Il Vangelo ci abitua ad un rovesciamento di prospettive, ci ricorda che siamo nel mondo ma che non apparteniamo ad esso.
Segno evidente del nostro essere figli di Dio è il fatto che le logiche di questa realtà non dovrebbero irretirci, perché la nostra prospettiva è capace di puntare oltre, ben più lontano di quel che viviamo e di cui facciamo esperienza ora.
Per questo Gesù si esprime con modi di parlare paradossali, al limite della nostra comprensione; egli ci abitua ad una logica che è estranea alla concretezza di questo nostro essere umani, ci istruisce ad una visione ulteriore.
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La tristezza dei discepoli di tutte le epoche si tramuterà in gioia, in compiutezza, quando questi realizzeranno che la morte del Cristo Gesù non è definitiva, ma un passaggio al fine del trionfo della vita, una liberazione dal peccato.
La nostra visione è temporanea e parziale, così come lo sono le nostre vite nello scorrere del tempo. Accettiamo, dunque, di essere al mondo senza la pretesa di aver compreso tutto o di poter mai diventare in grado di farlo, fidiamoci del fatto che il Signore ci indica una via di salvezza e di pace, più grande della nostra piccolezza.
Affidiamoci allora con buona volontà , operosi in Dio, desiderosi di prendere parte al suo disegno.
Per riflettere
La nostra tristezza si trasformerà in giubilo quando conosceremo le cose con pienezza. Per ora quel che abbiamo è una promessa, a cui con fede ci affidiamo. Lasciamo allora che questa nobile speranza plasmi i nostri giorni, le nostre aspirazioni, disseti le nostre urgenze e dia orizzonte alle nostre prospettive inquiete. Esercitiamoci nel dare fiducia al Padre.
FONTE: Ascolta e Medita – Centro Pastorale per l’Evangelizzazione e la Catechesi