Commento al Vangelo di domenica 22 ottobre 2017 – don Mauro Orsatti

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VALORE COMMERCIALE E VALORE TEOLOGICO DI UNA MONETA

Discussione sulla tassa all’imperatore

Mt 22,15-22

Il confronto tra autoritร  umana e autoritร  divina ha innescato una discussione che il tempo non riesce a smorzare. Partendo dal brano che discute la liceitร  o meno di pagare le tasse all’imperatore, sono affiorate numerose interpretazioni che oscillano su un ampio ed eterogeneo arco di possibilitร .

Qualcuno vi ha letto una netta distinzione tra sfera temporale e sfera spirituale, senza che tra le due sussista una relazione, in quanto appartenenti a piani diversi. Una sana laicitร  e la capacitร  di una serena scelta religiosa sarebbero il frutto della discussione tra Gesรน e i suoi avversari. Altri adducono il testo evangelico come fondamento teologico della proverbiale alleanza “trono e altare”, in cui uno fa da supporto all’altro. Altri ancora spingono l’interpretazione all’estremo fino ad ipotizzare uno stato “sacralizzato” e una chiesa “temporalizzata”, oppure l’egemonia dell’uno verso l’altro. La recensione delle proposte potrebbe continuare, mostrando la bizzarra e fantasiosa capacitร  interpretativa di certi autori.

Senza la presunzione di proporre una nuova via, riprendiamo in mano la tematica partendo dal contesto. Quindi fissiamo l’attenzione al brano in quanto tale, proponendo un breve commento ed richiamando il valore del denaro al tempo di Gesรน. Alla fine diamo attenzione a ciรฒ che, normalmente negletto, puรฒ offrire qualche elemento utile ad una maggiore lettura cristologica del brano.

Contesto e organizzazione del brano

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Ogni brano รจ come il segmento di una linea continua. Una visione d’insieme, o almeno dell’immediato contesto, fornisce le coordinate che spesso aiutano a tracciare un quadro piรน logico e piรน completo.

La situazione tra Gesรน e i suoi avversari, giร  tesa fin dall’inizio della vita pubblica, diventa incandescente man mano si avvicina la fine. Con l’ingresso solenne nella cittร  santa, il barometro dell’umore degli avversari tende notevolmente al brutto. Ciรฒ non sorprende, se scorriamo le pagine evangeliche e notiamo i duri colpi inferti dal Maestro con parole di fuoco e con gesti forti. Ricordiamo la scena al tempio dove Gesรน, animato da santo zelo, rivendica la purezza del luogo e la genuinitร  delle intenzioni, bollando inesorabilmente i presenti con l’accusa di aver trasformato la casa di preghiera in una spelonca di ladri (cf 21,13). La maledizione al fico senza frutto risuona come cupa minaccia ad un popolo che non produce quei segni di santitร , richiesti dalla sua condizione di destinatario privilegiato del Vangelo. A suggello della parabola dei due figli, il detto ยซi pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dioยป sta come una mannaia sul collo dei benpensanti, prodighi nel condannare gli altri, ma avari nel dare spazio alla loro conversione. Sono parole dure che riducono al minimo la possibilitร  di intesa tra il Maestro e i suoi ascoltatori, poco disponibili ad una revisione di vita.

A colmare la misura e a far tracimare il vaso contribuiscono due roventi parabole che precedono immediatamente il nostro testo. La prima parla dei vignaioli che tradiscono la fiducia del loro signore e, da dipendenti, si trasformano in rivoltosi e in assassini. La loro sorte รจ decretata senza mezza misura dagli stessi ascoltatori: ยซ(Il padrone) farร  morire miseramente quei malvagi e darร  in affitto la vigna ad altri contadini che gli consegneranno i frutti a suo tempoยป (21,41). Senza avvedersene, gli ascoltatori hanno formulato un giudizio che sancisce la loro condanna: si sono autocondannati. La seconda parabola, non meno impietosa della prima, rivela il passaggio del regno dagli invitati della prima ora che con il loro rifiuto hanno disdegnato la preferenza loro accordata, a quelli, raccogliticci, che non presagivano certo di trovarsi un giorno commensali alle nozze del figlio del re (cf il nostro commento al capitolo precedente).

