Monastero di Bose – Commento al Vangelo del giorno – 26 dicembre 2025

- Pubblicità -

Lo sguardo fisso su Gesù

Perché associare la memoria di una morte a quella di una nascita? Perché ricordare Stefano, primo martire cristiano, il giorno dopo la celebrazione della Natività del Signore nostro Gesù Cristo?

Perché quella morte è stata vissuta proprio a causa di quella nascita; perché Stefano si è lasciato plasmare, immergere nella comunione con il Cristo al punto di morire a causa sua; perché se Gesù è nato per noi, Stefano è morto per lui.

Gli Atti degli apostoli nel loro lungo racconto (cf. At 6,8-60) ci testimoniano che Stefano ha vissuto nella sua carne ciò di cui Gesù parla nel vangelo di oggi: condotto davanti al sinedrio sarà condannato a morte dai suoi fratelli a causa della sua adesione e della sua testimonianza a Gesù, un’adesione e una testimonianza che lo renderanno conforme al suo Signore persino nella capacità di chiedere perdono per i suoi aguzzini e nel rimettere lo spirito nelle mani di colui per cui moriva.

Stefano inoltre crede fermamente che la salvezza è racchiusa in una perseverante sequela, capace di rendere testimonianza fino alla fine, fino ad abbracciare il crocifisso attraverso una morte altrettanto ingiusta e violenta.

E come esorta Gesù nel vangelo (cf. Mt 10,20), Stefano si lascia guidare e ispirare dall’azione dello Spirito che gli suggerirà le parole della sua audace testimonianza senza temere la reazione ostile di chi lo ascolta.

Stefano si è fatto in tutto conforme al suo maestro e Signore, da lui ha imparato ad amare anche i nemici, ad accettare l’incomprensione e ad accogliere su di sé sentenza di morte per la sua comprensione di Gesù come di colui che compiva tutta la storia di salvezza, tutte le promesse fatte ai padri e tutta l’attesa di Israele.

Il Signore ci doni la grazia di poter fare nostre, sull’esempio di Stefano, le parole di Paolo ai cristiani di Filippi: “Per me vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21), e quelle ai cristiani di Roma: “Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore” (Rm 14,8), così che tutta la nostra vita sia guidata e orientata dall’azione dello Spirito e dalla fiducia che il Signore ci sosterrà sempre, anche nell’ora della prova e della persecuzione, come ci testimoniano ancora oggi molti nostri fratelli e sorelle nella fede.

Essere cristiani significa saper vivere e morire a causa di Gesù Cristo, quel bambino povero e inerme nato ai margini della società, nella notte e nell’anonimato, ma che è venuto in mezzo a noi per narrarci l’amore pieno di tenerezza e di misericordia di un Dio che si è curvato su ciascuno di noi per raggiungerci nella nostra indigenza, povertà e fragilità, e insegnarci la via dell’amore che abbraccia anche i nemici, come dice bene questa preghiera:

Signore Dio,
nelle sofferenze che incontriamo nella nostra vita
accordaci di tenere fisso lo sguardo su Gesù Cristo tuo Figlio,
affinché, ricolmi di Spirito santo,
sappiamo amare e benedire i nostri nemici
sull’esempio di Stefano
che ha saputo implorare il perdono per i suoi persecutori.

sorella Ilaria

Per gentile concessione del Monastero di Bose.

- Pubblicità -

Puoi ricevere il commento al Vangelo del Monastero di Bose quotidianamente cliccando qui

Altri Articoli
Related

Commento alle letture della liturgia del 27 Dicembre 2025

Tempo di Natale I, Colore Bianco - Lezionario: Ciclo A, Salterio: sett. 4 La...

Paolo Curtaz – Commento al Vangelo del 27 Dicembre 2025

L'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse...

don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo del 27 Dicembre 2025

L'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse...

Paolo Curtaz – Commento al Vangelo di domenica 28 Dicembre 2025

Il sogno di Dio Che poi già riuscire a superare...