Card. Gianfranco Ravasi – La forza di vincere ogni scetticismo

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«O tu che mi ascolti, in pena viva o in letizia (e più se in pena) apprendi da chi ha molto sofferto, molto errato, che ancora esiste la Grazia e che il mondo – tutto il mondo – ha bisogno d’amicizia». Sono alcuni versi del Canzoniere del grande poeta triestino Umberto Saba (1883-1957). Il suo canto umile, che €fiorisce dal deserto di una vita sofferta, diventa una celebrazione della Grazia divina che si manifesta nel dono dell’amicizia.

E che questo sia un dono divino appare nella scena di vocazione che ora introduciamo. Nella scorsa puntata avevamo evocato un primo quadro tratto dal Vangelo di Giovanni. In esso, in un’area vicina alla riva orientale del Giordano, nel villaggio non meglio noto detto di Betania (quello che noi conosciamo è nei pressi di Gerusalemme ed è la patria di Lazzaro), i due fratelli Andrea e Simon Pietro e un altro discepolo innominato avevano incontrato Gesù ed erano stati chiamati a “seguirlo” (1,35-42).

«Il giorno dopo Gesù volle partire per la Galilea», e in quella regione è ambientato il secondo quadro con un altro racconto di vocazione che vede come protagonisti due altri futuri discepoli (1,43-51). È qui che scatta il legame di amicizia che favorisce una vocazione alla sequela di Cristo. Entra in scena per primo Filippo che era concittadino di Andrea e Pietro, pescatori di Betsaida sul Lago di Galilea. Continua, quindi, una sorta di catena d’amicizia che attira persone diverse all’incontro con Gesù, come era accaduto con Andrea che aveva portato il fratello Simon Pietro da Cristo.

Filippo, dal nome greco (“amante dei cavalli”), apparirà a più riprese nel quarto Vangelo. Ora è presentato per la sua capacità di attrarre verso Gesù un suo conoscente che incontra per strada, Natanaele, letteralmente in ebraico “Dio ha dato”. La reazione di questo personaggio è, di primo acchito, repulsiva, dopo aver appreso che Gesù proviene da un modesto villaggio come Nazaret, tra l’altro ignoto all’Antico Testamento. Ma alla €fine cede e incontra quel nuovo profeta di cui si parlerebbe – stando a Filippo – nella Sacra Scrittura.

Appena l’ha di fronte, Gesù lo stupisce sia con un elogio («un Israelita in cui non c’è falsità»), sia con una sorprendente anticipazione: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quand’eri sotto l’albero di fi€chi». La reazione di Natanaele sorprende invece noi: «Rabbí, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!».

Perché mai un passaggio così istantaneo dallo scetticismo alla fede? La risposta sta forse nel fatto che, nella tradizione giudaica, segno distintivo del Messia-profeta-re era la conoscenza delle realtà nascoste. Alcuni, anzi, ritengono che Gesù abbia alluso a una funzione di rabbí dello stesso Natanaele, dato che i maestri giudaici amavano insegnare all’ombra di alberi di fi€chi.

Ma Cristo, evocando il sogno del patriarca Giacobbe con la visione di una scala tra cielo e terra percorsa da angeli, fa balenare a questo nuovo adepto il proprio futuro pasquale quando sarà «elevato» da terra per essere glorifi€cato come Figlio di Dio nel «cielo aperto». Quale sarà, invece, il futuro di Natanaele? Di lui non si parlerà più nei Vangeli; la tradizione lo ha, allora, identi€ficato con Bartolomeo che appare nell’elenco dei Dodici senza altra attestazione. C’è, invece, chi, a causa del nome, lo ha ricondotto a un altro apostolo, Mattia, il sostituto di Giuda, il cui nome in aramaico signifi€ca “dono del Signore”, proprio come l’ebraico “Natanaele”.

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