Tale contesto aiuta a capire lo stato di tensione e l’aria pesante che si รจ creata. Fino a questo punto l’iniziativa รจ stata prevalentemente di Gesรน. Ora, a partire dal nostro brano, cambia il “regista”. Sono gli avversari a prendere in mano le redini e a dirigere il gioco. Tentano di risalire la china, dopo essere stati precipitati nel baratro dell’abiezione dalle parole crude, ma veraci, di Gesรน. Occorre salvare l’immagine e riprendersi la rivincita. Da qui tre tentativi che sono, nell’ordine, il nostro brano, la questione sulla risurrezione dai morti e l’identificazione del comandamento piรน importante.

I tre casi presentano una coalizione che sarebbe piรน corretto definire una “associazione a delinquere”. L’evangelista specifica l’identitร  degli oppositori: nel primo caso sono i discepoli dei farisei con gli erodiani (v. 16), nel secondo i sadducei (v. 23), nel terzo un dottore della legge, del gruppo dei farisei (v. 35). Poichรฉ รจ risaputo che farisei, erodiani e sadducei erano gruppi diversi e inconciliabili per estrazione sociale, per dottrina teologica, per pensiero politico, si conclude che la coalizione “a largo spettro” รจ solo funzionale allo scopo: battere l’acerrimo e comune nemico, Gesรน.

Per quanto concerne la struttura, il brano si muove con un’andatura classica e chiara. In forma schematica vi leggiamo: un’introduzione (v. 15), la parte centrale costituita dalla disputa dove dominano dapprima gli avversari (vv. 16-17), e poi Gesรน che prospetta qualcosa di nuovo (vv. 18-21), una conclusione (v. 22). La costruzione รจ armonica perchรฉ parte da un movimento di avvicinamento degli avversari per un conciliabolo nel tentativo di intrappolare Gesรน, e si conclude con un loro allontanamento, non dopo aver accolto con sorpresa la risposta. Gli avversari accusano il colpo e devono registrare lo smacco. La contrapposizione รจ da notare anche nelle parole: gli avversari fanno riecheggiare parole “mielate” e subdolamente velenose, Gesรน, invece, si esprime subito molto chiaramente, smascherando la malvagitร  degli interlocutori. Alla fine si impone la sua parola, accettata perchรฉ veritiera, coerente, completa.

Breve commento

In apertura del brano compaiono i farisei che battono in ritirata. La parabola degli invitati, appena conclusa, aveva azzerato la loro presuntuosa sicurezza. Essi potevano facilmente specchiarsi โ€“ e vergognarsi – negli invitati che avevano anteposto futili interessi all’invito a nozze del figlio del re.

Il ritiro dei farisei non segna una pausa delle ostilitร  contro Gesรน. Essi si riuniscono per concertare un nuovo piano di attacco, sempre nella speranza che sia la volta buona per eliminare il pericoloso nemico. Le loro intenzioni malvagie sono conficcate nel verbo ยซcoglierlo in falloยป. Il lettore, ora in possesso di un’ideale bussola di comprensione, puรฒ facilmente intuire un’aria di tempesta che non lascia presagire nulla di buono. I farisei preferiscono rimanere nelle quinte e inviano i loro discepoli insieme agli erodiani. Costoro sono gli amici o i partigiani di Erode Antipa, tetrarca della Galilea e della Perea. La loro presenza denuncia l’intento di arrestare Gesรน. Infatti, senza il loro appoggio, non era possibile intraprendere un’azione legale contro Gesรน. Sapere che gli erodiani erano politicamente favorevoli ai romani, aiuta a capire il seguito, soprattutto la trappola.

Le parole iniziali degli avversari sono patinate di complimenti, forse con l’intento di guadagnarsi un’attenzione di primo piano. A Gesรน viene dato il titolo di ยซmaestroยป. Potrebbe sembrare un modo abituale per indirizzarsi a persone che godono stima e fama, ma l’uso che ne fa Matteo รจ rivelatore: lo troviamo spesso in bocca a persone che sono spiritualmente distanti o ostili al Maestro (cf 9,11; 12,38). Meno usuale l’adulazione ยซsei veritiero e insegni la via di Dio secondo veritร ยป. รˆ invece di conio biblico l’espressione ยซvia di Dioยป (cf Dt 8,6; At 9,2), che valorizza Gesรน come colui che insegna la volontร  di Dio, dimostrandosi cosรฌ genuino maestro. Essi aggiungono un dato vero e incontestabile: ยซnon guardi in faccia alla genteยป. Infatti l’autonomia di Gesรน risulta ben documentata anche dalle controversie che precedono il nostro brano. Egli รจ un uomo interiormente libero, alieno da qualsiasi servile dipendenza, sganciato da qualsiasi condizionamento, capace di esprimere con assoluta chiarezza e senza remore il proprio giudizio su fatti e persone. Gli avversari sono quasi costretti dalle circostanze a riconoscergli tale prerogativa.

