Lo sguardo fisso su Gesù
Perché associare la memoria di una morte a quella di una nascita? Perché ricordare Stefano, primo martire cristiano, il giorno dopo la celebrazione della Natività del Signore nostro Gesù Cristo?
Perché quella morte è stata vissuta proprio a causa di quella nascita; perché Stefano si è lasciato plasmare, immergere nella comunione con il Cristo al punto di morire a causa sua; perché se Gesù è nato per noi, Stefano è morto per lui.
Gli Atti degli apostoli nel loro lungo racconto (cf. At 6,8-60) ci testimoniano che Stefano ha vissuto nella sua carne ciò di cui Gesù parla nel vangelo di oggi: condotto davanti al sinedrio sarà condannato a morte dai suoi fratelli a causa della sua adesione e della sua testimonianza a Gesù, un’adesione e una testimonianza che lo renderanno conforme al suo Signore persino nella capacità di chiedere perdono per i suoi aguzzini e nel rimettere lo spirito nelle mani di colui per cui moriva.
Stefano inoltre crede fermamente che la salvezza è racchiusa in una perseverante sequela, capace di rendere testimonianza fino alla fine, fino ad abbracciare il crocifisso attraverso una morte altrettanto ingiusta e violenta.
E come esorta Gesù nel vangelo (cf. Mt 10,20), Stefano si lascia guidare e ispirare dall’azione dello Spirito che gli suggerirà le parole della sua audace testimonianza senza temere la reazione ostile di chi lo ascolta.
Stefano si è fatto in tutto conforme al suo maestro e Signore, da lui ha imparato ad amare anche i nemici, ad accettare l’incomprensione e ad accogliere su di sé sentenza di morte per la sua comprensione di Gesù come di colui che compiva tutta la storia di salvezza, tutte le promesse fatte ai padri e tutta l’attesa di Israele.
Il Signore ci doni la grazia di poter fare nostre, sull’esempio di Stefano, le parole di Paolo ai cristiani di Filippi: “Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21), e quelle ai cristiani di Roma: “Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore” (Rm 14,8), così che tutta la nostra vita sia guidata e orientata dall’azione dello Spirito e dalla fiducia che il Signore ci sosterrà sempre, anche nell’ora della prova e della persecuzione, come ci testimoniano ancora oggi molti nostri fratelli e sorelle nella fede.
Essere cristiani significa saper vivere e morire a causa di Gesù Cristo, quel bambino povero e inerme nato ai margini della società, nella notte e nell’anonimato, ma che è venuto in mezzo a noi per narrarci l’amore pieno di tenerezza e di misericordia di un Dio che si è curvato su ciascuno di noi per raggiungerci nella nostra indigenza, povertà e fragilità, e insegnarci la via dell’amore che abbraccia anche i nemici, come dice bene questa preghiera:
Signore Dio,
nelle sofferenze che incontriamo nella nostra vita
accordaci di tenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo tuo Figlio,
affinché, ricolmi di Spirito santo,
sappiamo amare e benedire i nostri nemici
sull’esempio di Stefano
che ha saputo implorare il perdono per i suoi persecutori.
sorella Ilaria
Per gentile concessione del Monastero di Bose.
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