Angelo Sabatino – Commento al Vangelo del 21 Gennaio 2024

Parlare di compimento suppone che una continuità colleghi le tappe del disegno di Dio e  che gli uomini ne abbiano conoscenza. A tal riguardo il libro della Sapienza (8,8)  ci ricorda che: «se uno desidera anche un’esperienza molteplice, ella (la Sapienza) conosce le cose passate e intravede quelle future, conosce le sottigliezze dei discorsi e le soluzioni degli enigmi, comprende in anticipo segni e prodigi e anche le vicende dei tempi e delle epoche». 

Con l’inaugurazione dell’ultima di queste tappe i tempi sono compiuti, non solo le Scritture e la Legge ma tutta l’economia dell’antica alleanza è portata da Dio alla pienezza. La pienezza del tempo è Gesù di Nazaret che ha preso la carne umana ed ha vissuto sulla terra una vita simile a quella di ogni essere umano.

Al termine di questo ultimo periodo della storia intesa come la “fine dei tempi” arriverà un’altra fine, quella del tempo cioè il giorno della venuta di Cristo della sua rivelazione e del suo giudizio. Ma come interpretare questa seconda venuta di Cristo?

Nella teologia attuale si sono aperte diverse prospettive che si riflettono sul concetto di seconda venuta. 

In una di queste la seconda venuta non sarebbe un evento conclusivo, che accade all’improvviso simultaneamente per tutta l’umanità, ma un processo di compimento della storia dell’umanità in cui il Risorto diventa palese a tutti perché ognuno raggiunge definitivamente il termine della propria salvezza o perdizione e «”ritorna” in quanto tutti giungono a lui».

Secondo un’altra prospettiva il giudizio finale costituisce un momento di effusione di “amore misericordioso e salvifico”, perdendo le caratteristiche intimidatorie della pastorale tradizionale, e la seconda venuta, pur restando un evento conclusivo della storia, diventa l’inizio di questa fase.

La bellezza della teologia è che essa rappresenta un campo sempre aperto proprio perché Dio non si esaurisce nelle nostre scoperte ma va sempre oltre. Ovviamente la teologia deve anche procedere secondo una scientificità delle scoperte, delle informazioni e deve avere un metodo non bizzarro che tenga conto di molti fattori.

Il vangelo oggi ci presenta la chiamata di quattro discepoli: Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni. Una scena che scorge l’ordinario di quattro pescatori, forse stanchi e scoraggiati ma con un lume di speranza che li porta ad accogliere la chiamata di Gesù che li rivolge il famoso “seguitemi”, alla lettera “venite dietro a me”. 

Sono sicuro che loro non avevano realmente compreso il significato delle parole del maestro: «vi farò diventare pescatori di uomini» ma la bellezza di questa chiamata sta nell’adesione fiduciosa di un cammino pieno che si scoprirà cammin facendo…

Oggi per noi è facile comprendere le parole di Gesù perché ora sappiamo il significato di quel “pescatori di uomini” e possiamo dire che a parte un momento iniziale di smarrimento dei discepoli poi realmente sono stati dei veri evangelizzatori della vita buona che il loro Maestro stava realizzando in loro e che voleva arrivasse a tutti gli uomini fino ai confini della terra. 

Ed oggi? Le nostre vite possono considerarsi piene, belle, realizzate, simili alla vita di Colui che ha voluto la nostra felicità? Lo smarrimento di una chiamata è normale, anche la stanchezza è normale, così come lo scontrarsi con i propri e gli altrui limiti.

L’importante è non far diventare queste esperienze una routine quotidiana perché sarà a quel punto una chiamata sterile che non servirà ne a noi ne agli altri. Nessuno è un’isola e la bellezza del cristianesimo risiede proprio nella comunione di coloro che sanno farsi fratelli e sorelle tra loro e tra coloro che il buon Dio porrà sul loro cammino.