Le parole seducenti lasciano subito il posto a quelle insidiose. La trappola รจ pronta a scattare: ยซDunque, di’ a noi il tuo parere: รˆ lecito o no, pagare il tributo a Cesare?ยป. Viene chiesto a Gesรน di prendere una precisa e personale posizione su un argomento scottante, il pagamento delle tasse a Cesare. Questo รจ il nome comune dato a tutti gli imperatori di Roma. In quel momento regnava Tiberio. Il nocciolo della domanda non investe tanto la liceitร  del pagare le tasse, quanto il fatto che il denaro era dato all’occupante pagano. Il problema finanziario diventa questione politica e teologica. Per capire questo occorre, chiarire un poco la questione del tributo.

Pagamento delle tasse

Le tasse sono un onere per tutti i contribuenti, ieri come oggi. Lo diventano ancora di piรน quando sono un segno di sudditanza. Quest’ultimo fattore gioca un ruolo pesante nella storia di Israele. Fin dal ritorno dall’esilio i giudei avevano pagato ai dominatori di turno: Persiani, Tolomei, Seleucidi, Romani. Il sistema tributario era fluttuante e la pressione fiscale si inaspriva in occasione di guerre. Quando la Giudea divenne provincia imperiale, la popolazione aveva alle spalle una lunga storia di gravami fiscali. Secondo Giuseppe Flavio, al tempo di Archelao erano versati quattrocento o seicento talenti.

Due erano le principali imposte dirette, quella fondiaria (tributum soli), pagata in natura, e quella sul reddito (tributum capitis), pagata in denaro. Questa era dovuta da tutti coloro che avessero compiuto il tredicesimo anno di etร , fino al sessantesimo. Certamente nessuna tassa รจ amata, ma, come si esprime M. Hengel,

ย ยซla piรน odiata era, probabilmente, quella personale e sul reddito, gravante sul singolo individuoยป.

Quanto fosse invisa questa tassa, lo si percepisce dal nome stesso, che conserva la sua origine latina: la traduzione italiana ยซtributoยป rende il greco kรชnson che traslittera il latino census. Tale nome entra nella lingua ebraica e aramaica con il significato peggiorativo di ยซmultaยป. Ogniqualvolta veniva pronunciata la parola ยซcensoยป, essa evocava in un ebreo un pesante onere, segno della sua sudditanza. Quindi, sia la lingua greca, sia quella ebraica non fanno che traslitterare il nome latino. Il senso di dipendenza si percepiva anche solo nel pronunciare la parola ยซcensoยป. Che cosa stava dietro a questa parola, lo si evince dalla seguente citazione dello storico E. Schรผrer:

ย ยซSe si anteponeva a tutto la fede nell’elezione di Israele, il soggiogamento del popolo di Dio ai pagani appariva come una mostruositร  da rimuovere ad ogni costo. Israele non doveva riconoscere altra sovranitร  se non quella di Dio e del suo unto della casa di David. Il dominio dei pagani era contrario alla Scrittura. Da questo punto di vista, era discutibile non solo se si dovesse, ma anche se fosse legittimo obbedire alle autoritร  pagane, pagando loro il tributo richiesto (Mt. 22,17ss.; Mc. 12,14ss.; Lc. 20,22ss.)ยป.

Si incrociano diversi motivi che rendono ostica questa tassa. Il giudeo che riconosceva l’autoritร  di Cesare metteva in dubbio la propria sottomissione a Dio. Inoltre la tassa somigliava a quella che ogni ebreo doveva pagare per il tempio (cf Mt 17,24). Perciรฒ i mestatori politici, per creare confusione, cercavano di dare un significato religioso, equiparando il tributo a Cesare con quello per il tempio. Non fu mai intenzione dei Romani dare un significato religioso alle tasse, ma la domanda posta a Gesรน sottende l’equivoco di scambiare un tributo puramente fiscale in tributo religioso.

