette di essere «ricolmo di gioia» anche nelle tribolazioni. Egli sa di procedere nella via della salvezza che ha iniziato a percorrere con il battesimo, immerso nella Trinità: «Perciò – ricorda l’Apostolo – esultate di gioia indicibile e gloriosa».

Il brano del Vangelo di Giovanni ci riporta alla sera del primo giorno della settimana. Gesù era stato crocifisso e sepolto. Fin dal mattino presto erano cominciate a circolare delle voci che qualcuno aveva incontrato Gesù, vivo: così affermavano Maria di Magdala e le donne. Altri, Giovanni e Pietro, riferivano di avere visitato il sepolcro dove era stato posto il Maestro, e l’avevano trovato vuoto.

I discepoli di Gesù, in gran parte Galilei, temevano che l’autorità giudaica potesse in qualche maniera contrastare o combattere la loro presenza. La paura era grande. Meglio, quindi, stare chiusi in casa e non parlare in giro. Ma ecco che, in quel luogo, improvvisamente “venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco” (Gv 20,19-20).

Questo brano narra due fatti: Gesù che appare ai discepoli e l’incredulità di Tommaso che vuole toccare le mani e il fianco per essere certo che Gesù sia proprio risorto.

È l’esperienza che spesso desideriamo anche noi. Non sempre ci soddisfano le testimonianze degli altri, vogliamo constatare di persona. Come dire: cerchiamo anche noi il miracolo, in quanto fatichiamo a fidarci della testimonianza altrui. Il messaggio che Gesù reca ai suoi discepoli, mentre erano radunati in un luogo segreto, per paura di essere arrestati, è quello della pace: «Pace a voi». A questo saluto segue il dono dello Spirito, quel dono (il Consolatore) che egli aveva promesso, per mezzo del quale avrebbero conosciuto la Verità e il senso della missione di Gesù e di quella affidata a loro.

Otto giorni dopo anche Tommaso vede il Signore e ha la possibilità di mettere le sue mani sulle ferite per constatare la veridicità della testimonianza dei discepoli. Gesù lo invita a credere, così come invita noi con la beatitudine: «… beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!»

Tommaso, che non era presente la sera di Pasqua, può pacificare i suoi dubbi, e «vedere e toccare» Gesù risorto, diventando anche lui come gli altri «testimone della Risurrezione».

Il gesto di Tommaso e le parole di Gesù, insieme a tanti altri gesti compiuti sotto gli occhi degli apostoli, sono stati raccontati e tramandati anche per tutti noi perché possiamo giungere alla fede nel Signore Gesù. Per questo ci raduniamo, ogni domenica, ad ascoltare quella Parola, trovandoci anche noi nella condizione, ricordata, dall’apostolo Pietro, di amare Gesù e di credere in lui senza vederlo.

La beatitudine di Gesù abbraccia i cristiani di tutti i tempi, coloro cioè che, pur non avendo avuto l’opportunità di Tommaso, giungeranno a credere in lui. E’ per noi fonte di fiducia e di speranza. La nostra vita, infatti, non sarà un esistere per la morte, perché Gesù ha vinto la morte e la forza del male. In mezzo alle difficoltà e alle angustie dell’esistenza colui che ripone la propria fiducia e speranza in Gesù Cristo può “trovare pace”. Il nostro sperare e credere non è un’illusione, perché ha come fondamento Colui al quale ognuno di noi può dire con verità, come Tommaso:

«Mio Signore e mio Dio!».

Con la morte di Gesù, morte orribile e scandalosa, sembrava finito tutto nel peggiore dei modi: la vita dissolta di Gesù.

Le porte del Cenacolo erano chiuse: dolore e paura confondevano gli apostoli.

“Che cosa facciamo adesso?” si saranno chiesti coloro che avevano seguito il Maestro.

Mancava la forza per mettere in atto qualsiasi iniziativa.

Gli apostoli si trovavano in quella particolare situazione umana che tante volte alberga anche nei nostri pensieri: «Dio nostro, perché ci hai abbandonato? Come hai potuto rimanere inerte di fronte allo strazio del corpo di Gesù?»

Ma improvvisamente compare Gesù: «Pace a voi!». Una gioia improvvisa scaccia la tristezza e genera speranza. Gesù ribadisce:

«Sono io». Dio è l’amore che non viene mai meno in ogni situazione, anche la più tragica. Esperienza esplosiva quella dell’amore di Dio, che manda in missione a diffondere il suo perdono, a proclamare la sua misericordia, che è amore e accoglienza soprattutto per i poveri.

Tommaso torna; non capisce che cosa sia successo. Gli amici hanno ricominciato a vivere, a sperare, a progettare. C’è vita, dove prima c’era la morte.

È l’effetto della presenza di Gesù risorto.

“Non è vero che Gesù è risorto – pensa Tommaso – siete dei suggestionati, vi siete condizionati a vicenda, in preda a vuote allucinazioni. Chi è morto è morto.”

«Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco…»: cancella pregiudizi e false convinzioni, cambia lo sguardo, lasciati sorprendere da un Dio molto diverso da te, sembra dirgli il Risorto. Credi a questo Dio, affidagli il tuo cuore e allora vedrai senza vedere.

«Mio Signore, mio Dio!»: Tommaso adesso ha capito. E può anche lui ricominciare a vivere.

Il saluto del Risorto: «Pace a voi», è un saluto che oltrepassa quello che potremmo definire il significato ordinario, in quanto Gesù dona ai discepoli la forza di vincere lo scandalo della croce e di superare le ripercussioni che avranno nella loro vita, lungo il cammino di annuncio del Regno. Usciranno dalle loro paure e percorreranno paesi e città e annunceranno Gesù il Messia tanto atteso e in lui saranno benedette tutte le genti.

Con il Salmo 117 (118), a conclusione del Giorno di Pasqua, che si è prolungato per una settimana intera, rendiamo grazie perché il Signore Dio ha compiuto in Cristo e continua a compiere anche in noi la medesima vittoria sulla morte: rallegriamoci ed esultiamo e con il cuore ripetiamo: «Rendete grazie al Signore perché è buono, perché il suo amore è per sempre».

Fonte: il sussidio Quaresima/Pasqua CEI

A cura dell’Ufficio Liturgico Nazionale, con la collaborazione del settore per l’Apostolato Biblico dell’Ufficio Catechistico Nazionale, del Servizio Nazionale per la Pastorale delle Persone con Disabilità e di Caritas Italiana