card. Gianfranco Ravasi – Una casalinga distratta e la gioia da condividere

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Gesù era un oratore affascinante, un rabbì che «insegnava come uno che ha autorità e non come gli scribi» (Matteo 7,29), al punto che alcuni di questi ultimi erano costretti a riconoscere: «Maestro, hai parlato bene! E non osavano più fargli alcuna domanda» (Luca 20,39-40). Sappiamo, poi, che nei suoi discorsi egli partiva spesso dalla vita quotidiana. È il caso di una delle tre parabole che occupano il c. 15 del Vangelo di Luca. Noi scegliamo la seconda, dopo quella della pecora dispersa nel deserto e prima della storia del figlio che scappa di casa.

Il motivo della scelta è nella linea della nostra rubrica dedicata alle figure femminili del terzo Vangelo. In scena c’è una casalinga un po’ distratta che ora è curva sul pavimento di terra battuta della sua modesta casa orientale. Ha contato, infatti, il suo tesoretto di dieci dracme d’argento e, con terrore, s’è accorta di averne smarrita una: la ricerca si fa frenetica, con una lucerna va negli angoli più riposti, spazza quella superficie polverosa, fissa lo sguardo su ogni centimetro quadro e alla fine ecco un grido. Là, in un angolo, brilla la moneta e la gioia prorompe. Non la si può tenere solo per sé. «Chiama le amiche e le vicine e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduta!”». E Gesù da questo quadretto di vita giornaliera urbana trae la stessa lezione che aveva proposto nella precedente scenetta di vita nomadica pastorale da noi sopra citata, ossia nella parabola della pecora perduta e ritrovata: «Vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte» (Luca 15,10; si veda 15,7). Cristo ha afŠfidato il suo messaggio di speranza nel Regno di Dio soprattutto attraverso le sue parabole.

Egli coinvolge i suoi ascoltatori evocando il mondo in cui vivono e agiscono, un mondo popolato di anti-eroi: bambini che giocano nelle piazze, costruttori di case e di torri di custodia nelle vigne, portieri di notte, servi, contadini, pescatori, pastori, figli diffiŠcili, debitori e creditori, braccianti e fiŠttavoli, amministratori corrotti, miserabili che mendicano sulle soglie dei palazzi, vedove indifese ma coraggiose davanti a magistrati inerti e casalinghe, come appunto accade nel nostro caso.

L’orizzonte è quello dei terreni aridi, delle erbacce e delle scarse messi, delle vigne, delle pecore, dei cani, degli uccelli, dei gigli, dei rovi, degli alberi, dei venti, dei lampi, delle piogge, delle arsure, dei pesci, delle serpi, degli scorpioni, dei tarli e così via. Nulla è insigniŠficante, tutto può diventare la frontiera oltre la quale si aprono le distese inŠfinite del Regno di Dio. Nelle parole di Cristo, così «pesanti» di umanità, di cose, di eventi, di quotidianità, brilla l’Incarnazione mistero centrale del cristianesimo: il Verbo divino ed eterno si fa «carne», ossia storia, mondo, tempo, spazio, esistenza.

E in questo orizzonte uno spazio signifiŠcativo è lasciato anche a quelle fiŠgure silenziose che erano le donne nella società e nella cultura dell’antico Vicino Oriente. È ciò che ormai da settimane stiamo sperimentando e sarà un fiŠlo narrativo evangelico che continueremo a dipanare a lungo.

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