C’era sufficiente materiale per formare una pericolosa miscela esplosiva. Bastava poco perchรฉ la situazione scoppiasse, con conseguenze non facilmente prevedibili. La questione non nasceva in questo momento. Da tempo gli ebrei si interrogavano sul problema, ma avevano maturato soluzioni diverse e contrastanti. Gli erodiani erano favorevoli al pagamento del tributo, in quanto molto legati a Roma. I farisei erano rassegnati al pagamento, in cambio della libertร  religiosa di cui godevano. Il gruppo degli zeloti era decisamente contrario.

Il pensiero di Gesรน

Ora รจ Gesรน che deve manifestare la sua personale opinione: ยซDi’ a noi il tuo parereยป. La domanda era ben congegnata, pronta a far scattare la trappola: ยซรˆ lecito o noยป. Sembra che Gesรน debba scegliere tra l’accoglienza del tributo da pagare o il suo rifiuto. Nella prima ipotesi, si sarebbe rivelato filoromano, rinnegando o adombrando il pensiero giudaico che considerava il pagamento come una sudditanza. Nel caso avesse sostenuto l’illegittimitร  della tassa, si poneva in rotta di collisione con i Romani. Gli erodiani sarebbero stati pronti a denunciarlo come un sovvertitore dell’ordine pubblico, un ribelle alle leggi di Roma. Qui si comprende meglio l’importanza della loro presenza. Molto subdolamente i farisei li hanno arruolati e inseriti in una lega, eterogenea nei membri, ma omogenea nella finalitร .

Gesรน reagisce denunciando subito la cattiveria della domanda e mostrando di saper leggere le intenzioni. Bolla i suoi avversari con il pesante titolo di ยซipocritiยป. Sposta quindi la domanda dal piano puramente teorico a quello pratico, chiedendo di avere una moneta. Il termine greco nรณmisma, usato solo qui in tutto il NT, significa propriamente ยซmoneta legaleยป. Gli viene presentato un ยซdenaroยป (equivalente a uno stipendio giornaliero medio, cf 20,2), una moneta d’argento dell’impero, con la quale nelle provincie si pagava il tributo all’imperatore. La richiesta di Gesรน di vedere una moneta รจ immediatamente soddisfatta: ciรฒ significa la facilitร  di reperire tale moneta in tasca ai suoi interlocutori e la loro disponibilitร  a farne uso. Quindi i giudei portano con sรฉ il denaro romano e, com’รจ facile presumere, ne fanno uso regolare.

Ora, secondo la tecnica della controversia, Gesรน pone una controdomanda circa l’identitร  dell’effigie e l’iscrizione, i due segni inequivocabili di appartenenza. I suoi avversari rispondono che immagine e iscrizione sono di Cesare. L’immagine era quella dell’imperatore Tiberio, ornata con una corona d’alloro tipica della dignitร  divina. Sua era anche l’iscrizione che lo proclamava ยซfiglio del divino Augustoยป e ยซsommo ponteficeยป. Non si vergognano di far circolare una valuta pagana, segno della loro sottomissione all’occupante straniero. Nella prassi smentiscono quanto in teoria vogliono sostenere e che hanno implicitamente racchiuso nell’insidiosa domanda.

A questo punto Gesรน dร  la risposta completa, costruita in modo simmetrico: ยซRendete dunque a Cesare quello che รจ di Cesare e a Dio quello che รจ di Dioยป. Ciรฒ che appartiene a Cesare รจ ben definito nel contesto immediato della discussione: รจ il denaro, simbolo del potere economico e amministrativo. I giudei facevano uso della moneta romana con notevoli vantaggi. Perciรฒ, dovevano anche assoggettarsi agli obblighi civili che non interferivano su quelli religiosi. Sul pagamento delle tasse non si pone nessuna questione di principio. Il resto รจ di Dio. Per Lui si deve avere una donazione totale, che antepone gli interessi del regno e fa posporre gli affetti familiari (cf 10,34-37). Non viene detto espressamente che cosa appartenga a Dio.

La salomonica risposta di Gesรน trova impreparati i suoi avversari che restano meravigliati. Non rimane loro che andarsene. Volevano tendere un laccio a Gesรน e sono rimasti intrappolati dalla parola di veritร , quella che inchioda all’evidenza di una logica che supera la miopia umana.

