p. Giovanni Nicoli – Commento al Vangelo del 10 Settembre 2023

215

Vorrei imparare a vivere come la sentinella: attento, sempre. Non vigile contro i nemici. Non come una sentinella di quelle che tengono lontano i pericoli armando gli occhi e gridando allarmi. No, vorrei imparare a essere un uomo attento prima di tutto al suono delle Sue labbra “quando sentirai dalla mia bocca una parola”. Un uomo coraggioso, capace di perdere tutto pur di non perdere la verità.

Come vorrei essere come una sentinella non impaurita dalla vita, non una che guarda l’orizzonte per chiudersi in difesa e non permettere invasioni… ma uomo coraggioso prima di tutto con se stesso. Il profeta Ezechiele è un portatore di avvertimenti divini e corpo che si assume il rischio di entrare in relazione con il male, perché la vita non la si cambia condannandola ma assumendola. Una sentinella attenta e disponibile a compromettersi.

Non sono preoccupato per la mancanza di gente tra le mura della chiesa, quello in fondo è un segno anche buono, sono preoccupato per la vita dura in assenza di sentinelle, sono preoccupato di non farcela a camminare fino al cuore profondo della Parola, perché non bastano i maestri serve qualcuno che si prenda cura di me e che sia disposto a condividere il mio destino. Sono preoccupato perché se non trovo profeti veri, gente che si lascia compromettere dalla mia miseria io del Vangelo sentirò sempre un sapore lontano, un vago profumo rassicurante.

- Pubblicità -

Come vorrei che rimanesse solo l’amore, adesso, solo la Carità. Solo la forza che feconda la vita. Sogni del paradiso che sarà. Ma forse almeno si può ripetere che se non danza l’amore dentro le leggi che reggono il mondo a nulla vale appellarsi al diritto. Che unico nostro diritto è di essere amati, e ugual cosa nel conto dei doveri.

Come vorrei che tutta l’impalcatura si svelasse per quel che deve essere: un grande immenso pretesto. Ogni cosa è un pretesto, ogni respiro, ogni inchino, ogni lacrima, ogni cammino. Ogni oggetto di questa stanza, ogni libro, ogni poesia, ogni incubo, ogni dolore. Ogni utensile della cucina, ogni pagina del vangelo, ogni ramo di questo bosco che chiede di essere guardato oltre l’orizzonte del mio computer, ogni goccia di questa pioggia estiva e ogni preoccupazione che non smette di torturare il cuore. E anche la Legge ceda l’abito del comandamento e si sveli per quello che è: un pretesto per amare, per sentirsi responsabili della felicità di ogni uomo. Una Chiesa che si converta alla carità, che cambi per amare, per non aver altro debito se non “l’amore vicendevole”.

Come vorrei imparare a chiamare e a sentire fratello ogni persona che commetterà una colpa contro di me. Il primo modo per smascherare il male e impedirgli di inventare nomi nuovi: che la colpa non ci trasformi in nemici. Il primo gesto profetico della sentinella è sentire fratello soprattutto chi compie il male, è sentirsi parte del grande universo, sentirsi un corpo solo con gli uomini, gli animali, le piante e l’aria. E se il male colpisce a qualsiasi livello sentirsi feriti. Come fratelli.

Essere immersi in una specie di compassione cosmica. È liberazione divina che diventa dono mio: non interessa ciò che capita, mi interessa come la vivo!

Zitto per imparare a piangere il volto della vita è sfregiato, a evitare di assumere con orgoglio mascherato di dolore il ruolo della vittima, a sentirsi se non colpevole almeno responsabile di far parte di un mondo che si scorda di essere solo il pretesto per mostrare il volto dell’amore.

E non cogliere mai l’occasione per la vendetta, mai. Se qualcuno mi fa del male è doppiamente colpevole usare lo stesso odio per alimentare fuochi vendicativi.

Anche se sono vittima giusto sarà non parlarne con nessuno così da tenere a bada l’onda di risentimento. Oppure parlarne direttamente solo con chi mi ha fatto male. Ma parlarne solo se in cuore lo si considera ancora davvero fratello.  

Che cessino le prediche di chi non soffre con il carnefice. Se l’altro non lo amo, se non mi sento sentinella compassionevole della sua storia devo stare muto, per sempre. Ogni parola mi trasformerebbe in carnefice.

E se invece gli parlo e lui ancora non mi ascolta ecco la prima impresa a cui sono chiamato, perché io, la parte lesa, sono il soggetto di questo movimento di riconciliazione (magnifico il vangelo, del colpevole non dice nulla!), io dovrò cercare due o tre testimoni. Testimoni dell’amore. Profeti compassionevoli.

Sono sicuro che se dovessi trovarli, se riuscissi a trovare due o tre persone che sanno testimoniare amore vero, tre persone capaci di ascoltare il dramma mio e di chi mi ha fatto male con sincera compassione io sono sicuro che la mia vita sarebbe già cambiata.

Alla fine siamo chiamati a rivolgerci alla Comunità.  Una Comunità, una Chiesa capace di verità e di compassione, che non giudica, che sente si sente responsabile del dolore, che non finge, che non ha paura di dire la verità e di mostrarsi complice del male, che non ha paura di perdere la faccia, che si fa carico della felicità dei suoi figli, che non miete più vittime, che si sente responsabile anche di me.

Ecco, se trovassi una Comunità così, anche solo per un istante, mi scoppierebbe il cuore di gioia, avrei conosciuto il Vangelo e correrei ad abbracciare il fratello che, facendomi del male, mi ha portato a vivere la possibilità concreta del Vangelo.

FONTE
SITO WEB | CANALE YOUTUBE | FACEBOOK | INSTAGRAM