card. Gianfranco Ravasi – Gesù elogia i due spiccioli della vedova

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Sulla scia dell’Antico Testamento Gesù ha rivelato un’attenzione particolare nei confronti delle vedove, che erano prive della tutela del marito, colui che – in una struttura sociale a matrice maschilista e patriarcale – assicurava loro un’identità giuridica e una protezione. È per questo che la Legge biblica ammoniva: «Non maltratterai la vedova e l’orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l’aiuto, io darò ascolto al suo grido» (Esodo 22,21- 22). Il Signore è, perciò, interpellato come «padre degli orfani e difensore delle vedove» (Salmo 68,6). Lo stesso Gesù denunciava in modo esplicito la classe borghese e aristocratica di allora perché «divorano le case delle vedove e pregano poi a lungo per farsi vedere» (Luca 20,47).

L’ipocrisia religiosa come alibi per nascondere l’ingiustizia sociale era stata già martellata duramente dai profeti. Cristo trasforma, poi, a più riprese, la vedova in un modello da imitare e Luca, tra tutti gli evangelisti, è il più netto nell’esaltare questa figura femminile. Gesù la loda per la sua insistenza nei confronti della magistratura inerte e corrotta (18,1-8); è accanto alla sua sofferenza tragica per la perdita di un figlio (7,11-17); ne viene segnalata la vita orante, come nel caso della vecchia Anna (2,36-38); la si propone come un esempio di autentica generosità.

È questo il tema che ora affrontiamo attraverso una scenetta a cui assiste Gesù mentre si trova nel tempio di Gerusalemme. Nei cortili c’erano come delle trombe aperte piantate nel terreno nelle quali i fedeli versavano le loro offerte per il culto. Sia Marco (12,41-44), sia Luca ricordano il termine greco con cui si definiva questa struttura, gazophylákion: si tratta, in realtà, di due vocaboli. L’uno (gáza), di origine persiana, designa la “ricchezza”, i fondi finanziari di una famiglia o di uno Stato (il “ministero del Tesoro”, come si ha in Atti 8,27 a proposito dell’alto funzionario della regina di Etiopia Candace, convertito dal diacono Filippo). L’altro termine è phylákion che in greco significa “custodia”.

Ebbene, Gesù non bada ai ricchi che con ostentazione mostravano le loro offerte importanti. Egli, invece, punta i suoi occhi su «una vedova povera». Essa stringe tra le mani due leptá, “spiccioli” di poco valore, che certo nessuno avrebbe notato. Le parole di Cristo suggellano quell’atto con un elogio appassionato che non ha quasi bisogno di commento: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere» (Luca 21,3-4).

Quelle due monetine assurgono a simbolo di un atto che l’evangelista spesso sottolinea quando riferisce le parole di Gesù: il distacco totale dai legami e dalle cose che appesantiscono il cammino del discepolo. Una donna misera, ignorata dalla società, allo sguardo di Cristo si erge come un emblema a cui tutti dovrebbero fare riferimento per essere partecipi del Regno di Dio.

Fonte: Famiglia Cristiana