Il peso teologico dell’episodio gravita attorno alla risposta di Gesรน. Una piรน approfondita analisi consentirร  di cogliere meglio il senso delle sue parole.

Una nuova attenzione

Non si dร  normalmente grande peso al versetto finale e soprattutto al verbo ยซrimasero meravigliatiยป. Essendo dei nemici che parlano a Gesรน per tendergli un trabocchetto e che si aspettano una sua parola da usare contro lui, la reazione piรน attesa sarebbe quella dello scandalo, di una sorpresa al negativo. Invece รจ una sorpresa al positivo. Possiamo meglio documentare la nostra osservazione proponendo una breve rassegna del verbo “meravigliarsi” (thaumazรด) nel vangelo secondo Matteo.

Il verbo vi ricorre sette volte. In quattro casi sono le folle o i discepoli che si meravigliano davanti a qualcosa di straordinario, miracolo o altro (8,27; 9,33; 15,31; 21,20). Una volta รจ Gesรน stesso a meravigliarsi, quando sente le sagge parole del centurione di Cafarnao (8,10). Infine, viene registrata la sorpresa di Pilato, che si meraviglia davanti al silenzio di Gesรน che non reagisce alle accuse dei suoi nemici (27,14). Nei sei casi appena elencati, si tratta di una meraviglia positiva. Abbastanza logico pensare che lo sia anche nel nostro passo, l’ultimo caso da considerare.

Accettato il senso positivo del verbo, occorre tener presente che gli avversari di Gesรน sono i discepoli dei farisei e gli erodiani, due gruppi che politicamente e teologicamente avevano idee parecchio distanti. Se tutti rimangono sorpresi della parola di Gesรน e si ritirano in buon ordine, significa che non hanno nulla da eccepire. In qualche modo si rispecchiano in tale risposta.

Gli erodiani non possono accusare Gesรน di essere un sovversivo o un antiromano, perchรฉ riconosce il diritto dell’imperatore. La domanda formulata verteva proprio sulla tassa: ยซรˆ lecito o no, pagare il tributo a Cesare?ยป. Gesรน ne ammette la liceitร . Sull’altro versante, i farisei sentono che il diritto di Roma รจ integrato e avvalorato dal diritto di Dio. Non sono bendisposti nei confronti dei Romani, tuttavia alimentano la speranza che un giorno la situazione cambierร , come citato in questa preghiera, presa dai Salmi di Salomone:

ยซAffretti Dio su Israele la sua misericordia; ci libererร  dalla sozzura di nemici impuri. Il Signore รจ nostro re, in eterno e per sempreยป.

Anch’essi si ritrovano nella risposta di Gesรน.

All’ ยซoโ€ฆoยป della domanda sembrerebbe far da contrappunto l’ ยซeโ€ฆeยป della risposta. La cosa non convince. Non si esce dal problema in uno stato di paritร . Come in tanti altri casi, Gesรน non si limita a risolvere una questione, sia pure spinosa, ma apre prospettive inedite e impensabili. Non la questione teorica della liceitร  del potere politico, bensรฌ la sua persona era l’oggetto, non dichiarato, della controversia. Non si puรฒ parlare qui di semplice disputa a carattere politico.

Il valore commerciale e teologico del denaro

Le prime monete furono coniate in Asia Minore, molto probabilmente dal re Creso di Lidia, verso il 650 a.C. Alcuni studiosi ritengono che siano stati i mercanti ad avere inventato le monete, perchรฉ esse facilitavano il commercio. Effettivamente il loro impiego semplificรฒ la vita anche in molti altri settori, come il pagamento di tasse, l’acquisto e la vendita di beni immobili e altro ancora.

Nella Palestina del primo secolo coesistevano i sistemi monetari greci e romani e il Nuovo Testamento li conosce entrambi. La dracma d’argento era la base del sistema greco, reso quasi universale da Alessandro Magno nel IV secolo a.C. Luca riporta la parabola della donna che ha perduto e poi ritrovato una dracma (cf Lc 15,8-10). Le monete romane cominciarono a circolare in Palestina dopo Pompeo, nel I secolo a.C., ed erano ampiamente usate sotto Erode il Grande. Il denaro era l’unitร  base del sistema romano. Ed รจ precisamente un denaro che viene presentato a Gesรน durante la discussione che abbiamo sopra esaminato.

La moneta aveva un suo valore commerciale, stabilito dal tipo di moneta e dal tempo. Occorre richiamare e sottolineare il ruolo simbolico e, per certi aspetti, di vera propaganda, legato ai soldi. Con una moneta non si poteva acquistare molto, ma essa ricordava l’identitร  del sovrano e le virtรน o i valori richiesti ai cittadini e ai popoli sottomessi. Sulla moneta infatti era impressa l’immagine del sovrano e qualche scritta. Numerose monete imperiali coniate al tempo dell’imperatore Traiano (98-117 d.C.) e valide ancora molto tempo dopo, riproducevano l’immagine dell’imperatore e spesso la parola pietas. La traduzione italiana “pietร ” rende poco il senso profondo di quel termine latino, che designava una virtรน da tradurre piuttosto con “devozione filiale”, intesa come obbedienza e sottomissione verso l’imperatore e i suoi dei. La moneta veicolava quindi una specie di propaganda che rammentava al possessore chi fosse l’imperatore e che a lui si doveva appunto pietas.

Tenuto conto di tutto questo, comprendiamo meglio la risposta di Gesรน che raggiunge lo scopo in due modi, creando unitร  e richiamando le esigenze di Dio.

La discussione รจ servita a togliere l’illusione che una lotta contro l’autoritร  politica sia sufficiente a ridare smalto all’anemica vita spirituale del popolo. Gesรน non ha demonizzato l’autoritร  politica, le ha, anzi, riconosciuto una funzione storica. Ne viene un primo insegnamento per il credente.

La storia della salvezza radica il cristiano nella concretezza del quotidiano, lo fa giocare in attacco e non in difesa, lo impegna per la costruzione della cittร  terrena e gli conferisce la “doppia cittadinanza”, quella terrena e quella celeste. Scriveva Paolo VI nell’enciclica Octogesima Adveniens:

ยซLa nascita di una civiltร  urbana non รจ una vera sfida alla saggezza dell’uomo, alla sua capacitร  organizzativa, alla sua immaginazione verso il futuro? […] Che i cristiani coscienti di questa nuova responsabilitร , non perdano coraggio davanti all’immensitร  della cittร  senza volto, ma si ricordino del profeta Giona […] Nella Bibbia la cittร  รจ sovente il luogo del peccato e dell’orgoglio; orgoglio di un uomo che si sente abbastanza sicuro di costruire la sua vita senza Dio, e persino per affermarsi potente contro di lui; ma esso รจ anche Gerusalemme, la cittร  santa, il luogo dell’incontro con Dio, la promessa della cittร  che scende dall’altoยป.

La maturitร  cristiana consiste anche nella capacitร  di lavorare, gomito a gomito, con ogni uomo e con ogni istituzione, animati da buona volontร  per costruire la cittร  umana. Viene cosรฌ superata ogni discriminazione religiosa, etnica, sociale.

Gesรน chiede di andare oltre. Stabilito il diritto di Cesare e il dovere del popolo nei suoi confronti, Gesรน rivendica il diritto di Dio. Lo rivendica come primo. Il collegamento tra i due membri (Cesare-Dio) va letto piuttosto come un ยซmaยป: ยซRendete a Cesare quello che รจ di Cesare, ma a Dio quello che รจ di Dioยป. Quasi a dire: ยซSta bene il diritto di Cesare, ma non dimenticate e soprattutto anteponete il diritto di Dioยป. Gesรน anticipa, con parole diverse, l’esigenza del comandamento piรน importante, come dirร  poco dopo (cf 22,34-40). L’esigenza di Dio trascina con sรฉ l’esigenza di rispettare il diritto dell’imperatore. Dio rimane comunque il primo e fonda il diritto dell’uomo. Perciรฒ รจ da escludere una lettura ยซeโ€ฆeยป a tutto vantaggio di un ยซmaยป. Stabilito questo nesso, ne deriva che in caso di conflitto, dovrร  essere salvaguardato il diritto di Dio (cf At 4,19; 5,29). Altrimenti, in situazione ordinaria, si profila una coesistenza: cosรฌ intenderร  la comunitร  primitiva il suo rapporto con lo Stato (cf Rm 13,1-7; 1Pt 2,13-17), compreso il dovere di pagare le tasse (cf Rm 13,7).

La risposta di Gesรน รจ la trasposizione in parole del suo atteggiamento. Egli ha conservato nella sua vita una grande attenzione al Padre e agli uomini. Si รจ sottomesso a Maria e a Giuseppe, ha accettato un giudizio degli uomini, anche se iniquo, ha sempre conservato il suo legame con il Padre, ponendolo al di sopra di tutto. Era un primato che includeva tutto il resto. Ha sempre fatto nella sua vita una lettura teologica complessiva, orientando verso una pienezza.

In questa visione completa e integrale sta la meraviglia manifestata da erodiani e da farisei. La novitร  scaturisce dalla capacitร  di Gesรน di una visione “olistica”, cioรจ complessiva, della realtร  e dalla sua sensibilitร  nel riferire tutto a Dio. La sua vita certifica e conferma quanto espresso a parole. Perciรฒ il brano lascia trasparire la finezza cristologica che supera di gran lunga la questione, occasionale e marginale, di pagare o meno il tributo a Cesare.

DOMANDE ALLA VITA E PER LA VITA

  1. Ho una visione della vita unificata, capace di apprezzare i diritti dell’autoritร  pubblica e quelli di Dio? Preferisco forse distinguere per ricavarne un tornaconto personale?
  2. Sono attento a compiere i miei doveri di cittadino partecipando attivamente alla vita sociale e politica del mio quartiere e cittร  ? Mi informo sulle vicende e cerco di dare il mio giudizio in modo sereno, equilibrato, motivato? Sono capace di una critica schietta e costruttiva? Collabora volentieri con chiunque ricerchi il vero bene? Sono forse classista nei miei interventi?
  3. Pago regolarmente e con precisione le tasse e i tributi che devo allo Stato, al Comune o a qualsiasi altra Istituzione pubblica? Coltivo forse una mentalitร  che favorisce il frodo e l’evasione fiscale? Ricordo qualche esempio negativo da evitare? E qualche esempio positivo da seguire?
  4. Favorisco e diffondo il pensiero che “lo Stato siamo noi” e che i miei contributi economici sono un aiuto alla collettivitร ?
  5. Riconosco il “diritto di Dio”, non come tassa da pagare, ma come bene da condividere? Lo riconosco come “Padre nei cieli” che ha amorevole cura per i suoi figli? Oppure รจ solo “l’Essere Superiore”? Affermo con la parola e con la vita il primato di Dio? Gli lascio lo spazio, il tempo e l’affetto che merita? Potrei fare qualcosa di meglio su questo aspetto?

PREGHIERA

O Padre che sei nei cieli,
ma che abiti anche sulla terra perchรฉ essa รจ tua e noi siamo tuoi,
riconosciamo il tuo primato di Creatore e Signore dell’universo,
soprattutto riconosciamo il tuo primato di amore
che ci rende capaci di amare e di apprezzare
la cittร  in cui viviamo, la nostra Italia, l’Europa e il mondo intero.
Vogliamo essere cittadini del mondo, pronti ad impegnarci
con cristiana passione lร  dove la tua Provvidenza ci ha collocati
per la costruzione di un mondo migliore,
sulla base di una civiltร  dell’Amore che ha in Te, in Gesรน Cristo e nello Spirito Santo
il suo modello e la sua sorgente.

AMEN.

Fonte

LEGGI IL BRANO DEL VANGELO

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XXIX Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Mt 22, 1-14
Dal Vangelo secondoย  Matteo

15Allora i farisei se ne andarono e tennero consiglio per vedere come coglierlo in fallo nei suoi discorsi. 16Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: ยซMaestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo veritร . Tu non hai soggezione di alcuno, perchรฉ non guardi in faccia a nessuno. 17Dunque, diโ€™ a noi il tuo parere: รจ lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?ยป. 18Ma Gesรน, conoscendo la loro malizia, rispose: ยซIpocriti, perchรฉ volete mettermi alla prova? 19Mostratemi la moneta del tributoยป. Ed essi gli presentarono un denaro. 20Egli domandรฒ loro: ยซQuesta immagine e lโ€™iscrizione, di chi sono?ยป. 21Gli risposero: ยซDi Cesareยป. Allora disse loro: ยซRendete dunque a Cesare quello che รจ di Cesare e a Dio quello che รจ di Dioยป.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

  • 22 – 28 Ottobre 2017
  • Tempo Ordinario XXIX
  • Colore Verde
  • Lezionario: Ciclo A
  • Salterio: sett. 1

Fonte: LaSacraBibbia.net

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